Con il termine overkilling si fa riferimento, in criminologia, al modus operandi dell’aggressore che va oltre la necessità immediata di uccidere la vittima. L’uso del termine è chiaramente applicabile ad ogni tipologia di violenza: femminile, maschile, infantile.
Ma qui si discute di qualcosa che, probabilmente, fa rabbrividire più della frequente crudeltà che, sfortunatamente siamo abituati a sentire o, in casi più gravi, ad assistere. Qui si argomenta su uno scenario ancora più raccapricciante, a cui non si è in grado, almeno in apparenza, di dare una spiegazione: quello degli adolescenti che diventano carnefici.
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Comprendere un atteggiamento criminale
Spesso, quando si parla di argomenti a sfondo criminale, in particolare di omicidi efferati, il quesito “di riflesso” e immediato, che accompagna l’incredulità del gesto, è il seguente: è possibile che un individuo nasca con un patrimonio genetico simile a quello di un serial killer o sono le persone che frequenta a spingerlo, incredibilmente, ad un comportamento antisociale?
Questo è solo uno degli innumerevoli dilemmi che ha portato alla nascita di materie che si sono occupate di capire perché la violenza è tanto agognata, talvolta più delle buone azioni, o meglio, come è possibile che basti così poco a far emergere un lato oscuro in una persona che non ha mai destato alcun tipo di preoccupazione.
Evidentemente, il suo DNA non era poi così tranquillo. Adrian Raine, noto professore di psichiatria all’Università della Pennsylvania, attraverso i suoi studi su gemelli monozigoti che avevano lo scopo di chiarire se la criminalità avesse basi genetiche o ambientali, ha detto: “I fattori genetici e quelli biologici interagiscono con quelli sociali nel predisporre o meno un individuo al comportamento antisociale o violento. Quindi, sì, i geni individuali sono importanti, ma in un contesto sociale specifico” (Adrian Raine, “L’anatomia della violenza -le radici biologiche del crimine-”, 2014).
Ambiente e genetica sono, quindi, due aspetti imprescindibili. Pertanto, per quanto si possa cercare di delineare un profilo come antisociale o, al contrario, propenso alla socialità, c’è poco da fare quando, ad influire, è una combo di elementi pronti ad esplodere. Questo, spiega ulteriormente Raine, accade perché “sebbene abbiamo dei geni in comune, ogni gene ha le sue varianti, con differenti sequenze di DNA in punti precisi. Questo si chiama polimorfismo genetico, ed è responsabile delle differenze tra gli esseri umani: i diversi gruppi sanguigni, gli occhi azzurri o marroni, i capelli lisci o ricci”.
Adolescenti che uccidono: questione di forza o di debolezza?
Il comportamento antisociale nei giovanissimi sta diventando quasi una prerogativa di vita. Sembra esista un codice che definisca le modalità per essere un adolescente “giusto”, al giorno d’oggi. Gli adolescenti che uccidono (maschi e femmine senza distinzioni) si avvalgono, senza rendersene conto, di un sistema che non fa altro che mettere in campo le loro debolezza, travestite da forze brutali. Da violenza, insomma. Ma perché?
La risposta è da ricercare, prima che nelle loro menti, nel contesto in cui sono cresciuti. Troppo spesso esistono dei genitori che, consapevolmente o ignari del tutto, innescano delle situazioni domestiche che fomentano dei meccanismi labili, in grado di esplodere in un fulmineo lasso temporale. Oltre a questo, bisogna aggiungere che buona parte del target adolescenziale è ermetico, tende a chiudersi in sé stesso, tagliando completamente la comunicazione con i propri familiari. A volte anche con il gruppo dei pari. Ciò genera la costruzione di mura emotive invalicabili che fortificano un senso di solitudine a cui, i ragazzi fanno fronte con meccanismi di autodifesa, tra cui la violenza.
Questo perché, delle volte, incoraggiati da modelli sociali sbagliati, credono di attuare un vero e proprio gioco-forza, dove non conta più chi vive o chi muore ma chi vince!
Non deve sorprendere, per quanto disumano possa essere, che un giovane arrivi, addirittura, a scagliarsi contro un genitore, uccidendolo. Quello che desta preoccupazione, invece, è il modo in cui viene compiuto il gesto: con freddezza e senza sensi di colpa. Indubbiamente, gli adolescenti che uccidono sono segnati da una grave fragilità psichica che cela un disagio, forse, mai considerato prima. Ma il dato preoccupante è che si stanno forgiando dei giovanissimi ad una guerra senza armi, in cui, a sconfiggersi saranno loro stessi, con il nostro contributo.