Il fatto
La Procura della Repubblica per i minorenni di Roma ha aperto un procedimento a tutela di due minori di 10 ed 11 anni, in seguito alle denunce proposte dalla madre nei confronti del padre dei ragazzi, accusato di maltrattamenti, violenza intra famigliare e violenza assistita.
La donna, dopo aver ottenuto un ordine di protezione e sollecitato un provvedimento ancora più incisivo, si è trasferita presso l’abitazione della madre. È poi rimasta chiusa in casa impedendo ogni contatto tra padre e figli, nonostante l’uomo manifesti la propria innocenza rispetto alle accuse ed una preoccupazione per la salute psichica della donna.
Il Tribunale ha affidato i minori ai servizi sociali per la ripresa dell’attività scolastica e dei rapporti con il padre, mantenendo la collocazione dei ragazzi presso la madre.
Alla luce delle ravvisate criticità ostative all’instaurazione di una alleanza co-genitoriale nell’interesse dei minori, i Giudici hanno ordinato alla coppia di intraprendere un percorso di coordinazione genitoriale finalizzato a sostenerli ed affiancarli, permettendogli così di assumere congiuntamente le decisioni di maggiore importanza per i figli. Questo perché i Giudici ed i vari consulenti hanno ritenuto entrambi i genitori idonei alla funzione genitoriale in modo singolo, ma incapaci di gestire la co-genitorialità nella relazione di coppia.
Il provvedimento
La decadenza della responsabilità genitoriale non costituisce una sanzione a comportamenti inadempienti dei genitori, ma si fonda sull’accertamento degli effetti lesivi che hanno prodotto e possono ulteriormente produrre a danno dei figli, tali da giustificare una limitazione o l’ablazione della responsabilità genitoriale. Nel caso di specie, i genitori, considerati individualmente, appaiono adeguati a svolgere la funzione genitoriale, mentre i nuclei psicopatologici dei due coniugi si amplificano nel rapporto di coppia, arrivando ad una scarsa adeguatezza di entrambi allorché sono chiamati a gestire una co-genitorialità, perché incastrati in un gioco patologico ambiguo e sofferente.
Il conflitto di coppia, esploso oltre i semplici limiti di un litigio in fase di separazione, incide negativamente sul clima respirato dai minori. Diversamente, nel rapporto padre-figli il clima è buono ed affettuoso, al pari di quello con la madre, ragione per cui si esclude la prescrizione di un percorso terapeutico anche per i ragazzi.
I Giudici hanno quindi ritenuto che i genitori, presi singolarmente, interagiscono positivamente con i figli, e che pertanto non vi è ragione di incidere sulla responsabilità genitoriale dell’uno piuttosto che dell’altro, nella necessaria prospettiva della tutela degli interessi dei minori (Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza numero 6186, pubblicata il 1° marzo 2023).
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Le considerazioni
Se ne ricava, pertanto, che qualora i genitori tendano ad alzare i toni tra di loro, compromettendo la serena crescita dei figli, questi potrebbero essere affidati al servizio sociale, con un provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale da emettersi nei confronti di entrambi i genitori, e valevole fin quando i due non dimostrino (magari anche a seguito di un percorso terapeutico genitoriale) di far prevalere l’interesse dei figli rispetto all’acredine personale.
Un intenso stato di conflitto provoca nei minori ansie, timori, angosce. La qualità della relazione è pertanto determinante per la crescita dei figli in quanto gli effetti negativi si protraggono per un periodo di tempo ampiamente superiore a quello necessario a definire la controversia dal punto di vista legale, con il rischio di sviluppare un’evoluzione patologica della personalità del bambino, e con difficoltà a sviluppare relazioni intime. Il rischio è quello di un danno evolutivo dovuto alla strumentalizzazione dei ragazzi per fini decisamente poco nobili (ripicca, ricatto, vendetta, soldi, ecc.), causato dai comportamenti dei genitori che sembrano avere quale unico fine il raggiungimento di una “vittoria”.
L’iter processuale, inevitabilmente basato sulla scissione buono/cattivo, non aiuta in quanto rispecchia il (non) funzionamento della coppia, contribuendo ad inasprire il conflitto e portando i genitori ad avere quale obiettivo primario il raggiungimento di una personale soddisfazione, alimentata dal convincimento errato e malato di fare qualcosa di buono nell’interesse dei figli. Ben vengano, quindi, provvedimenti che costringano a rileggere il conflitto come sintomo di un disagio. Investire tempo, energie fisiche, economiche ed emotive per i figli anziché nella battaglia legare, può aiutare a rinunciare alla soddisfazione personale.
Riconoscere le proprie negatività e non solo quelle dell’altro, ammettere che l’ex coniuge può essere una risorsa per i figli ed essere solidali rispetto alle altrui fragilità sono i primi necessari passi – nel percorso di separazione – per continuare a fornire ai figli una genitorialità integrata anziché scissa. E se i genitori separandi non ne sono capaci, che ci pensino pure i Giudici.