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Licenziamento discriminatorio e ritorsivo: l’ultima sentenza della Cassazione

Licenziamento discriminatorio e ritorsivo: l’ultima sentenza della Cassazione

Le tutele dei lavoratori

La legge numero 300/70, meglio nota come Statuto dei Lavoratori, prevede la tutela delle condizioni di lavoro e dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratori, consentendo a questi ultimi di poter partecipare a rappresentanze sindacali interne ed esterne all’azienda. In particolare, l’articolo 28 della norma punisce quei comportamenti del datore di lavoro “diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale”.

È quanto accaduto nella vicenda che ci riguarda, nel corso della quale un datore di lavoro ha licenziato un sindacalista interno per essere tale e per la sua attività, attribuendogli responsabilità che evidentemente non aveva. I giudici hanno riconosciuto il licenziamento come ritorsivo, dichiarandone la nullità. Il lavoratore è stato reintegrato con obbligo di versamento di tutte le mensilità non ricevute a decorre dalla data di interruzione del rapporto, compresi i vari oneri accessori.

La vicenda

La Corte di Appello di Firenze ha confermato, respingendo il reclamo del datore di lavoro, la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato la nullità, in quanto discriminatorio, del licenziamento di un dipendente. Questi era un informatore scientifico, delegato sindacale e responsabile della sicurezza.

Il lavoratore ha dimostrato, nel corso della vertenza, il cd “fattore di rischio”, vale a dire l’essere sindacalista interno, ed il trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato a suoi colleghi impiegati nelle stesse mansioni. Questi ultimi, infatti, non sono stati oggetto di accertamenti come il primo, il quale è stato invece sottoposto a sorveglianza da parte del datore di lavoro per tramite di una agenzia investigativa. Il lavoratore licenziato ha dedotto una correlazione tra il provvedimento dell’azienda e la sua attività di sindacalista, svolta in favore di tutti i dipendenti aderenti al sindacato (in particolare quella successiva al suicidio di un collega il quale aveva lamentato condizioni lavorative eccessivamente stressanti).

L’azienda, al contrario, ha attribuito il licenziamento a incongruenze ed anomalie nell’orario di lavoro e nei rimborsi spese. Circostanze che sono state alla base del provvedimento disciplinare.

La sentenza

Con ordinanza numero 2606 depositata il 27 gennaio 2023, i giudici della Corte di Cassazione hanno confermato le precedenti sentenze emesse dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Firenze, riconoscendo come discriminatorio e ritorsivo il licenziamento in questione.

La decisione pone le sue fondamenta anche sull’articolo 15 del predetto Statuto dei Lavoratori, per il quale sono atti discriminatori tutti quei comportamenti del datore di lavoro finalizzati a punire o contrastare un proprio dipendente per il solo fatto di essere un sindacalista o di appartenere ad una organizzazione sindacale.

Il lavoratore in questione, precisa sempre la Corte, ha assolto l’onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio, nonché il trattamento ricevuto, considerato meno favorevole rispetto a quello riservato a suoi colleghi non sindacalisti che si trovavano in condizioni analoghe, evidenziando al contempo una correlazione significativa tra questi elementi. Il datore di lavoro, al contrario, non ha provato circostanze inequivoche ed idonee ad escludere la natura discriminatoria del licenziamento.

Gli accertamenti investigativi

Nel corso del procedimento, inoltre, sono state modificate le versioni riguardo alle motivazioni alla base degli accertamenti disposti dall’azienda. Oltretutto, sul punto il datore di lavoro nulla ha eccepito quando gli è stata contestata la strumentalità di tali accertamenti, disposti esclusivamente in capo ad un lavoratore sindacalista e non anche nei confronti di altri dipendenti non sindacalisti addetti alla medesima linea. È emerso così che gli accertamenti investigativi non sono stati effettuati sulla base di un giustificato dubbio, ma di un semplice sospetto. Circostanza che è insufficiente a disporre attività di indagine sui dipendenti (essendosi già espressa sul punto la stessa Corte con sentenza numero 15094/2018).

Si ricorda, infatti, che il datore di lavoro ha facoltà di eseguire controlli occulti sul personale dipendenteanche attraverso agenzie investigative – al solo fine di tutelare il patrimonio aziendale materiale e immateriale. Nel primo caso si tratta prevalentemente di attività a tutela di beni fisici che potrebbero essere materialmente danneggiati o sottratti; nel secondo caso, invece, ci si riferisce a controlli a tutela del vincolo fiduciario e delle risorse economiche (ad esempio, i controlli sul corretto utilizzo dei permessi di cui alla legge 104; la corretta esecuzione della convalescenza da parte del lavoratore malato; la concorrenza sleale, ed altro ancora).