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Preservativo in classe? In Italia l’Educazione Sessuale è una vera sfida

Preservativo in classe? In Italia l’Educazione Sessuale è una vera sfida

Spesso si sostiene che in Italia manchi l’educazione sessuale nelle scuole, ma la vera questione riguarda principalmente il metodo e in che misura è affrontata.

Nel contesto del dibattito sulla violenza di genere, tema che negli ultimi anni ha guadagnato notevole visibilità nei media e nelle discussioni pubbliche, una delle soluzioni spesso suggerite da attivisti e commentatori progressisti è l’introduzione definitiva dell’educazione sessuale nelle scuole italiane. Tuttavia, molti individui che hanno frequentato le scuole italiane negli ultimi decenni conservano ricordi vaghi di esperienze educative in questo ambito. Ad esempio, l’illustrazione di come applicare un preservativo su una banana sembra più un riflesso delle rappresentazioni televisive statunitensi che un vero e proprio ricordo, come sottolineato da Alice Chinelli. Quest’ultima, ricercatrice dell’Università di Pisa che coordina il progetto EduForIST sull’educazione alla sessualità, finanziato dal Ministero della Salute afferma:

in Italia, persino portare un preservativo in classe risulta molto difficile.

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L’UNESCO e l’educazione sessuale e affettiva

In realtà l’educazione sessuale è presente nelle scuole italiane ma in maniera disomogenea e non è obbligatoria per legge, contrariamente a quanto avviene in molti altri paesi dell’Unione Europea. In molte scuole in cui è insegnata, gli strumenti e i contenuti trattati spesso non soddisfano le linee guida internazionali, che mettono in evidenza l’importanza di una formazione completa sulla sessualità e le relazioni affettive in giovane età. Collegandola anche alla prevenzione della violenza di genere nella società. Le resistenze principali risiedono soprattutto in questioni culturali.

Negli ultimi anni, quando si affronta questo tema, ci si riferisce a molto più a semplici interventi di prevenzione riguardo alla contraccezione e alle malattie sessualmente trasmissibili, spesso trattati durante il percorso scolastico. Nel 2018, l’UNESCO, l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata all’istruzione, ha ufficialmente delineato un concetto esistente dal 2010: la “comprehensive sexuality education” (CSE). In italiano è talvolta tradotta come “educazione sessuale e affettiva” o “educazione sessuale estensiva“. Nella sua definizione, l’UNESCO si riferisce all’insegnamento e apprendimento sugli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità.

Questo approccio differisce notevolmente da quello adottato fino a pochi anni fa. Ora, l’educazione sessuale dovrebbe abbracciare non solo la discussione sulle malattie e la contraccezione, ma anche temi quali le relazioni, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, la conoscenza del proprio corpo, il piacere, gli aspetti psicologici e il consenso. Come spiegano Cloé Saint-Nom e Francesca Barbino del Centro Studi e Iniziative Europeo (Cesie) di Palermo, un’organizzazione non governativa attiva in progetti europei legati a questo tema:

Tutto dovrebbe essere fatto con una prospettiva intersezionale, ovvero un approccio che tenga conto delle diverse generazioni, delle diverse culture e delle necessità speciali. Questi aspetti sono tutti interconnessi con l’educazione sessuale, ma spesso sono trascurati.

Si tratta di un approccio “positivo” alla sessualità che considera non solo i rischi legati a gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, ma anche le gioie e i piaceri legati alla sfera sessuale.

Il rapporto della Commissione Europea

A febbraio del 2023, l’UNESCO ha rilasciato un rapporto sullo stato dell’educazione sessuale e affettiva in 50 paesi. Ha evidenziato che l’Italia, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania, è una delle poche nazioni europee che non ha reso obbligatoria tale educazione per legge. Nel 2015, all’interno della riforma scolastica del governo Renzi, conosciuta come “Buona scuola“, è stata inclusa una clausola che promuoveva l’educazione alla parità dei sessi. Tuttavia, questa clausola è stata giudicata limitata rispetto alle iniziali proposte e troppo poco vincolante poiché non la rendeva obbligatoria.

Attualmente, in Italia, la situazione rimane sostanzialmente simile a quanto descritto nel rapporto della Commissione Europea del 2020. In quest’ultimo si afferma che, sebbene alcune scuole forniscono un’educazione sessuale, ciò dipende dalla volontà dei dirigenti e tende a concentrarsi principalmente sugli aspetti biologici. Trascurano quelli più ampi a livello psicologico, sociale ed emotivo, come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNESCO. Inoltre, si osserva una notevole disparità tra come questi argomenti sono trattati nelle scuole situate nelle città, dove le risorse sono più disponibili, e nelle zone rurali e isolate.

Secondo gli esperti l’obbligo di legge potrebbe non risolvere definitivamente il problema, ma rappresenterebbe un primo passo importante. Consentirebbe infatti alle scuole di includere l’educazione sessuale nei loro programmi scolastici, fornendo strumenti, libri di testo e la possibilità di avviare attività specifiche. Attualmente, spiegano Saint-Nom e Barbino:

Organizzazioni del terzo settore, progetti nazionali, associazioni e attivisti si impegnano per portare iniziative nelle scuole, ma tutto dipende dalla volontà dei docenti e dei dirigenti scolastici nel decidere come e quando affrontare questo tema.

