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Le emozioni: strutture di significato favorenti o inibenti il burnout

Le emozioni: strutture di significato favorenti o inibenti il burnout

Quando la mente non può tener testa al mondo reagisce emotivamente: l’emozione è una maniera magica per trasformare il mondo” (Sartre, 1939).
Goleman afferma che tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire. In altre parole, piani d’azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione deriva dal latino moveo, ‘muovere’, con l’aggiunta del prefisso ‘e-’(movimento da), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire.

L’emozione come risposta neurofisiologica

Lo psicologo americano William James dettò la svolta nell’ambito, iniziando a parlare di eventi neurofisiologici che avvengono all’interno del nostro corpo e che innescano risposte precise: secondo la sua teoria, le emozioni sono i cambiamenti fisiologici che avvengono nel soggetto e la percezione di queste reazioni sarebbe la base dell’esperienza emotiva. James poneva l’attenzione sull’arousal, il meccanismo fisiologico che scatta all’interno del sistema nervoso: non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo, non tremiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché tremiamo.

Le teorie di James furono pionieristiche ma, col tempo, psicologi e psicoanalisti (tra cui Freud) si distaccarono da questa concezione. Lo stesso Freud definì le emozioni come il veicolo con il quale le informazioni e conoscenze dell’inconscio emergono alla coscienza: l’inconscio, parlando in un linguaggio metaforico, relazionale, iconico, analogico, ci permette di acquisire importanti informazioni che assumono senso.

Le teorie dell’appraisal

Con lo sviluppo delle teorie dell’appraisal la concezione di James venne superata: non è la natura dell’evento in sé o i singoli meccanismi fisiologici a suscitare l’emozione, ma è l’interpretazione cognitiva dell’evento, in relazione al proprio benessere individuale e sociale.

Pertanto, come evidenziato dallo psicologo olandese Nico Henri Frijda, le emozioni sorgono in risposta a situazioni che sono valutate come importanti per il soggetto. Eventi che soddisfano i propri scopi e desideri attivano emozioni positive, eventi che minacciano i propri interessi conducono a emozioni negative, mentre eventi inattesi e nuovi producono sorpresa e stupore.

Emozioni e sindrome del burnout

Questi concetti di base sono gli elementi chiave per comprendere la nascita della sindrome del burnout.

Le emozioni, infatti, non compaiono all’improvviso e senza una ragione d’essere, ma sono conseguenze di un’attività di conoscenza e valutazione di una situazione vissuta dal soggetto. Per questo motivo è importante sviluppare una personale resilienza alle situazioni, creando stili cognitivi positivi e condotte emotive ad alta capacità di adattamento (Sandrin, 2013).

Sono le emozioni che permettono la comunicazione tra la mente ed il corpo e sono proprio loro ad alterare o regolarizzare i flussi ormonali ed enzimatici (da qui i disturbi psicosomatici o la regolarizzazione dell’assetto ormonale-fisiologico mediante tecniche di meditazione o rilassamento). Le emozioni sorgono in risposta a situazioni valutate come importanti. Sono proprio le nostre valutazioni personali dello stimolo entrante che rendono uniche e inconfondibili le varie emozioni: a seconda di come le esprimiamo costruiamo la nostra identità, regolando aspirazioni, obiettivi.

Dunque, l’emozione si presenta come un processo biologico che, da una parte, attiva una risposta fisiologica del cervello, e dall’altra guida il pensiero ad agire stabilendo o modificando le relazioni dell’individuo con l’ambiente.


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La repressione delle emozioni e il “bisogno” di coerenza

Quando le emozioni iniziano ad essere represse (perché ritenute inadeguate) oppure ad essere discordanti con i propri comportamenti può nascere un conflitto interno definito come dissonanza cognitiva, teoria sviluppata da Leon Festinger nel 1957.

