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LA PREADOLESCENZA: LA PERDITA DEI GENITORI INFANTILMENTE VISSUTI E IL LORO NUOVO RUOLO

LA PREADOLESCENZA: LA PERDITA DEI GENITORI INFANTILMENTE VISSUTI E IL LORO NUOVO RUOLO

Prima della preadolescenza, il bambino considerava i genitori dei modelli impeccabili, idealizzati, onnipotenti, onniscienti, capaci di confortarlo, assisterlo e di risolvere difficoltà o conflitti, legati a situazioni problematiche di vario tipo. È questo il periodo di latenza, caratterizzato da debolezza istintuale, da un buon grado di adattamento e da una condizione di ideale idillio familiare.

Nella fase evolutiva successiva, egli abbandona questa immagine genitoriale positiva, considerandola poco soddisfacente e non più rispondente alla sua nuova realtà esistenziale, sostituendola con nuove figure fuori della famiglia (gli eroi dello sport, dello spettacolo, immagini della pubblicità, il gruppo dei pari ecc.). Questa fase è caratterizzata dall’esplosione istintuale e dalla rivolta verso la figura genitoriale (separazione).

Egli avverte, dunque, il bisogno di distaccarsi dai genitori, per difendersi da un eccesso di immedesimazione e da una condizione di identificazione con essi che, in qualche modo, sarebbero di
ostacolo alla ricerca di una propria identità.
Questo processo di identificazione, secondo Antonelli, può essere dovuto ai seguenti motivi:

  • bisogno di spostare l’attaccamento erotico dai genitori verso altre persone;
  • bisogno che il ragazzo sente di superare lo stato di dipendenza dai genitori, se vuole crescere;
  • bisogno di elaborare il proprio processo di individualizzazione, per diventare figlio di se stesso e non più dei genitori.

Ciò succede anche se, come afferma Canestrari, nella preadolescenza/adolescenza c’è la tendenza inconscia a rimanere quello che i ragazzi sono stati fino a poco tempo prima: persone protette, guidate, rassicurate dai genitori. Nei confronti di questi ultimi conservano un’intuizione non dichiarata che, in caso di bisogno, nella loro parte più profonda, sanno di avere bisogno delle regole e di un freno da parte dei genitori, i quali, comunque, possono sempre rappresentare un approdo sicuro in caso di tempesta.

A dispetto della ricorrente avversione nei loro confronti, le persone più importanti per la loro vita restano sempre loro: i genitori. Accade così che, proprio con essi, il preadolescente “abbia i più tempestosi rapporti e che, pur amandoli, si ribella contro di loro: talvolta con ostilità, talvolta con bonaria arroganza, talvolta con subdola sufficienza” (Josselin).

LA FUNZIONE EDUCATIVA DEI GENITORI

In una società come quella attuale, contraddistinta da una costante richiesta di cose, oggetti e servizi da
consumare, tutto e subito (“hic et nunc”), prevale il concetto che il rifiuto o la mancata soddisfazione di
quelli che sono spesso ostacoli a falsi bisogni (come per es. vietare l’uso del cellulare a scuola), possa
creare qualche trauma e compromettere l’integrità psichica del bambino o del ragazzo, secondo la logica di sentire l’obbligo morale al dare (“mio figlio deve avere quello che non ho avuto io dalla vita”).

In questo modo il genitore non attrezza il proprio figlio allo “stress del no”, che invece, secondo tutte le scuole di pensiero, rappresenta un importante tirocinio per la vita, che è fatta, anche, di rinunce, di difficoltà, di lotta per l’affermazione e il rafforzamento dell’Io. Succede, allora, che un genitore che riesce a dire “no”, insegna al figlio a pronunciare, egli stesso, i suoi “no” nei confronti delle sollecitazioni esterne, per cui imparerà a gestire meglio le sue pulsioni, a riflettere prima di agire immediatamente, sulla spinta di una forte emozione.

Se un bambino non ha mai sperimentato uno “stress da proibizione”, “una crisi” derivata dal “no” del genitore, se non ha mai imparato che, nella vita, spesso, si devono fare delle rinunce, come riuscirà, una volta cresciuto, a districarsi nella nostra società, quando potrà contare unicamente sulle proprie forze senza poter fare affidamento sull’aiuto costante dei genitori?

