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Una fase di rinascita e conferme: la preadolescenza

Una fase di rinascita e conferme: la preadolescenza

Quando si parla di infanzia e adolescenza non va tralasciata una fase altrettanto significativa, collocabile nel mezzo tra le due: la preadolescenza. Un passaggio e un momento, istante di vita, un “click”, un divenire e cambiare, in breve tempo, in un lampo quasi, proprio a cominciare dalla scuola: la preadolescenza si colloca, infatti,  tra la conclusione della quinta elementare e l’inizio della prima media o anche a cavallo tra la prima e la seconda media; la sua maturazione si coglie verso la fine della terza media, da lì in poi ci addentriamo, invece, nella adolescenza, con l’avvio delle scuole superiori.

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La preadolescenza

La preadolescenza è quel momento così delicato in cui il bambino e la bambina passano dall’essere “piccoli” all’essere già “grandi” ma non troppo; un filo sottile ma non ancora un confine netto, ben delineato. Si pensi a questa fase come ad uno scalino, o trampolino che conduce ad una porta più grande di quella precedente (il mondo dell’infanzia); non si è ancora nel pieno dell’adolescenza, ma comunque è l’ora di cominciare a lasciarsi alle spalle abitudini, pensieri, movimenti e comportamenti di un tempo passato, una fase della vita in cui mamma e papà erano molto presenti e considerati come dei “fari” nel buio, eroi su cui contare e su cui proiettare aspettative e confidare le proprie emozioni.

I genitori adesso sono sì gli stessi, ma il rapporto con lo loro è differente come anche le confidenze e il tipo di relazione che si instaura. Avviene un cambiamento di prospettiva, di strada e direzione, unito ad un’evoluzione nel corpo e nell’aspetto, da non sottovalutare, perché anche dai cambiamenti corporei, dai nuovi gusti e canoni estetici dipende la nuova visione della vita di un preadolescente.

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Se quanto detto è assolutamente vero e normale, non bisogna dimenticare di sottolineare anche che, nella fase preadolescenziale, si sedimenta ciò che durante il periodo dell’infanzia è stato costruito dai genitori; dunque, non viene tutto annullato o azzerato, ma semplicemente arriva il momento di “tirare le somme”, iniziando una nuova conoscenza dei propri figli, supportata però dalla educazione e formazione degli anni precedenti.

Il cervello di un preadolescente

Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e ricercatore, insieme a Barbara Tamborini, psicopedagogista e scrittrice, nel loro testo L’età dello tsunami, espongono in modo esemplare, con estrema chiarezza e semplicità cosa succede nel cervello di un preadolescente, spiegando come tutto quello che accade a livello cerebrale, giustifica alcuni cambiamenti repentini,  alcuni comportamenti spesso difficili da comprendere per un padre e una madre.

Può sembrare strano, ma per un genitore, sapere che in realtà non si ha a che fare con degli “sconosciuti”, con un ragazzo o una ragazza diversi da quelli che si ricordava qualche anno addietro, è straordinariamente rassicurante. Se per certi versi, bisogna sforzarsi di capire e conoscere qualcosa di nuovo, per altri, aiuta moltissimo sapere che esiste una vera ragione, che ci sono dei meccanismi fisiologici e neurologici che condizionano pensieri e operato dei ragazzi preadolescenti.

I nostri due autori, infatti, pongono l’attenzione sulle caratteristiche che creano scompiglio tra i genitori, i lati del carattere del preadolescente che travolgono la famiglia:

  • Volubilità.
  • Momenti di profondo smarrimento/depressione.
  • Attimi veloci di pura felicità immotivata.
  • Negatività e positività che si susseguono nello stesso lasso di tempo.
  • Forte, intense reazioni emotive, varie, tutte diverse, spesso in contrasto tra loro.

Proseguendo, Pellai e Tamborini sottolineano come tutto ciò in elenco sia dovuto essenzialmente alla non compiutezza del cervello di un preadolescente, quindi alla non piena maturazione cerebrale, a dei meccanismi cerebrali non completamente definiti e costruiti; non c’è quindi nulla da imputare a chissà quale inspiegabile “follia” insinuatasi in questa specifica fase di crescita.

Meccanismi neurologici ancora immaturi: come agire da genitore essendone consapevole

Nel loro testo, i due autori succitati continuano descrivendo con estrema precisione, una efficace linearità e limpidezza, seppur nella descrizione scientifica, rivolti soprattutto al mondo dei genitori, quindi ai “non addetti ai lavori”, cosa definisce un cervello ancora “immaturo”. Vediamo nel dettaglio:

  1. Innanzitutto, mancano ancora dei collegamenti nervosi, le fibre che connettono tra loro i neuroni.
  2. Occorre poi, che queste stesse fibre nervose vengano ricoperte da una “protezione”, una sorta di guanto (guaina), la mielina che induce la velocizzazione dell’impulso elettrico; quindi, essendo la mielizzazione ancora incompleta, la conduzione degli stimoli nervosi può difettare.
  3. Mancando la mielina, che solo alla conclusione dell’adolescenza viene a fissarsi completamente, alcune aree del sistema nervoso centrale (ad es. la corteccia prefrontale deputata alla gestione degli impulsi) faticano a funzionare perfettamente.

Ecco come tutto diventa chiaro: laddove la corteccia prefrontale è ancora immatura, la parte emotiva provoca degli sbalzi umorali difficili da tenere sotto controllo. Il cervello razionale non riesce a gestire e calibrare quello emotivo, non è ancora pronto a modulare alcuni comportamenti; quindi, l’imprevedibilità emotiva è all’ordine del giorno.

Una volta venuto a conoscenza di questi meccanismi, un genitore che sa, che ha preso coscienza di ciò che realmente sta accadendo nel cervello del proprio figlio/a preadolescente, deve tentare di essere il più comprensivo possibile.

Migliorare l’approccio durante una discussione, ovvero tentare di calmare l’animo impetuoso e in pieno stato di rabbia del preadolescente, in quanto arrabbiarsi a propria volta non gioverà alla situazione, anzi moltiplicherà la difficoltà di dialogo. Esserci per capire cosa sta provando nostro figlio, durante un momento di sconforto, esaminare la situazione e parlare apertamente, con sincerità. I ragazzi vogliono essere presi in considerazione, “sentiti” e non giudicati o criticati, necessitano di intese anche fatte di silenzi che però comunicano un’infinità di emozioni positive.