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Cherofobia: La paura di essere felici

Cherofobia: La paura di essere felici

“Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce”.

Così Seneca sembra aver detto tutto, nonostante abbia detto poco. Perché è realmente poco che occorre per essere felici. Ma noi non ce ne accorgiamo più. Se dovessero domandarci quando è stata l’ultima volta che siamo stati felici, probabilmente impiegheremmo del tempo per rispondere. E impiegheremmo del tempo perché, ormai, tutto ciò che ci rende felici si “misura”.

Che cos’è la cherofobia?

Definita come un atteggiamento piuttosto che un disturbo, la cherofobia è, come suggerisce il termine stesso, una paura. Paura non tanto di essere felici quanto di non esserlo! Esiste una notevole differenza, occorre sottolinearlo: chi teme di non essere felice ha la tendenza ad auto-sabotarsi, mettendo in atto una serie di atteggiamenti che porteranno l’individuo in questione ad un inevitabile allontanamento dalla felicità.

La persona cherofobica si definisce, in un certo senso, artefice di una infelicità ineluttabile a cui non riesce a sfuggire, in quanto condizione autoimposta. Inoltre, tende ad utilizzare questa particolare forma di paura come meccanismo di difesa da quelle situazioni che ritiene di dover evitare poiché incapace di controllare.


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Cause e sintomi della cherofobia

Ciò che provoca la cherofobia è, certamente, un vissuto della propria infanzia che ha generato un collegamento tra la felicità e la paura di esserlo. Questo perché, probabilmente, a dei momenti di felicità del bambino hanno fatto seguito delle punizioni piuttosto che delle approvazioni, insegnando al bimbo che la felicità non è un aspetto positivo della vita ma qualcosa da cui rifugiarsi.

Per questo motivo, il bambino prima e l’adulto poi, imparerà che da tutti quei momenti di felicità e di celebrazione della stessa, che possano essere un momento di condivisione con i proprio cari o con gli amici oppure una relazione (sentimentale o amicale), è bene mettersi in guardia piuttosto che farne parte.

La persona cherofobica apprende che la felicità è un qualcosa di non meritato e che sia meglio rimanere a guardarla da lontano. Il cherofobico è uno spettatore più che un partecipante della vita stessa.

Ci sono personalità maggiormente predisposte alla cherofobia, come quelle narcisistiche, immature, depresse (non gravi) e quelle dotate di un “enorme senso di colpa inconscio”. Quest’ultima attribuzione, nel 1916 venne data da Freud, il quale delineava il cherofobico come un individuo votato al fallimento, che si porta dietro un enorme senso di colpa inconscio verso i membri della propria famiglia e gli amici poiché teme di superarli per quanto concerne abilità, prestigio, visibilità.

Ed è per questo che chi soffre di cherofobia tende ad intraprendere sempre strade deludenti per sé stesso, incappando in amicizie tossiche, relazioni incapaci di sbocciare e rifiutando tutte quelle occasioni che potrebbero arrecargli successo, come se si trattasse di un “cammino di Santiago” eterno, volto ad una purificazione per espiare dei peccati mai commessi.

La persona cherofobica vive la sua vita colma di razionalità e scevra di emotività, a tal punto che anche la prospettiva cerebrale ne risente. Il cervello di questi individui, infatti, non essendo più abituato al normale funzionamento neurochimico di alcuni meccanismi, in questo caso inerenti alla sfera del benessere, non li riconosce più e mette in atto delle difese che, dal punto di vista somatico sfociano in attacchi di panico.

Curare la cherofobia

Curare la cherofobia è possibile, attraverso l’adozione di atteggiamenti specifici come:

  • annotare le proprie emozioni su un diario personale;
  • fare sport, uscire, prendersi del tempo per sé stessi, impegnarsi in azioni/attività che non abbiano un fine particolare, se non quello di imparare a trarre la felicità dai piccoli momenti quotidiani;
  • circondarsi di relazioni sane, evitando quelle tossiche;
  • imparare ad interagire con le proprie emozioni, comunicando, soprattutto alle persone a cui si è particolarmente legati, il proprio stato d’animo;
  • attivarsi in esercizi di respirazione e meditazione.

L’alternativa è quella di intraprendere un percorso terapeutico in cui si impari ad accogliere la felicità, piuttosto che a respingerla attraverso meccanismi patologici di fame nervosa, isolamento, sensi di colpa.

La psicoterapia è necessaria per imparare a comprendere quanto sia importante affrontare le emozioni piuttosto che reprimerle, in modo da scongiurare un loro ritorno più incisivo ma soprattutto per modificare un copione di vita, rendendo il bambino che abita in ognuno di noi un adulto consapevolmente felice.