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L’Isolamento Manipolatorio, ovvero la Propedeutica del Femminicidio

L’Isolamento Manipolatorio, ovvero la Propedeutica del Femminicidio

L’inizio di una relazione di coppia dovrebbe essere l’inizio della costruzione di una vita in comune, contornata di affetto e condivisione, accettazione reciproca, sostegno e progettazione del futuro.

Il condizionale è d’obbligo, perché non sempre la base su cui si fonda una relazione è solida ed equilibrata. Purtroppo capita molto spesso che si manifestino forme di attaccamento patologiche e manipolazione che sfociano in episodi drammatici.

Il comportamento manipolatorio

Sfortunatamente, il percorso è lungo e tortuoso e di difficile individuazione, se non reso evidente da un buon livello di consapevolezza, soprattutto perché i manipolatori sono estremamente abili e fanno passare spesso l’attaccamento e il controllo per il grande amore o peggio, il bisogno.

“Mi lasci solo?” non è una battuta, non è uno scherzo, non è una manifestazione di affetto profondo, ma un atteggiamento passivo aggressivo inteso a suscitare sensi di colpa nell’altra persona. Dalla domanda si passa all’accusa “Mi lasci solo!” contornato da un “Scherzo, vai pure”. La concessione. Il manipolatore concede, non cede.

“Le tue amiche sono matte/sceme/pu***ne/stupide” e “Tu non sei come loro” è l’inizio della fine.

Dalla denigrazione all’isolamento

La denigrazione è un altro strumento del manipolatore, che inizia dalle amicizie, per finire con la famiglia e concludere, se ancora qualcuno fosse rimasto, con i colleghi.

Niente di tutto questo avviene con violenza, all’inizio. Tutto si svolge subdolamente facendo leva su quei sentimenti di senso di colpa e attaccamento che un po’ tutte abbiamo.

Sembra che lui abbia davvero a cuore la nostra presenza, la nostra compagnia, la nostra salute, la nostra incolumità. “Non fare tardi” non è interesse e preoccupazione, è controllo. Si traduce con “Ho il potere sui tuoi orari e sulle persone che intendi frequentare, ma finirà presto”. Prima di pensare che siano atteggiamenti inconsapevoli, ricordiamoci che i manipolatori sono perfettamente coscienti delle loro azioni e hanno un intuito speciale per i punti deboli delle loro vittime (Liberati dai manipolatori – Christel Peiticollin).

La tecnica passivo aggressiva è tipica e ampiamente utilizzata.

Si passa poi alla selezione delle amicizie, per ridurre la persona a frequentare solo gli amici e i colleghi di lui, oltre alla propria famiglia, dopo un po’, del tutto in esclusiva.

Piccoli passi ma inesorabili.

Anche la musica diventa quella di lui. Sembra sciocco, ma non lo è: i programmi televisivi, gli hobby, le località di vacanza. Un passo alla volta l’identità dell’altra persona viene stravolta, manovrata.

Le motivazioni del manipolatore

Se cerchiamo la motivazione, di certo al primo posto troviamo il controllo. Che sia dettato o meno da personalità narcisistica (Narcissism – Alexander Lowen), questo è il motivo principale delle manovre di isolamento.

L’isolamento è la base per la violenza. Una donna isolata è un bersaglio facile: essendo circondata solo da persone che sono dalla parte di lui non verrà creduta, capita, aiutata. Non saprà a chi rivolgersi e potrebbe addirittura trovarsi con persone del proprio passato che, proprio perché messe da parte, potrebbero voltarle le spalle. La sua stessa famiglia di origine potrebbe avere lo stesso comportamento.


Il delicato – e tristemente attuale – tema dei legami tossici e della violenza di genere è approfondito in alcuni dei nostri corsi disponibili sulla piattaforma IGEA CPS.

Suggeriamo, in particolare, il seminario gratuito online Il narcisismo nella relazione di coppia, il corso online NARCISISMO – Riconoscere e comprendere la personalità narcisista e il seminario online La violenza sulle donne: Riconoscerla per intervenire.