    IL DIALOGO CON I FIGLI NELLA PREADOLESCENZA

    Nella sua fase di sviluppo, il preadolescente, pur assumendo una posizione di contrasto nei confronti dei
    genitori, sente paradossalmente l’esigenza inconscia di una regola che lo sostenga e che lo preservi da una situazione di paura nei confronti del rapporto col mondo e con i suoi pari. A questo proposito, Spitz parla di “angoscia dell’estraneo”, per indicare il desiderio di abbracciare il mondo esterno, che può essere accompagnato da ansietà e insicurezza.

    Ne deriva che il compito dei genitori è quello di tener aperto un dialogo continuo e rassicurante con i propri figli che, in maniera contraddittoria, sono, allo stesso tempo, adulti e bambini. Essi devono, inoltre, acquisire la consapevolezza che i figli preadolescenti devono evolversi da una situazione , in cui sono , in qualche modo , assoggettati e dipendenti , ad una situazione, in cui sono, fortemente, impegnati a costruire nuovi modi di pensare ed agire, nella prospettiva di una nuova immagine di sé e della società.

    Essere genitori di un figlio che attraversa la fase di preadolescenza significa, dunque:

    • interpretare le sue esigenze, accettare il bisogno di “separazione”, essere presenti e disposti a fornire il necessario sostegno emotivo e psicologico
    • evitare di oscillare tra eccessive restrizioni e divieti e eccessiva condiscendenza
    • saper dire di “no” e porre un freno alle pretese del tipo “tutto e subito”, adottare comportamenti
      coerenti con i principi valoriali, che essi intendono trasmettere
    • offrire il necessario aiuto a gestire la “crisi”
    • adottare comportamenti comunicativi diversi, rispetto a quelli usati col figlio, nel caso che quelli
      utilizzati, fino ad allora, si siano rilevati inefficaci
    • rispondere alla richiesta di attenzione, di presenza e di ascolto attivo, nei confronti dei figli.

    ACCETTAZIONE E CONTROLLO

    In sintesi, come sostengono gli studiosi di psicologia sociale, esistono due tipologie del loro rapporto
    interpersonale con i figli: l’accettazione e il controllo.
    L’accettazione consiste nella disponibilità ad apprezzare il figlio per quello che è, valorizzandone le sue
    personali capacità, senza pretendere da lui performances anticipatorie, simili o superiori a quelle dei
    genitori. Il controllo consiste nel vigilare la condotta, i comportamenti, gli atteggiamenti del ragazzo e nel sostenere il suo processo di crescita, maturazione sviluppo, senza anticiparne le tappe naturali e, soprattutto, senza adottare comportamenti oppositivi e intrusivi o proporre modelli ideali, basati su una “forza modellatrice”.

    La gestione equilibrata di queste due situazioni indica il grado di autorevolezza educativa da parte dei
    genitori, i quali sono, così, in grado di coniugare sentimenti di stima, credito, fiducia, con atteggiamenti di
    fermezza e coerenza nei confronti dei loro figli.

    IL CLIMA EDUCATIVO

    Come afferma Schaefer, il clima educativo che si crea all’interno della famiglia influisce notevolmente sullo sviluppo della personalità ed incide profondamente anche sul grado di socializzazione futura. L’autore afferma che il clima educativo può essere di 4 tipi:

    1. affetto (iperprotezione) + controllo = sottomissione
    2. affetto + autonomia = buona fiducia in se stessi
    3. ostilità (disapprovazione, norme troppo rigide) + controllo = eccessiva timidezza, timore, ansia
    4. ostilità + autonomia = disadattamento sociale

    DALLA PREADOLESCENZA ALL’ADOLESCENZA

    L’andamento della conflittualità fisiologica tra genitori e figli assume gradualmente una forma parabolica che raggiunge il massimo livello nella prima adolescenza (preadolescenza), si mantiene allo stesso livello nella media adolescenza, mentre diminuisce notevolmente o, addirittura, scompare nella tarda adolescenza, quando proprio genitori e figli, insieme, imparano ad accettare ed apprezzare l’altro in quanto persona adulta” (Hess).

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