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Riflessologia plantare e benessere

Riflessologia plantare e benessere

Riflessologia Plantare – dall’operatore al ricevente

Il ruolo di chi opera nella relazione d’aiuto si fonda su premesse che non possono prescindere da una continua conoscenza di sé in un viaggio infinito di scoperte e crescita personale che prevede l’integrazione delle proprie abilità consolidate come elemento complementare agli incontri.

Egli fungerà da testimone che, con comprensione, umiltà e coscienza dei propri limiti, inviterà l’assistito ad accogliersi, ad esaltare le caratteristiche uniche della sua personalità, ad adottare comportamenti virtuosi in un’etica bio-psico-sociale, a scoprire il proprio stile e qualità di vita, e a valorizzare tutto questo. Non temendo l’eventuale disagio, ma imparando a dargli voce affinché venga vissuto in maniera costruttiva così da diventare quella forza propulsiva che apre alla metamorfosi.

Prendendo in esame l’uomo nella sua interezza (fisica, mentale, emozionale, spirituale) egli potrà avvalersi di alcuni metodi rivolti al benessere della persona. Tra questi, la riflessologia plantare.

Storia della Riflessologia

Fin dall’antichità era in uso la stimolazione dei piedi per ottenere benefici a livello psicofisico. Già oltre 5.000 anni fa in Oriente si praticava il massaggio riflessologico. In Cina, ad esempio, alcuni mendicanti si guadagnavano da vivere offrendo i loro massaggi, ma vi sono testimonianze di questa pratica anche tra le popolazioni dell’Antico Egitto e tra i Nativi Americani.

Fu solo all’inizio del Novecento che il Dott. Fitzgerald, medico statunitense, realizzò che, stimolando attraverso la compressione (per mezzo di strumenti o massaggio) alcuni punti di mani e piedi, si poteva ottenere un effetto simile a quello prodotto da un anestetico. Questa sua teoria trova ampia spiegazione nel suo saggio dal titolo “Terapia Zonale” che pubblicò nel 1916. All’interno di questo volume compare una mappa del corpo umano attraversata da 10 linee che si originano dalle mani e dai piedi terminando sul capo: le zone riflesse.

Così, partendo dagli studi di Fitzgerald, la massaggiatrice americana Eunice Ingham arriva a collocare il riflesso dell’intero sistema di organi, strutture ossee e apparati (ovvero l’interezza del corpo) sulla pianta del piede, dando origine alle mappe che conosciamo e che vengono applicate tutt’oggi al massaggio zonale.

Successivamente Hanna Marquardt, massaggiatrice tedesca, arricchisce la teoria della Ingham introducendo il metodo nel campo sanitario e permettendo alla riflessologia plantare di approdare in Europa negli anni ’60.

Per la diffusione in Italia, invece, dobbiamo ringraziare il fisioterapista Elipio Zamboni che, dopo anni di pratica, fondò la prima Associazione di Riflessologia e in seguito la scuola triennale.

Dialogo fisico-mentale-emozionale-relazionale

Le zone riflesse ci portano a considerare un modo non convenzionale di approccio all’individuo. La risposta di un punto riflesso corrispondente ad un organo è associata per sua natura ad un aspetto non soltanto fisiologico ma anche psicosomatico. Un tutt’uno di anima, corpo e emozioni in cui ogni segnale o disarmonia si traduce in un messaggio.

Da secoli esploratori silenziosi dei fenomeni vitali, animati dallo spirito di ricerca, hanno osservato come il benessere passi attraverso un modello interpretativo il cui linguaggio è “l’analogia”.

Senza rischiare di sconfinare nell’ambito medico-sanitario, territorio di esclusiva competenza di professionisti del settore, è evidente l’importanza che assume il corpo nel raccontare analogicamente quelli che sono i bisogni interiori per mezzo di disequilibri che, spesso, trovano la loro soluzione nella capacità di portare all’emersione un dialogo interno utile alla presa di coscienza dei processi che hanno condotto la nostra parte più profonda alla manifestazione e concretizzazione corporea di un disagio.

Ciò che il fisico memorizza, esperienza dopo esperienza, non sono gli eventi – di per sé neutri – che incontra nel suo cammino, ma il senso che l’essere umano attribuisce loro e che affonda nella memoria somatica.

Ogni persona codifica in organi differenti la reazione e il proprio risentito emozionale. Questa consapevolezza per cui mente, corpo e spirito agiscono lasciando tracce concrete che vanno a stratificarsi e sedimentarsi dentro ognuno di noi minando la naturale efficienza fisiologica, consente, in uno sguardo più ampio, di andare alla radice del nostro stare al mondo, delle abitudini, dei legami creati con le nostre convinzioni e, perché no, della memoria genetica e relazionale.


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La saggezza del corpo

Tutti questi fattori si riflettono nell’identità corporea di ciascuno. Attraverso il contatto intenzionale mediante la stimolazione riflessologica plantare, è possibile non solo far affiorare i nodi dolorosi sperimentati durante l’esposizione ad un evento, ma anche scioglierli favorendo riequilibrio e armonizzazione.

Il corpo ci guida essendo custode del nostro viaggio terreno, ed è per questo che la sollecitazione di un determinato punto, si comporta come l’apertura di una porta che consente l’accesso alla stanza dell’organo corrispondente coinvolto nel rilascio del dolore.

Soffermandoci sul linguaggio simbolico e analogico, il piede non solo conferisce stabilità posturale, ma si apre ad un concetto molto più ampio e sottile che attiva legami misteriosi in un contesto generale di benessere a 360° che esula dalle codificazioni scientifiche della medicina ufficiale.

Rivela altresì l’atteggiamento nei confronti del percorso esistenziale, rappresenta l’avanzare nella vita, la direzione verso cui si è orientati, la qualità del proprio radicamento, la posizione rispetto al passato o ai progetti futuri.

La saggezza del corpo ci permette quindi di raggiungere, lavorare e riequilibrare organi e apparati attraverso la mappa proiettata lungo la pianta e il dorso del piede, grazie alla quale possiamo silenziosamente dialogare con il nostro sistema somato-psichico allo scopo di riportare ordine in quelle aree stagnanti custodi di conflitti e disarmonie.