Il progetto pilota di Alice Chinelli

Negli ultimi anni la Chinelli ha coordinato un progetto pilota in diverse scuole situate in Lombardia, Toscana, Lazio e Puglia, condivide la sua esperienza:

Abbiamo previsto 5 incontri con le classi, ma per molte scuole, questa quantità è ritenuta eccessiva, e di conseguenza, non tutte le scuole a cui abbiamo proposto il progetto l’hanno accettato. Non credo che l’educazione sessuale debba occupare uno spazio all’interno della scuola come materia separata; secondo me, dovrebbe invece essere uno spazio di dialogo e condivisione tra esperti, adulti, ragazze e ragazzi.

Un approccio spesso raccomandato da coloro che si dedicano all’educazione sessuale e affettiva è quello noto come “bottom-up“, ovvero una modalità che parte dall’ascolto delle esigenze e delle domande della classe per costruire un percorso di consapevolezza, coinvolgendo esperti che partecipano di volta in volta.

Tra le questioni poste da ragazzi e ragazze molto giovani, ci sono interrogativi riguardanti il primo rapporto sessuale, ma anche la masturbazione femminile, ad esempio. Chinelli sottolinea:

Sono domande che emergono, ma spesso molti docenti non hanno le competenze per rispondere. Questo è il motivo per cui dedichiamo un’attenzione significativa alla formazione degli insegnanti.

Le resistenze culturali all’educazione sessuale

Per coloro che lavorano in questo campo all’interno delle scuole, è chiaro che in Italia esiste ancora una forte resistenza culturale ad affrontare apertamente argomenti legati alla sessualità in senso ampio. Anche il solo utilizzo di termini come “identità di genere” può suscitare sospetti e diffidenza tra i genitori e i docenti. Saint-Nom sottolinea:

I dati dimostrano che anche quando ci sono docenti disponibili, spesso si chiedono “perché dovrei farlo io?” Lo stesso vale per i genitori, che possono trovare docenti che si oppongono a queste iniziative.

Questa situazione è il risultato di credenze che sono state ampiamente diffuse in Italia da gruppi cattolici conservatori. Questi sostengono che affrontare temi come la sessualità, il piacere e l’identità di genere potrebbe deviare i giovani dal percorso considerato come il normale sviluppo sessuale, invece di renderlo più consapevole.

Uno dei miti più infondati riguardo a questo argomento è che discutere di sessualità potrebbe spingere i giovani a iniziare le loro esperienze sessuali in anticipo. Tuttavia, in Paesi come i Paesi Bassi, considerati uno degli Stati europei più avanzati nell’educazione sessuale inclusiva nelle scuole, dove inizia già dalla scuola dell’infanzia (quindi a partire dai 4 anni), l’età media del primo rapporto sessuale è effettivamente aumentata negli ultimi anni.

Alice Chinelli sottolinea che attribuire interamente questa situazione alla forte influenza della Chiesa cattolica in Italia è troppo riduttivo. Continua:

Un problema significativo che affrontiamo è l’indifferenza dei molti genitori nei confronti di questo tema, la loro incapacità di affrontarlo e una diffusa resistenza culturale.

Un esempio eloquente riguarda il preservativo, che è un dispositivo sanitario e il principale metodo contraccettivo per prevenire le infezioni sessualmente trasmissibili. Per portare un preservativo in una classe, Chinelli è stata costretta a ottenere il consenso delle famiglie, e spesso sono gli insegnanti stessi che evitano di affrontare la questione, “per paura di una reazione negativa da parte dei genitori”.

Cloé Saint-Nom e Francesca Barbino confermano questa situazione:

La paura e il tabù che circondano queste parole – sesso, educazione sessuale, genere, gender – sono i principali ostacoli. Tuttavia, è essenziale informare sul legame tra questi argomenti e la violenza di genere.

Questo collegamento è stato chiaramente sottolineato negli anni da vari organismi e trattati internazionali. Ad esempio, nell’anno 2018, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiaramente stabilito che un’educazione sessuale e affettiva di alta qualità svolge un ruolo significativo nella prevenzione delle violenze di genere fin dall’adolescenza. La convenzione di Istanbul, che rappresenta il principale strumento internazionale legalmente vincolante per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013, promuove l’adozione di strumenti didattici per l’educazione sulla parità di genere e sul consenso.

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L’educazione affettiva per contrastare la violenza

Non si tratta però solamente di prevenzione. Cloé Saint-Nom e Francesca Barbino infatti sottolineano:

I femminicidi e gli stupri rappresentano l’apice della piramide della violenza, e spesso si pensa che coinvolgano solo il mondo degli adulti. Tuttavia, la violenza di genere assume anche altre forme e inizia fin dall’adolescenza. Un termine specifico in questo contesto è la “teen dating violence'” per il quale non esiste una traduzione in italiano poiché raramente viene discusso.

Questo concetto abbraccia situazioni come il bullismo, il cyberbullismo e il cosiddetto “revenge-porn”, che spesso sono trascurate dai docenti. Come fa notare Barbino, gli insegnanti preferiscono intervenire solo nei casi di violenza adolescenziale particolarmente gravi.

Nell’educazione sessuale moderna, il discorso sul consenso riveste un ruolo centrale. Come conclude Alice Chinelli:

Non si tratta solo di imparare a capire quando l’altra persona è in grado di dare il proprio consenso per un rapporto sessuale, ma anche di apprendere come riconoscere quando si desidera esprimere il consenso e come farlo.

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