Si parla molto, oggi, del mondo degli adolescenti, delle loro condizioni di vita e dei diversi fattori di tipo fisiologico, culturale, affettivo, politico e sociale, che ne influenzano lo sviluppo.
L’obiettivo di questo contributo non è quello di proporsi come un’analisi rigorosamente strutturata di questa fase dello sviluppo umano definita adolescenza, né quella di esporre una teoria onnicomprensiva che ne possa accogliere tutte le complesse sfaccettature. Bensì quello dì offrire, agli educatori, alcune occasioni di conoscenza e di riflessione sul fenomeno, derivate da vari studi e ricerche accreditate in campo psicologico, sociologico e pedagogico, nonché da un’osservazione attenta e sistematica del comportamento e degli atteggiamenti degli studenti, ricavata da esperienze educative personalmente vissute e da continui confronti con gli insegnanti nelle attività di docenza ai corsi di formazione e aggiornamento a livello nazionale.
–
Progetto Adolescenza
Si tratta anche di un punto di partenza per indicare, ai soggetti impegnati nel campo dell’educazione e ai responsabili delle istituzioni preposte, alcuni percorsi di approfondimento scientifico sul tema, nella prospettiva che una presa di coscienza vera, da parte di tutta la società civile del “pianeta adolescenza”, riesca ad inaugurare una vera e propria cultura di questa fase dell’età evolutiva e a realizzare, di conseguenza, un progetto integrato ad ampio respiro, che sia finalizzato alla tutela e al riconoscimento del diritto di cittadinanza della personalità minorile e di un suo vero status.
Bisognerà partire, come prima cosa, da un’analisi del modo di essere, di pensare, di sentire e di agire dell’adolescente. In secondo luogo, sarà necessario esaminare le disposizioni normative più significative a favore dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Infine si dovrà riflettere sulle possibili strategie di intervento integrato da parte delle Agenzie educative, istituzionalmente preposte alla realizzazione di Progetti mirati (Scuola, Enti locali, Agenzie formative operanti sul territorio, Enti di promozione sociale, Mondo dell’Associazionismo e del Volontariato, ecc).
Su questa problematica, a tutt’oggi, infatti, non risulta che siano state destinate risorse specifiche per questa fascia di età. Esiste, piuttosto, nel nostro Paese, una forte carenza di risposte di progetti preventivi centrati sui problemi dell’adolescenza.
Per certi versi, si può affermare che si tratta di una popolazione esclusa dai servizi socio-assistenziali esistenti ed istituzionalizzati. Un progetto serio in questa direzione dovrà essere finalizzato a favorire ed agevolare l’orientamento di processi di crescita, di apprendimento, di prevenzione del disagio e di promozione dell’agio. Bisognerà, in ogni caso, evitare la parcellizzazione delle iniziative, delle prestazioni e dei servizi, che fino ad ora sono stati attivati singolarmente, in modo episodico e isolato, dalle singole Agenzie formative operanti sul territorio, senza ricercare le giuste sinergie, né concordare obiettivi, strategie e modalità d’intervento.
A tal fine è necessario che una comunità educante ampliata mobiliti le necessarie risorse umane, professionali ed economiche ed utilizzi gli strumenti più idonei a pianificare, in un contesto collegiale, precisi interventi comuni e condivisi, con la chiara definizione dei ruoli partecipativi, in un accordo di programma a lungo termine, che potremmo definire “Progetto Adolescenza”.
Soprattutto bisognerà realizzare interventi di tipo preventivo e far uscire il sistema sociale da una perversa logica di rincorsa all’emergenza medicalizzata di tipo riparativo-bonificante. Il paese più felice non sarà, infatti, quello, in cui si moltiplicano gli specialisti delle patologie, ma quello che ne saprà fare più agevolmente a meno.
Il compito dei servizi è certamente quello di chiarire problemi, di individuare risposte adeguate alle necessità e alle esigenze delle persone, di fornire gli strumenti tecnici di lettura delle situazioni, ma compito primario resta quello di promuovere per tutti, ma per le nuove generazioni in particolare, un modo di essere più umanizzato, che privilegi il rapporto interpersonale e il sostegno reciproco, che consenta spazi di realizzazione personale, momenti di incontro con i pari e col mondo degli adulti.
