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Per una diagnosi precoce nell’autismo: i possibili sintomi predittori del disturbo

Per una diagnosi precoce nell’autismo: i possibili sintomi predittori del disturbo

La mutevolezza tipicamente soggettiva con cui ogni individuo porta a compimento lo sviluppo di determinate funzioni, mette al riparo da abusi diagnostici in cui, un semplice dislivello evolutivo, viene scambiato per un segnale di svantaggio irreversibile, o ancor peggio come un sintomo patologico.  Ogni bambino osserva i propri tempi di sviluppo. Non è il caso di generalizzare.

Al contempo, pur senza allarmismi, è necessario prestare attenzione a tutte le fasi dello sviluppo, cercando di discriminare adeguatamente un deficit oggettivo da una difficoltà evolutiva,  un disturbo da un ostacolo  clinicamente reversibile. Questo al fine di  garantire l’identificazione precoce di determinati disturbi – come l’autismo- in cui una diagnosi e una presa in carica tempestiva possono tradursi in un miglioramento delle condizioni di vita e in una riabilitazione quanto più possibile adattiva del soggetto.


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L’importanza di una diagnosi precoce nell’autismo

La diagnosi e l’intervento precoce costituiscono degli imperativi nelle traiettorie a lungo termine e ai fini della qualità della vita dei bambini con autismo (Elder et al., 2017). È pertanto fondamentale intervenire prontamente per limitare, in caso di diagnosi accertata, le limitazioni comportate dalla patologia, agendo funzionalmente sulle traiettorie evolutive per rafforzare le fasi dello sviluppo e dei processi di formazione ( Dawson, 2010).

In riferimento al’autismo studi evidence based evidenziano come, interventi iniziati prima dei 4 anni di età, sono associati a miglioramenti nell’area delle capacità cognitive, del linguaggio e del comportamento adattivo (Vivanti et al., 2016; Dawson et al., 2010). Altri studi dimostrano come l’intervento precoce determini miglioramenti significativamente maggiori nelle abilità di vita quotidiana e nella comunicazione sociale (Robins et al., 2001).

L’applicazione del metodo DENVER mostra infine come una presa in carico globale di soggetti autistici, già dal periodo prescolare, possa contribuire a limitare gli effetti debilitanti del disturbo – soprattutto a carico dell’area cognitiva, comunicativa e comportamentale- garantendo un percorso evolutivo nel complesso meno svantaggiato.

Come individuare un bambino autistico già dalle prime fasi della vita?

Uno studio del 2007 ha individuato alcuni tra i tratti maggiormente predittivi dello sviluppo di un quadro di autismo – riscontrabili nel bambino dall’età di circa un anno (Caucino et al., 2007); con la precisazione che, ai fini di un’eventuale diagnosi, non è richiesta la compresenza di tutti i sintomi, essendo sufficiente una presenza parziale, per quanto ricorsiva e invalidante, degli stessi.

Abbiamo dunque:

