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Dipendenza da sport: uno studio rivela i segreti della motivazione nell’esercizio fisico

Dipendenza da sport: uno studio rivela i segreti della motivazione nell’esercizio fisico

Nel contesto del benessere mentale, la linea che separa il piacere dalla necessità può risultare ambigua. La pratica sportiva della corsa ricreativa costituisce uno strumento estremamente efficace per mantenere un equilibrio fisico ed emozionale, ma talvolta essa viene sfruttata come mezzo per “sfuggire” allo stress quotidiano, trasformandosi così in una vera e propria dipendenza, con conseguenti ripercussioni sulla salute.

Uno studio di grande rilievo, pubblicato sulla prestigiosa rivista accademica di psicologia Frontiers in Psychology, ha esaminato la relazione tra la corsa, il benessere e la dipendenza dall’esercizio fisico, avvalendosi della professionalità del professor Frode Stenseng e del suo team di ricerca dell’Università Norvegese della Scienza e della Tecnologia (NTNU). In particolare, l’indagine ha cercato di comprendere come il concetto di evasione dalla realtà possa influire su tali fattori.

Cosa motiva la corsa?

Secondo un’indagine condotta da Nielsen Sports/DNA nel 2017, che riporta gli ultimi dati disponibili, in Italia più di 7 milioni di persone comprese tra i 16 ed i 69 anni sono interessate a praticare regolarmente la corsa. Le ragioni alla base della scelta di diventare runner sono molteplici e tra queste troviamo l’evasione: una sorta di distrazione per la mente, un modo per allontanarsi dalla routine quotidiana. Tale scelta, tuttavia, non deve essere necessariamente considerata come un segno di patologia o di conseguenze negative, se non quando si trasforma in un’attitudine a fuggire dai sentimenti negativi, come spesso accade con l’utilizzo di altri mezzi come smartphone, programmi televisivi e videogiochi.

Lo studio pubblicato in Frontiers in Psychology, tuttavia, evidenzia come, analogamente a quanto accade per il gioco, “alcune persone sviluppano una patologica dipendenza dalla corsa”. Circa un corridore ricreativo su quattro e il 40% dei corridori competitivi, infatti, mostrano sintomi di dipendenza dall’esercizio. Ciò che non è ancora stato chiarito, invece, è in che modo la dipendenza psicologica correlata alla corsa si lega agli aspetti più luminosi e bui dell’evasione e come tali fattori siano connessi al benessere.

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Lo studio norvegese indaga la psiche

Fino ad oggi, il tema dell’evasione come fattore motivazionale nella corsa è stato poco esplorato. La maggior parte degli studi sulla dipendenza dall’esercizio non ha approfondito il grande paradosso del perché le persone continuino a svolgere attività che potrebbero essere dannose per loro, né quali siano i nutrienti psicologici che portano a una gratificazione tale da spingerle a continuare.

Lo studio condotto dal team dell’Università Norvegese della Scienza e della Tecnologia ha adottato un approccio innovativo: i ricercatori hanno selezionato un campione di 227 corridori ricreativi tramite social media e hanno chiesto loro di completare dei questionari specifici, mirati a indagare tre diversi aspetti dell’evasione e della dipendenza da sport. I risultati sono stati esaminati attraverso un modello bidimensionale di evasione, che comprendeva l’auto-espansione (evasione adattativa) e l’auto-soppressione (evasione disadattativa). In questo modo, è stato possibile analizzare come tali aspetti fossero correlati alla dipendenza dall’esercizio e al benessere soggettivo.

Il modello di evasione

Nel corso degli anni, il professore Frode Stenseng e i suoi colleghi hanno elaborato un modello di evasione che è stato utilizzato anche in questo studio. Il modello identifica due facce dell’evasione: quella dell’auto-soppressione e quella dell’auto-espansione, che derivano da mentalità motivazionali nettamente opposte.

L’evasione adattiva, ovvero l’auto-espansione, è una motivazione positiva che si collega a una passione armoniosa e all’interesse per un’attività che alimenta il proprio benessere soggettivo. Al contrario, l’evasione disadattiva, o auto-soppressione, è motivata dalla prevenzione di stati d’animo negativi o fastidiosi e funge da distrazione dai problemi personali e dalle preoccupazioni che devono essere affrontati. Questo tipo di motivazione può essere riscontrato anche nella procrastinazione.

I risultati

Il recente studio condotto dall’Università norvegese di Oslo ha approfondito l’argomento dell’evasione come motivazione nella corsa. Gli autori hanno utilizzato un modello di evasione a due dimensioni che prevede l’evasione adattiva (auto-espansione) e quella disadattiva (auto-soppressione), correlate alla dipendenza dall’esercizio e al benessere soggettivo.

I risultati hanno dimostrato che i corridori motivati dall’auto-espansione provano emozioni positive durante la corsa, raggiungendo uno stato di flusso e godendo di benefici a lungo termine per il loro benessere psicologico. Al contrario, i corridori spinti dall’auto-soppressione traggono meno benefici positivi dall’attività, reprimono le emozioni negative e limitano anche quelle positive, portando a un peggiore benessere generale.

Inoltre, il team di ricerca ha scoperto che l’auto-soppressione è correlata a una maggiore dipendenza dall’esercizio rispetto all’auto-espansione, minando i potenziali benefici psicologici della corsa.

In conclusione, gli autori suggeriscono che questi risultati possono essere utilizzati in ambito terapeutico per aiutare le persone che lottano con un impegno disadattivo nella loro attività fisica, e potrebbero essere la base per ulteriori studi sull’importanza dell’evasione nella motivazione sportiva.

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