In tale ottica diventa fondamentale creare, per questi nuovi cittadini, uno spazio di protagonismo complementare e/o alternativo alla famiglia e momenti di incontro e di aggregazione dentro una scuola aperta, che offra loro varie opportunità di arricchimento ed espansione della normale attività curriculare, oltre l’orario delle lezioni, in un ambiente, insomma, dove possano:
- sperimentare situazioni di ben-essere;
- svolgere attività legate ai loro interessi e alle loro aspettative (laboratori musicali,artistici, sportivi);
- valorizzare le personali potenzialità e vocazioni;
- vivere esperienze libere e creative;
- stabilire relazioni interpersonali;
- esprimere critiche;
- elaborare principi;
- avanzare proposte;
- ideare e realizzare progetti;
- valutare le diverse soluzioni possibili in una situazione problematica;
- effettuare delle scelte;
- creare le premesse per lo sviluppo dell’educazione alla convivenza civile e per la promozione di una cittadinanza attiva.
–
Uno Sforzo Culturale per gli Adolescenti di Oggi
Nella prospettiva di realizzare progetti mirati in questa direzione, risulta piuttosto sterile centrare l’attenzione solo su situazioni di malessere, emarginazione, solitudine, pericoli, comportamenti aggressivi, spesso rilevati dalle istituzioni e dagli educatori, per cui si rappresenta la necessità di mettere in atto terapie medicalizzate, sofisticate, raffinate e costose.
Occorre, invece, fare un coraggioso sforzo culturale per restituire ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, gli spazi di fantasia, di libertà, di gioco, di avventura, di socializzazione, che la società moderna ha loro sottratto, isolandoli dal contatto diretto con la realtà e offrendo loro, “a titolo di risarcimento”, l’immersione a tempo pieno nel mondo virtuale, nelle chiuse e quasi sempre solitarie prigioni telematiche delle loro case. Quest’ultime sono spazi fisici pieni di cose e di oggetti sofisticati, ma sono, di fatto, dei luoghi non umanizzati, dei “non luoghi” in cui mancano opportunità di comunicazione e socializzazione, in cui si alimenta la concezione di una realtà illusoria dove tutto è facile e possibile, dove tutto è già a disposizione, dove tutto si può avere, senza personale sforzo, sin dalla nascita.
Eppure è cosa nota che questi oggetti non conquistati non producono grande soddisfazione, ma alimentano, semmai, la tendenza a cambiarli continuamente, perché, in pochissimo tempo, diventano superati e obsoleti. Il nostro modello di sviluppo o quello che noi chiamiamo progresso, in realtà “non risponde ai bisogni, li crea” (F. Lyotard); esso si fonda sul continuo ricambio e crea continui bisogni di consumo per cui “possedere è come esistere”.
Non sarebbe esagerato affermare che:
[…] la psiche non abita più gli oggetti, ma sono gli oggetti che hanno intasato la psiche impedendo ad essa la propria prerogativa, ovverossia, funzionare simbolicamente
determinando una costipazione mentale, causata da una forma di incontinenza collettiva dalle conseguenze infauste. Coloro che parlano di società bulimica si riferiscono a questo genere di fenomeni (Luigi D’Elia).
Altri problemi da risolvere riguardano il comportamento degli adolescenti: le notizie e le denunce di casi eclatanti, riferiti a episodi aggressività, intolleranza, bullismo, cyber bullismo, spesso accompagnate da spavalde registrazioni filmate delle bravate, si limitano a fornire l’immagine di un “adolescente patologicizzato”, più che ad approfondirne la sua fisiologica sofferenza, legata ad un faticoso processo di passaggio dalla condizione infantile a quella adulta.
Senza sottovalutare questi fenomeni, che vanno giustamente approfonditi per poterli arginare e contrastare, è opportuno attivare interventi precisi e mirati. E’ certamente necessario seguire una politica diversa da quella finora attuata, perlopiù basata sulla filosofia patologicizzata degli interventi a favore degli adolescenti.
