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Coltivare la resilienza (Parte 1)

Coltivare la resilienza (Parte 1)

Il termine resilienza ha un’origine latina: il verbo “resilire” si forma dall’aggiunta del prefisso “re-” al verbo “salire” (“saltare, fare salti”), col significato immediato di “saltare indietro, ritornare in fretta, rimbalzare”.

La parola è stata coniata in fisica per descrivere l’attitudine di un corpo a resistere ad un urto, per designare la capacità che un metallo ha di sopportare sforzi applicati bruscamente, senza rompersi e senza che si propaghino fessure all’interno.

A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale si possono riscontrare i primi lavori di attenzione su tale tema, attenzione sul trauma che tale evento rappresenta e comporta, sulle sue conseguenze. L’idea scientifica di resilienza come capacità duttile dei materiali (per cui si intende un particolare assorbimento della deformazione elastica) giunge alla psicologia, assumendo il significato di fare un passo indietro e, con una rincorsa, superare una difficoltà esistenziale.


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La ricostruzione dopo il trauma

L’evento traumatico provoca un’agonia psichica; dopo di esso, però, la persona ferita nel profondo della propria anima può ritornare alla vita. Il colpo è esistito nel reale, ma l’individuo è in grado di riprendersi, ritornando non all’esistenza precedente, poiché conserva nella propria memoria la traccia dell’evento scioccante, ma ad un’altra.

In psicologia, la resilienza è la capacità di un individuo di riuscire ad affrontare gli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi le difficoltà; essa consente l’adattamento alle avversità.

Si tratta di un processo che permette la ripresa di uno sviluppo possibile dopo una lacerazione traumatica, nonostante la presenza di circostanze avverse e di grande vulnerabilità, quali una violenza, un lutto, una catastrofe naturale o una guerra.

Si precisa come, per esistere resilienza, occorra che sia avvenuto un confronto con la ferita o con il contesto traumatizzante e che sia avviato un percorso di rivisitazione della propria storia, non in chiave autobiografica, ma attraverso azioni educative, incontri ed occasioni di crescita. Ciascuno deve poter trovare dentro di sé delle soluzioni, divenire responsabile del proprio processo di cambiamento.

La resilienza umana permette la costruzione e la ricostruzione: è un’evoluzione diacronica e sincronica in cui le forze biologiche dello sviluppo interagiscono con il contesto sociale, per creare una rappresentazione di sé, attraverso la collocazione del soggetto all’interno della propria storia e cultura di appartenenza.

La “storia” della resilienza

Tale capacità di rimanere in piedi è riscontrabile fin dall’origine dell’umanità. Le persone resilienti sono sempre esistite, prima ancora della nascita della parola stessa: si pensi alla letteratura per l’infanzia ricca di esempi, quali Cenerentola e Pel di Carota.

La resilienza non è soltanto una capacità connaturata all’essere umano, ma si sviluppa in relazione all’ambiente, in un complesso reticolato sistemico e multifattoriale che contempla la persona, la famiglia, le strutture educative e la comunità. Non è mai assoluta, totale, immobile nel tempo, acquisita una volta per tutte, ma varia a seconda delle circostanze, della natura dell’evento sconvolgente, dello stadio di vita: occorre coltivarla!

Il concetto designa l’arte di adattarsi a situazioni avverse e di sviluppare capacità collegate sia a risorse interne sia esterne, affettive-ambientali che permettono una buona costruzione. È un processo naturale che spinge il soggetto a relazionarsi con l’ambiente ecologico, affettivo e verbale. Se soltanto uno di questi dovesse venir meno, lo sviluppo si bloccherà; se, invece, trova un punto di appoggio, la sua soluzione riprenderà: l’ambiente aiuta il soggetto segnato da un particolare evento negativo a trasformare un’esperienza dolorosa in apprendimento, ad acquisire delle competenze utili al miglioramento della qualità della vita e all’organizzazione di un percorso autonomo e soddisfacente.

La resilienza implica l’attitudine di sublimare e pensare, comporta non soltanto la resistenza agli ostacoli che l’esistenza pone di fronte all’uomo, ma anche una notevole forza, la volontà di costruire e di crescere.

Non si tratta di una metamorfosi: la persona non cancella il proprio passato, non elimina il trauma o il deficit che ne deriva, ma trasforma interiormente e soggettivamente in modo diverso ciò che è accaduto. L’esperienza traumatica che rimane scritta nel profondo dell’animo può divenire occasione formativa non soltanto per chi la incontra in prima persona ma anche per coloro che indirettamente la vivono.

Resilienza e vulnerabilità

La resilienza incontra la nozione di vulnerabilità: essere vulnerabili significa essere facilmente attaccabili, danneggiabili dal dolore, dalla sofferenza ed essere esposti a pericoli.

Il termine indica uno stato di poca resistenza a fattori aggressivi e dannosi, una condizione di rischio a cui prestare attenzione e cura. L’etimologia del termine deriva dal latino “vulnus” che significa “ferita, lesione”: essa ha bisogno di tempo, spazio, cure e attenzioni particolari per potersi rimarginare in modo appropriato.

L’animo umano quando è ferito funziona come la pelle: i colpi inferti dalla vita rischiano di far perdere i punti di riferimento e le basi solide che con il tempo si sono consolidati; stabili fondamenta richiamano la possibilità di ricostruire un sistema all’interno del quale ci si sente riconosciuti e nel quale ci si riconosce. Nel momento in cui la compagine si rompe, si entra in una fase di confusione e di perdita della bussola interna che fino ad allora aveva permesso l’orientamento e si accede, così, ad una condizione di vulnerabilità, in cui elementi di fragilità predominano sugli elementi positivi.

La resilienza permette di rivisitare la nozione di vulnerabilità; è necessario riuscire a conciliare la dimensione della vulnerabilità con quella della risorsa della vita. La vulnerabilità è un concetto dinamico, dal momento che riguarda il processo di sviluppo delle potenzialità del bambino; sul versante opposto si riscontra, invece, la nozione di resilienza, ovvero la capacità di difendersi e di reagire alle situazioni angosciose.

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