Secondo tale approccio, l’essere umano ha bisogno di mantenere una certa coerenza tra le cognizioni possedute, le opinioni e le credenze verso se stesso ed il mondo, anche quando ciò non accade. Ogni volta che si manifesta dissonanza, questa provoca nella persona uno stato di disagio emotivo che desidera rimuovere, per ristabilire l’equilibrio e mantenere alta la propria autostima e immagine di sé.

L’essere umano interviene in questo processo in due modi: attuando un cambiamento comportamentale con strategie di coping efficace oppure apportando distorsioni ai propri giudizi. Purtroppo la seconda modalità è la più frequente e viene attivata usando autogiustificazioni e distorsioni dei giudizi circa le proprie azioni. Questo perché il cambiamento richiede maggior dispendio cognitivo e implica lo stravolgimento dei propri stili di attaccamento, delle proprie abitudini e dei propri “copioni” sociali.

Emozioni e bias cognitivi

Per esempio, una tendenza ampiamente diffusa per salvaguardare la propria autostima è ben descritta da L. Ross (1977) quando parla dell’errore fondamentale di attribuzione: gli individui tendono a trovare la causa dei propri fallimenti ed errori in eventi esterni, mentre i successi sono dovuti e valutati da fattori interni. Avviene l’opposto per i giudizi circa le persone che ci circondano: generalmente valutiamo i successi altrui come conseguenze di fattori esterni, mentre gli insuccessi vengono valutati come conseguenza delle azioni compiute.

Altra modalità usata per mantenere invariate le conoscenze possedute è il confirmation bias: ovvero la ricerca di informazioni che confermano il bagaglio cognitivo e i giudizi già posseduti senza apportarvi, quindi, nessuna modifica; tutto questo porta la persona a salvaguardare apparentemente l’immagine di sé.

Tali bias ed euristiche cognitive portano alla ripetizione di comportamenti poco costruttivi: questi, a loro volta, sono sostenuti da emozioni autodistruttive che vengono continuamente rinforzate dalla ripetizione di atteggiamenti abitudinari. In questa spirale discendente diventa normale sviluppare disturbi psicosomatici sostenuti da emozioni dissonanti e, di conseguenza, sviluppare sindromi come quella del burnout, in cui le emozioni dissonanti e represse nel tempo logorano mente e corpo portando a disturbi psicosomatici oltre che a mancanza di coerenza nella valutazione del proprio sé e quindi a disistima.

Tratti della personalità e Burnout

Molte ricerche, inoltre, dimostrano come il burnout sia legato anche ad aspetti personologici che possano ostacolare o favorire l’insorgere della sindrome. Recentemente, grazie al modello di personalità basato su cinque dimensioni, detto Big Five-Factor Model (FFM), si è potuto comprendere come i livelli di pensare, agire e sentire siano diversi da individuo ad individuo e come ogni persona possa avere aspetti che favoriscano l’insorgere del problema. Le cinque dimensioni sono:

  1. Energia: dinamismo e dominanza.
  2. Amicalità: cooperatività e cordialità.
  3. Coscienziosità: scrupolosità e perseveranza.
  4. Stabilità emotiva: controllo dell’emozione e controllo degli impulsi.
  5. Apertura mentale: apertura alla cultura e all’esperienza.

Secondo uno studio di Zellars e colleghi, le persone con bassi livelli di stabilità emotiva sono più esposti all’esaurimento emotivo, mentre scarsa energia e chiusura mentale portano alla depersonalizzazione. Inoltre, anche la bassa amicalità, intesa come basso livello di altruismo e cooperazione, possono incrementare il rischio di sviluppare burnout.

La coscienziosità, se vissuta come “raggiungimento del perfezionismo” può essere un fattore favorente ma, se trasformato come “elemento atto a raggiungere un livello di eccellenza” (quindi si passa dall’autovalutazione della propria persona all’autovalutazione del compito eseguito) può permettere al soggetto di concepire la possibilità del miglioramento, senza demolire il livello di autostima personale.