  • L’assenza di pointing dichiarativo: indicare con il dito è una forma di comunicazione che precede di poche settimane la prima espressione verbale, in genere collocata entro i 12- 13 mesi. Tramite il pointing il bambino dimostra un’intenzionalità di relazione, e con essa  una consapevolezza dell’ambiente nel quale è inserito. L’assenza di questa capacità entro i due anni di vita può costituire il sintomo di un disturbo autistico o ipoacusico,  di un disturbo sensoriale o di un ritardo cognitivo;
  • Scarso utilizzo di gesti referenziali: Durante la fase preverbale si distinguono due tipologie fondamentali di gesti: quello deittico, collocabile attorno ai 9-10 mesi, riferito ad un oggetto collocabile in uno spazio d’azione esterno al Sé ( indicare una palla, una bambola, il ciucciotto), e quello referenziale, tipico dei 12-13 mesi, fornito di  una valenza più simbolica tesa ad indicare, in una sorta di script comunicativo, significati espressivi socialmente direzionati (salutare con la mano, tirare un bacino, etc.). Nel bambino autistico non si osserva la presenza né degli uni né degli altri;
  • Condotte di ecoprassia: tendenza incoercibile all’imitazione di gesti realizzati da altri, attuata con finalità afinalistica e improduttiva e spesso presente nelle condotte autistiche;
  • Scarso contatto oculare:  il bambino autistico sfugge il contatto oculare, se ne mostra infastidito o non riesce a mantenerlo per lunghi periodi;  
  • Assenza di divertimento condiviso: il bambino non utilizza il canale ludico in nessuna delle sue declinazioni espressive (relazionale, esplorativo, affettivo, didattica). Al contempo non fa uso dell’immaginazione, si mostra spaventato -ove non infastidito- dalla somministrazione di stimoli nuovi, e anche nel gioco manifesta interessi marcatamente stereotipati. Soprattutto non è capace di divertirsi insieme al genitore, né di organizzare con lui spazi di reciprocità goduta o di condivisione empatica;
  • Difficoltà a voltarsi se chiamato per nome: la scarsa consapevolezza del Sé e l’incapacità di relazionarsi al mondo esterno in una finalità socializzante costituiscono due caratteristiche tipiche del nucleo patologico autistico;  il soggetto autistico è piuttosto incapsulato in una membrana protettiva che lo isola da intrusioni esterne, percepite come dolorose, minacciose, finanche distruttive, e per questo evitate con una finalità difensiva;
  • Scarsa ricerca di contatto fisico: al contrario dei bambini normotipici- che nel contatto fisico reperiscono uno strumento di comunicazione emotiva, di contenimento ansiogeno, di mantenimento di un legame securizzante col caregiver- l’autistico considera il contatto fisico come un fattore invasivo ed opprimente, e tende a difendersi dallo stesso con insofferenza,  ostinazione e talvolta  con aggressività, auto o etero rivolta.
  • Assenza di vocalizzazioni: già verso i due tre mesi di vita il bambino è in grado di emettere forme verbali rudimentali, identificabili in vocalizzazioni prolungate e ripetute dirette verso il caregiver; a queste fanno seguito le lallazioni canoniche, consistenti in ripetizioni di sillabe uguali (ba-ba), emesse verso i sei mesi di vita, e le lallazioni variegate, relativa a ripetizioni di sillabe diverse ba-du, in genere collocabili verso gli otto-nove mesi; deficit verbali in queste fasi evolutive, ove inseriti in una cornice sintomatologica già compatibile con quella autistica, devono essere valutati a fini diagnostici;
  • Rigidità mimica, comportamentale e stereotipie: il bambino autistico è incapace di maturare un accesso consapevole alla propria dimensione affettiva, e in egual modo non riesce a sviluppare una capacità di lettura o di regolazione delle proprie emozioni. Ciò gli impedisce di esprimere le proprie emozioni così come di interpretare il vissuto emotivo altrui; di conseguenza, la mimica facciale è praticamente assente; scarse anche le velleità esplorative, in un contesto motivazionale ispirato da un’ esigenza ruotinaria imperante che rende intollerabile ogni tipologia di imprevisto o cambio di programma;
  • Presenza di sintomi psicomotori: ad esempio ipertonia o ipotonia diffusa, posture ceree e fissità dello sguardo;
  • Disturbi delle grandi funzioni: disturbi dell’alimentazione- in eccesso o in difetto- e del sonno;
  • Anomalie del pianto: laddove in un contesto normotipico il pianto dovrebbe mostrare caratteristiche evolutive, divenendo gradualmente meno acuto e disperato, il pianto del bambino autistico rimane fisso ad uno stadio di neonatalità, mostrandosi rigidamente monotono, non interazionale, eccessivamente acuto;
  • Ipoattività, talvolta generalizzata: il bambino non risponde adattivamente a stimoli ambientali o relazionali, ma tende a reagire con condotte passive di fronte a qualsiasi occasione di contatto con l’esterno;
  • Disturbo del dialogo tonico: con il termine dialogo tonico si intende la relazione che si crea tra l’adulto e il neonato nei primi mesi di vita, grazie al contatto pelle a pelle che favorisce la formazione di legami emotivi e li integra in un contesto di propriocezione. Grazie al dialogo tonico il bambino sviluppa un’adeguata consapevolezza del proprio corpo, unita alla capacità di percepire i propri stati somatici in una modalità adattiva. Il soggetto autistico, al contrario, non risponde alle stimolazioni corporee dell’adulto e si mostra disinteressato- ove non letteralmente destabilizzato- dalla lettura delle proprie. Non sono rari i casi di autistici in cui la percezione sensoriale, del Sé e dell’ambiente, viene accolta con reazioni disregolative, disforiche, talvolta aggressive.