E’ molto più utile e produttivo, infatti, mettere in atto progetti di formazione e prevenzione, non parlando di loro e per loro, ma con loro, mettendosi in una posizione di ascolto, incoraggiando e sostenendo, per esempio, forme di protagonismo e di associazionismo, in cui loro siano direttamente coinvolti, come attori principali in una serie di attività liberamente scelte, che si spesso si configurano come “attività descolarizzate”, in cui trovi adeguato spazio l’educazione socio-emotiva, realizzabile, comunque, all’interno all’interno della scuola stessa.
Queste attività, che potrebbero essere organizzate sotto forma di veri propri laboratori, in cui prendono forma e consistenza conoscenze e abilità, comportamenti, costituiscono, sicuramente, per i ragazzi, un tirocinio esperenziale molto utile, una officina di umanità, che li allena e li guida a sviluppare, in modo creativo, le necessarie competenze del saper essere, da spendere nell’arco della vita (life skills).
Bisogna, in definitiva, riconquistare lo spazio e il tempo perduti per eliminare un disagio esistenziale sempre più diffuso, che si è ulteriormente aggravato, col fenomeno pandemico del Covid.
Particolarmente significativa a tale riguardo è l’analisi di Franco Berardi nel suo libro “La fabbrica dell’ infelicità”. Egli afferma, infatti, che il progetto economico-culturale dell’occidente è diventato, come appunto recita il titolo, una fabbrica di sordo ed universale disagio.
Paulo Virgilio, nella sua opera “Città Panico” parla di “crepuscolo dei luoghi”, dove i continui e rapidi spostamenti annullano i luoghi:
[…] le distanze si sono annullate e gli intervalli spazio e tempo sono scomparsi nella progressiva desertificazione e miniaturizzazione del mondo …dopo essere riuscita a miniaturizzare gli oggetti, le macchine, i motori, la tecnica ha infine raggiunto i propri scopi miniaturizzando i tragitti, i confini del mondo.
–
Fenomenologia dell’Adolescenza
L’adolescenza rappresenta lo stadio evolutivo della vita umana, forse più complesso, caratterizzato da cambiamenti di natura biologica e psicologica, in cui il soggetto deve far fronte a specifici e differenziati compiti di sviluppo, vale a dire una serie di problemi, che il soggetto deve affrontare in quel particolare periodo della sua esistenza (Polmonari – Psicologia dell’adolescente, il Mulino, Bologna, 1993, pp.58-64).
In ogni persona, che attraversa un particolare momento del processo della crescita individuale, inoltre, “i vincoli biologici interagiscono con fattori fisici, sociali, culturali” (Piero Paolicchi, Identità e sviluppo morale nell’adolescenza, 1991).
La tipologia dei compiti affrontati e i risultati ottenuti, collegabili alla richiesta/esigenza personale di assunzione di responsabilità e autonomia, sono determinanti per la costruzione dell’identità personale e del progetto di sé nel mondo.
L’età dell’adolescenza non è facilmente databile, ma per comodità di studio, potremmo collocarla tra la fine dell’infanzia e l’inizio della giovinezza (11-18 anni), anche se negli ultimi anni assistiamo, frequentemente, a numerosi casi in cui gli adolescenti prolungano la “rottura” e il “distacco parentale” fino ai trent’anni ed oltre, diventando, come affermano gli studiosi di psicologia sociale, dei veri e propri “adolescenti attardati” (late adolescence).
Il prolungamento, riguarda, di conseguenza la fase della gioventù. Particolarmente significativo, a tale proposito è un Rapporto IARD, che, sulla base di uno studio sul prolungamento dell’età in cui si è considerati giovani, fa questo tipo di raffronto: negli anni ’80 si era considerati giovani a 24 anni; negli anni ’90 a 29 anni; negli anni 2000 a 34 anni. E oggi?
Ironicamente si potrebbe affermare che conosciamo solo l’inizio dell’adolescenza, ma non ne conosciamo la fine. Sono, infatti, in aumento i giovani che sono costretti, per motivi economici o di studio, a prolungare la loro permanenza in casa dei genitori, che provvedono al loro sostentamento, determinandone, così, un ritardo di ingresso nel mondo degli adulti.