Imparare a riconoscere il comportamento manipolatorio

Già arrivare a rendersi conto che ci si trova in questa situazione sarebbe una grande presa di consapevolezza. Spesso, troppo spesso, quando si alza la testa perché ci si accorge di non stat vivendo la propria vita ma quella di un altro, è tardi.

Si può sopravvivere se ci si annulla, se si rinuncia a sé stesse, se ci si identifica con la vita dell’altro e non si chiede nulla per sé. Si diventa un’appendice mobile e basta.

Quando ci si rende conto in anticipo che qualcosa non torna, magistralmente il manipolatore si mostra in tutta la sua magnificenza. Proverà con metodi subdoli a riportare sulla retta via la compagna recalcitrante: qualche cena, qualche vacanza, qualche regalo. Ma poi la rabbia per la perdita controllo sfocerà nella violenza.

E così, quello che purtroppo accade è la sottovalutazione di quanto sta accadendo e l’isolamento, che porta alla mancanza di confronto con altre donne.

Il processo è lungo, lento, ben studiato, per questo si fa fatica ad accorgersene. Bisognerebbe ammettere con sé stesse che non si è amate e forse non lo si è mai state, bisognerebbe poter accettare che tocca anche a noi e non solo a quelle sul giornale, bisognerebbe poter dire “ma sono io quella”. È forse la cosa più difficile, perché vuol dire ammettere di essersi sbagliate nella scelta della persona e soffrire di un dolore molto profondo.

Come difendersi e uscire dall’isolamento manipolatorio

Il primo passo è la consapevolezza della situazione, poi assolutamente il perdono di noi stesse, nell’ammettere di esserci trovate in questa situazione. Il secondo passo è andarsene per la propria strada e recuperare noi stesse.

Facile? Purtroppo no, per niente.

La mancanza di confronto con le altre donne è quello che permette al manipolatore di non essere identificato. Per questo, i manipolatori cercano sempre di escludere le amicizie femminili dalla vita delle proprie compagne: una volta smascherati perdono completamente il loro potere. È fondamentale mantenere le proprie amicizie, in quanto soprattutto la richiesta di rinunciare ad esse è la primissima avvisaglia della manipolazione.

L’importanza dell’indipendenza economica

Altra mossa manipolatoria estremamente grave è la richiesta di abbandono del proprio lavoro e di conseguenza della propria indipendenza economica. È una conclamata forma di violenza, ma solo sulla carta, perché nei fatti nessuno degli organi preposti la considera tale e, se esiste un fondo per le vittime della strada, non ne esiste uno per le donne segregate.

E segregate non è un termine eccessivo: una donna che viene privata del contatto con altre persone e del suo sostentamento economico vive una condizione di totale isolamento e sudditanza, non solo psicologica ma anche materiale.

E così, a passi lenti ma determinati e determinanti, il manipolatore assume il controllo assoluto della persona che ha accanto.

Se i casi di violenza non sono così tanti, agli occhi del mondo, è perché la maggior parte non vengono segnalati e un’altra grossa fetta non viene presa in considerazione come forma di violenza, come le violenze verbali, psicologiche ed economiche. Una nota associazione di difesa della donna, a seguito di una richiesta di aiuto, rispose che fino a che non si vedeva il sangue, la cosa non sarebbe stata presa in considerazione.

Per questo motivo è fondamentale che diventiamo estremamente attente e consapevoli, che non neghiamo l’evidenza, che non sottovalutiamo i piccoli, piccolissimi segnali, che manteniamo sempre e comunque la nostra fondamentale indipendenza economica e che non lasciamo da parte le nostre sorelle, le nostre amiche, i nostri spazi personali, i nostri interessi.

Vuol dire dichiarare quotidianamente la nostra esistenza in vita, affermare noi stesse, essere nel nostro pieno potere. Soprattutto, essere vive.