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VISITARE FIRENZE: Non solo il Duomo e Piazza Della Signoria

VISITARE FIRENZE: Non solo il Duomo e Piazza Della Signoria

UNA FIRENZE D’OLTRARNO CON LA SUA MERAVIGLIOSA BASILICA DI SANTO SPIRITO

Quando si parla di Firenze e si incontrano gli scatti che la rappresentano, possiamo notare subito che tre bellezze, della culla del Rinascimento, sono sempre presenti e ritratte: sicuramente l’emblematico complesso del Duomo di Santa Maria del Fiore, insieme ad esso Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria ed infine l’immancabile Ponte Vecchio.

Per ognuno di questi tre simboli di Firenze è possibile affermare senza alcun dubbio l’unicità:

  1. Complesso del Duomo di Santa Maria del Fiore: di marmo bianco rosa e verde, accanto al Campanile di Giotto, edificio più famoso a Firenze, senza dimenticare la cupola di Brunelleschi e poi il Battistero di San Giovanni.
  2. Palazzo Vecchio: sorge in Piazza della Signoria, con la sua architettura medievale caratterizzata dalla Torre di Arnolfo, alta 94 m.
  3. Ponte Vecchio: a Firenze dal 1345, sopravvissuto a molte guerre e alle piene dell’Arno, sicuramente una vista sorprendente, eterea, su di una romantica Firenze.

Queste descrizioni sono doverose per poter citare Firenze, la città del cuore di chi ha “a cuore”, la culla di una cultura in fiore, del secolo rinascimentale, il Cinquecento e di ciò che ne è conseguito. Mancherei in qualcosa però se non citassi una parte della Firenze d’Oltrarno.

Superato il Ponte Vecchio, infatti, un’altra splendida meraviglia è presente, nonostante la distanza dai luoghi più centrali della città. Una Basilica davvero magica, meno in evidenza rispetto alle altre, poco sfarzosa, più sobria e particolarmente elegante, la Basilica di Santo Spirito. Un’incredibile opera del Quattrocento, disadorna ma splendidamente nitida e lucente grazie al suo intonaco compatto, e una facciata senza decori; un capolavoro di Filippo Brunelleschi.

Al suo interno, nello specifico nella sagrestia, in una delle nicchie della sala, contiene un’opera di un giovanissimo Michelangelo diciottenne: il suo Crocifisso ligneo, che scende dal alto, in sospensione. Un’opera assai ricca di fascino e suggestione, che richiama l’estrema semplicità della facciata di questa Basilica e che non ha nulla in meno dei tanti Crocifissi dipinti, presenti in altre chiese. Una scultura che, con la sua sorprendente linearità e purezza, rende quasi “vivo” il Gesù sulla croce.

FIRENZE E LA BASILICA DI SANTA CROCE: “TEMPIO DELLE GLORIE ITALICHE”

Firenze non finisce mai di stupire e meravigliare, la città dei fasti e degli splendori del Cinquecento, una città di glorie? Ebbene sì. Dentro una Basilica francescana, in particolare, tutto riporta alla infinita straordinarietà di Firenze: la Basilica di Santa Croce, “Tempio delle Itale Glorie”, citando Ugo Foscolo nei suoi “Sepolcri”.

Sulla facciata neogotica una inconsueta Stella di David, voluta dall’architetto di religione ebraica Niccolò Matas, la cappella disegnata invece dal Brunelleschi, nel 1429, Cappella dei Pazzi, affiancata dai rilievi dei quattro Evangelisti.
Qui appunto, le glorie d’Italia, il ricordo e l’unione di chi ha contribuito a dare fama e prestigio a Firenze e all’Italia, geni Italici di spiccata personalità:

  • Il Sepolcro del poeta Ugo Foscolo e del pensatore Macchiavelli;
  • Il Sepolcro del celebre compositore Gioacchino Rossini;
  • Il monumento funebre di Vittorio Alfieri e la tomba di Giovan Battista Niccolini, due famosi drammaturghi fiorentini. La tomba di quest’ultimo fu presa come modello per la Statua della Libertà, un impressionante somiglianza;
  • La tomba del grande scienziato Galileo Galilei, con accanto due statue di donna, a rappresentare l’Astronomia e la Geometria;
  • La tomba del genio di Michelangelo, con le tre immancabili statue di donna a rappresentare la Pittura, la Scultura ed infine l’Architettura;
  • In ultimo, ma certamente non per importanza, il cenotafio (monumento senza le spoglie) del sommo poeta Dante, visto che i suoi resti sono conservati a Ravenna, dove morì nel 1321. Un monumento evidentemente glorioso e triste nello stesso tempo; le statue intorno manifesto sia di profondo orgoglio che di immenso dispiacere per la perdita dell’”Altissimo Poeta”, come cita anche l’iscrizione al di sotto di un Dante maestoso ma anche assorto nei pensieri.

DANTE ALIGHIERI E LA GLORIA DELLA LINGUA ITALIANA

Poeta di ieri, oggi, ma senza dimenticare il domani, un classico che attraversa generazioni e millenni, Dante Alighieri il padre della lingua italiana, un genio che ad oggi sa trasmettere ancora il suo talento unico e originale.

Il noto linguista e saggista Tullio De Mauro, a proposito della lingua italiana e dell’infinito merito al grande poeta D. Alighieri, manifestò infinita gratitudine, stima e rispetto affermando come delle circa 2000 parole, tra quelle più in uso, del lessico italiano, almeno 1600 già erano state utilizzate dal sommo poeta! Insomma, le vere e proprie fondamenta del nostro edificio linguistico.

Se nella “Divina Commedia” Dante ha già chiaro il concetto di unità linguistica nazionale, in altre due sue grandiose opere ciò viene espresso e vi è una ricerca della lingua del popolo, il volgare: “De Vulgari Eloquentia” e il “Convivio”, scritte negli stessi anni, circa (1303-1305/7).  Nicola Bianchini, storico medievista e saggista, ci spiega come la lingua utilizzata da Dante nel Convivio sia proprio il volgare, un linguaggio quindi facilmente accessibile a tutti, perché i temi cari al poeta sono la divulgazione del sapere e la democratizzazione della cultura. La redazione in latino avrebbe di certo escluso molti lettori, perché rivolta ed indirizzata solo ai letterati e ai più colti.

Nell’altra opera, De Vulgari Eloquentia, un trattato linguistico in cui, secondo la critica letteraria Dante inizia la storia della lingua italiana, la tematica principale, il nucleo centrale rimane il volgare, questa volta però scrive in latino, perché vuol far arrivare, proprio agli uomini più dotti, il valore ed il ruolo della “lingua del popolo” nella società medievale.

Dante nobilita la lingua volgare e la definisce illustre e cardinale: illustre, perché capace di assumere ciò che più rappresenta una lingua letteraria; cardinale, proprio per il ruolo di lingua unificatrice tra tutti gli abitanti della penisola.