Gli strumenti di screening per l’autismo

Gli strumenti di screening più diffusi e utilizzati a livello internazionale sono il CHAT e M-CHAT (Checklist for Autism in Toddlers, Baron Cohen et al., 1992; Modified Checklist for Autism in Toddlers, Robins et al., 2001), il primo dei quali consiste nell’osservazione diretta di bambini dai 18 ai 24 mesi, integrata con una breve intervista -somministrata ai genitori- e inerente tre competenze che un bambino di 18 mesi normotipico dovrebbe aver sviluppato: l’attenzione congiunta, il gesto dell’indicare e il gioco di finzione. Si tratta di uno strumento piuttosto attendibile, dotato peraltro di un’ottima specificità ( ovvero riporta pochissimi casi di falsi positivi) per quanto se ne lamenti la caratteristica opposta, ovvero la tendenza a segnalare numerosi casi di falsi negativi.

Proprio per questo è stato sperimentato il modello M- CHAT, (Modified -CHAT), che cerca di ovviare al suddetto rischio cercando di integrare il risultato del test con una maggiore attenzione all’anamnesi e all’osservazione del bambino, sempre tenendo in considerazione che le caratteristiche patologiche tipiche dell’autismo possono subire variazioni reversibili almeno fino allo stadio evolutivo dei 36 mesi.

Prestare attenzione ma senza allarmarsi : Il bambino è un bersaglio mobile, lo si è specificato all’inizio. Dunque, cercando di evitare il più possibile la presenza di falsi negativi (bambini autistici erroneamente non identificati), è opportuno non creare allarmismi laddove non se ne riscontri fondatezza clinica. Screening ripetuti ed integrati, condotti consapevolmente, nel rispetto delle dovute tempistiche e delle competenze necessarie, si mostrano lo strumento di indagine più equilibrato e realistico per la diagnosi precoce di questo e di ogni altro disturbo.


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Bibliografia di riferimento

Charman T., Baird G. (2002). Practitioner review: diagnosis of autism spectrum disorder in 2- and 3-year-old children. J Child Psychol Psychiatry 43: 289-305.

Caucino A., Bandi G., Crivelli E., Debernardi C., Fagnani F., Micai M., Bailo P., Migliaretti G.(2007). Individuazione dei segni precoci dell’autismo attraverso lo studio dei filmati amatoriali, Autismo e Disturbi dello sviluppo, N°3.

Dawson, G. (2008).  Early behavioral intervention, brain plasticity, and the prevention of autism spectrum disorder.  Development and Psychopathology, 20, 775-803.

Dawson, G., Jones, E. J. H., Merkle, K., Venema, K., Lowy, R. & Faja, S. (2012). Early behavioral intervention is associated with normalized brain activity in young children with autism. Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, 51 (11).

Elder J.H., Kreider C.M., Brasher S.N., Ansell M. (2017). Clinical impact of early diagnosis of autism on the prognosis and parent–child relationships. Psychology Research and Behavior Management; 2017:10 283–292.

Robins, D.L., Fein, D., Barton, M.L., Green, J.A., (2001) The Modified Checklist for Autism in Toddlers: an initial study investigating the early detection of autism and pervasive developmental disorders , In Journal of autism and development al disorders, 31, (2), 131-144.

Vivanti, G. (2021) La mente autistica, Hogrefe, Roma.