Per l’adolescente, inoltre, la fase di “traghettamento” fra i due momenti esistenziali (dall’infanzia alla giovinezza) non è mai indolore, ma è sempre accompagnata da un forte intensità emotiva, una sorta di lutto per le perdite infantili, spesso costellata da situazioni di sofferenza psicologica, da momenti di scarsa considerazione delle personali capacità, da un sentimento di disistima e inadeguatezza di fronte alle diverse sfide, che la nuova situazione impone di affrontare, fronteggiare e risolvere.
Egli, nel “far fronte” e nel “tener testa” alle varie difficoltà che gli si presentano (coping), adotta, di solito, due tipi di strategie:
- “la strategia emozionale” (con la quale cerca di negare o minimizzare il problema, esprime rabbia, aggressività verso qualcuno, si rifugia nella fantasia, ecc.);
- “la strategia finalizzata alla soluzione del problema” (con la quale analizza la situazione per trovare soluzioni, cerca informazioni o strumenti, chiede aiuto o consiglio a sostegni sociali esterni, organizza una reazione).
Il successo o l’insuccesso nell’affrontare i propri compiti di sviluppo possono rinforzare o deprimere il sentimento di autostima.
Un’autostima alta:
- facilita il superamento dei compiti di sviluppo;
- permette di attivare molte strategie di coping;
- sostiene le motivazioni all’impegno;
- si associa a sentimenti positivi.
Un’autostima bassa può determinare, invece, una serie di disordini emozionali (ansia, depressione, mancanza di motivazione ed energia), che si configurano con:
- comportamenti alloplastici di tipo dissociale;
- tendenza alla depressione e ai disturbi alimentari.
Accade anche che l’adolescente, avendo fatto inizialmente affidamento eccessivo sul suo sogno di indipendenza e di “rinascita”, in situazione di burrasca, cerchi poi un approdo sicuro e un’ancora di salvezza nei propri genitori.
Succede, così, che egli accusi i genitori di non dargli sufficiente libertà, di essere trattato come un bambino, ma contemporaneamente non li perde di vista, in quanto, anche senza volerlo ammettere, costituiscono comunque un punto fisso di riferimento, come afferma la famosa psicanalista Francois Dolto, un “valore-rifugio” in caso di bisogno.
In questa delicata fase evolutiva, caratterizzata dalla ricerca affannosa e sofferta di una seconda vita, l’adolescente manifesta atteggiamenti contrastanti ed ambigui, instabilità emotiva, cambiamenti di umore, reazioni sgarbate, contestazioni e provocazioni nei confronti dei genitori.
Su questo problema riportiamo quanto afferma Jean-Jacques Rousseau nel quinto libro dell’Emilio:
[…] L’uomo in generale, non è fatto per restare sempre nella fanciullezza. Ne esce al momento prescritto dalla natura, e questo momento di crisi, anche se piuttosto breve, ha conseguenze che si protraggono nel tempo.
Così come il mugghiare del mare precede di molto la tempesta, questa burrascosa rivoluzione si annuncia col mormorio delle passioni nascenti; un sordo fermento preavverte l’approssimarsi del pericolo. Balzi d’umore, frequenti crisi di collera, una continua agitazione mentale rendono il fanciullo quasi intrattabile. Diventa sordo alla voce che lo rendeva docile; è come un leone con tutta la sua febbre; non conosce più la sua guida, non vuole essere guidato.
Per quanto riguarda l’alternarsi dei vari stati d’animo particolarmente significativo è il bellissimo proverbio irlandese a proposito del clima: “nella nostra terra tutte le stagioni si susseguono in un giorno solo: puoi bagnarti di pioggia al mattino e, la sera, vedere il più limpido dei tramonti”.
In modo analogo, è, dunque, il proprio continuo sperimentarsi, in modo contradittorio, che aiuta l’adolescente a sviluppare una propria identità.
Leggi anche:
Il fenomeno degli Hikikomori in aumento in Italia: isolamento volontario tra gli adolescenti