Il disegno è uno dei mezzi attraverso cui è possibile esaminare e comprendere le conoscenze, le idee, i sentimenti e le emozioni dei bambini.
La caratteristica fondamentale dei disegni è quella di offrire immagini che somigliano più o meno ad oggetti, persone, luoghi ed eventi. Guardare una rappresentazione pittorica e “tradurla” nella corrispondente parte della realtà è invece un processo tutt’altro che automatico; per compierlo è necessario sapere cos’è un’immagine e che cosa accomuna le svariate forme che essa può assumere.
Un’immagine può essere considerata come una qualsiasi superficie che appare intenzionalmente contrassegnata da segni o colori con lo scopo di suscitare risposte, pensieri, sensazioni o emozioni in chi le osserva. La maggior parte delle immagini che siamo abituati a vedere hanno un carattere rappresentativo, poiché offrono allo spettatore una raffigurazione realistica di come gli oggetti e le persone sono davvero. Tuttavia, non tutte le immagini offrono versioni riconoscibili del mondo; alcune possono essere astratte e possono avere il semplice scopo di mostrare una soluzione compositiva o stilistica (Pinto, 2012).
Una rappresentazione grafica può fornire informazioni sullo sviluppo cognitivo, percettivo, affettivo e personale dei bambini, permettendo di coglierne anche le difficoltà. Disegnando il bambino rintraccia nuove risposte, idee e conoscenze, e riflette sull’ambiente esterno, comunicando con gli altri.
Read (1962, cit. in Vinella, 2013) propone il concetto del disegno come prolungamento del gioco. Per Read l’attività artistica, così come l’attività ludica, si avvia grazie all’immaginazione; nessuna linea, infatti, può essere tracciata senza inventiva e fantasia. Tra l’occhio e la mano, tutto passa attraverso l’immaginazione (Vinella, 2013).
Il bambino disegna ciò che sente, ciò che sa o ciò che può?
A partire dagli anni ’70 del secolo scorso si è verificata una svolta nell’approccio al disegno infantile.
Secondo alcuni autori il bambino disegna soltanto ciò che “sa”, quindi esprime quanto conosce della realtà, mentre secondo altri disegnerebbe ciò che “sente”, ovvero l’esperienza che vive nel rapporto con il reale. Tale dualismo è riconducibile ad un vecchio dibattito, precedente ai celebri studi di Luquet (1927 cit. in Vinella, 2013) sul disegno infantile.
Il lavoro di Luquet influenzò il pensiero di Piaget, che ipotizzò un legame tra l’evoluzione del pensiero e l’evoluzione del grafismo. Piaget (1975 cit. in Vinella, 2013) afferma che il bambino pensa ed osserva come disegna.
“Percepire è costruire intellettualmente” asserisce Piaget (1975) e se il bambino disegna le cose come le percepisce, questo accade perché non può percepirle senza concepirle (Vinella, 2013).
Per Luquet e Piaget, teorici del modello interno, i bambini quindi disegnano quello che sanno e le loro rappresentazioni pittoriche procedono di pari passo con il livello di sviluppo cognitivo e la conoscenza che hanno del mondo.
L’evoluzione dallo scarabocchio al grafema
Quando ci troviamo ad interpretare il disegno di un bambino dobbiamo adattare l’interpretazione in base alla sua età. Non è plausibile valutare secondo gli stessi criteri un bambino di quattro anni ed uno di otto anni, poiché è significativa la differenza che c’è tra i due sul piano cognitivo, motorio, linguistico e sociale.
È tra i 18 e i 24 mesi che il bambino comincia a scoprire i primi strumenti grafici (penne, pennarelli e matite). Inizialmente le tracce grafiche sono ancora disorganizzate e grezze, mentre, verso i due anni, lo scarabocchio diviene una sorta di pseudo-scrittura. Per produrre un disegno, il bambino deve attivare una serie di processi percettivo-motori e cognitivi, che risultano ancora immaturi prima dei due anni; è necessario un controllo oculo-motorio raffinato e la capacità di discriminare quali segni e quali disposizioni adottare per tracciare una forma e quindi attribuire ad essa un significato.
Compito degli adulti è quello di stimolare il bambino a produrre tanti lavori; quindi lo scarabocchio rappresenta un punto di partenza rilevante per il suo sviluppo e con il tempo assume anche una valenza sociale, permettendo la realizzazione di qualcosa di speciale da poter regalare agli adulti.
Quando parliamo di scarabocchi, intendiamo diversi sistemi di rappresentazione che si sviluppano, come affermano anche Wolf e Perry (1988), in modo approssimativamente sequenziale. Kellogg (1969) sottolinea che non tutti i bambini percorrono per intero i vari passaggi; ad esempio alcuni possono avere momenti in cui sono meno interessati al disegno e altri periodi in cui amano scarabocchiare (Cox, 2005).
Intorno ai tre-quattro anni si distingue lo stadio del disegno, in cui il bambino raggiunge la capacità di unificare tra loro più diagrammi per formare delle combinazioni; il bambino a questa età non scarabocchia più solo per il piacere del movimento della matita sul foglio, bensì per esternare sensazioni e vissuti interni.
Nel realismo visivo, che si sviluppa tra gli otto e i nove anni, invece, il punto di vista è ciò che interessa maggiormente il bambino, che si rende conto delle contraddizioni contenute nei suoi disegni e cerca di eliminarle.
Rispetto alle differenze di genere, le bambine solitamente disegnano meglio dei bambini, soprattutto quando disegnano figure femminili. Secondo Goodenough (1926, cit. in Mortensen, 1991), le bambine sono più attratte dall’attività grafica e di conseguenza sono più interessate ai dettagli e alla precisione.
Successivamente il bambino inizierà anche a scrivere; la scrittura è sicuramente un atto motorio, strettamente dipendente dallo sviluppo psicomotorio raggiunto, implicando come nel disegno, un’adeguata discriminazione visiva, coordinazione visuo-motoria e controllo del movimento.
Definire quando scrittura e disegno prendono strade autonome non è semplice; all’inizio con lo scarabocchio i segni prodotti non assomigliano né alle lettere né agli oggetti a cui si riferiscono, ma più tardi il bambino produce delle raffigurazioni in forma pittorica, le quali acquisiscono il carattere di grafismi di scrittura o pseudo-lettere alfabetiche e che si fondano suggestivamente con il disegno.