Le sfide o “challenge social“, come vengono comunemente chiamate, stanno diventando sempre più popolari su Internet, attirando l’attenzione di un numero considerevole di individui, in particolare bambini e adolescenti.
Pur non costituendo in sé una pratica pericolosa, è importante comprendere le dinamiche e le possibili conseguenze di queste sfide al fine di proteggere i minori.
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Come funzionano
Il funzionamento delle sfide sui social network è determinato da una combinazione di elementi nuovi e preesistenti. È importante sottolineare che bambini, giovani e anche adulti si sono sempre sfidati a dimostrare coraggio e superare i propri limiti, ben prima dell’avvento delle tecnologie digitali, specialmente durante l’adolescenza.
Con l’avvento dei social media, tuttavia, queste sfide hanno assunto nuove dinamiche.
La portata del pubblico potenziale è enormemente amplificata e coloro che partecipano cercano visibilità e accettazione attraverso i “like” e i commenti. Inoltre, ogni sfida online viene registrata sotto forma di contenuti e video, alcuni dei quali possono essere di natura violenta, e questi contenuti si diffondono rapidamente all’interno e tra i vari social network.
Alcuni di essi diventano virali, raggiungendo una grande popolarità, e il rischio di emulazione diventa molto elevato. La pressione sociale tra pari gioca un ruolo significativo: l’imitazione e l’impressionare i propri amici confermano o rafforzano il senso di appartenenza a un gruppo.
È fondamentale riconoscere che le sfide online variano notevolmente e non tutte presentano problematiche. Esistono sfide volte a fini benefici o creative. TikTok è il social network che ha maggiormente promosso queste sfide grazie alle sue caratteristiche e alle interazioni tra i profili, ma non è l’unico canale in cui si diffondono.
Le challenge estreme
Le “challenge estreme” si riferiscono a sfide che coinvolgono atti di “coraggio”.
Ad esempio, la “BlackOut Challenge” e la “Hanging Challenge” sono nomi attribuiti a presunte sfide in cui il partecipante è incoraggiato a stringere una cintura attorno al collo e resistere il più a lungo possibile.
La suggestione può essere orchestrata da adulti o gruppi di adulti che si avvicinano ai giovani tramite i social media, indirizzandoli a progredire attraverso le “tappe” della pratica. Oppure possono avvenire all’interno di gruppi social o chat di messaggistica in cui i ragazzi stessi si confrontano sulle varie fasi della sfida, si incoraggiano reciprocamente e si spingono a compiere azioni pericolose, mantenendo gli adulti significativi all’oscuro di quanto sta accadendo. L’elemento più pericoloso è l’effetto di emulazione tra i partecipanti. Per questo motivo è importante parlare di questi fenomeni con attenzione.
Ad oggi, si sa ancora poco sulla correlazione effettiva tra casi di suicidio e la partecipazione a una challenge. Tuttavia, sappiamo che le fragilità durante l’infanzia e l’adolescenza sono numerose e indipendenti dalla tecnologia, e gli atti di autolesionismo possono essere diffusi in queste fasce di età.
Come proteggere bambini e ragazzi
Per garantire la protezione dei più piccoli dai potenziali rischi delle sfide social, è fondamentale che gli adulti di riferimento siano consapevoli dei diversi ambienti digitali che i bambini e gli adolescenti possono frequentare, in base all’età.
È importante ricordare che l’iscrizione ai social network è consentita solo a partire dai 13 anni con il consenso dei genitori, oppure dai 14 anni in autonomia.
Ecco alcuni consigli utili:
- Non bisogna dare per scontato il livello di autonomia che i giovani possono avere nell’uso delle tecnologie digitali. Non bisogna avere timore nel stabilire regole riguardo alla condivisione delle attività online e al tempo di utilizzo.
- È importante offrire supporto nella gestione dell’identità online, soprattutto durante le prime esperienze sociali online, evitando di essere invadenti.
- Parlare, dimostrare interesse e prevenire sono parole chiave per evitare di trovarsi coinvolti in situazioni rischiose. Sebbene sia consigliabile verificare i contenuti ai quali i più piccoli hanno accesso, rendendoli oggetto di dialogo e spunto educativo, questa pratica potrebbe essere inutile e controproducente con gli adolescenti più grandi. È inutile a causa della vasta gamma di spazi, canali e “luoghi” virtuali accessibili attraverso abilità informatiche specifiche; ed è controproducente perché allontana, viola la privacy a cui hanno diritto e interferisce con un approccio educativo basato sulla responsabilizzazione, l’autonomia progressiva e la fiducia.
- È importante sostenere gli adolescenti nell’identificazione e nella gestione delle proprie emozioni, nello sviluppo dell’autonomia, della responsabilità e di un senso etico. Devono imparare a esercitare il pensiero critico anche quando sono online, quando provare empatia verso gli altri diventa più difficile a causa di meccanismi di svincolo e distacco. Devono sapere che, se si trovano in una situazione più grande di loro, possono chiedere aiuto e che è lecito farlo anche se si sono messi nei guai.
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