Le relazioni hanno, da sempre, occupato un posto in prima linea nella vita dell’uomo. Sono un motore sociale fondamentale. “Se non esistessero, dovrebbero inventarle”. Poi le hanno inventate e si vorrebbe non esistessero più.
Indubbiamente questo ha a che fare con l’incontentabilità dell’essere umano. Ma la questione va ben oltre. C’è bisogno di capire perché c’è stato uno sballottamento concettuale: perché alla profondità di una relazione si preferisce la superficialità del brivido? Perché invece di affrontare il problema si preferisce diventarne parte?
L’evoluzione delle coppie dopo la pandemia
Secondo i dati ISTAT, nel 2020, il COVID ha quasi dimezzato il numero di matrimoni nell’arco di un anno. Si sono celebrati 96.841 milioni di matrimoni, 87 mila in meno rispetto al 2019, una percentuale ridotta del 47%.
E la questione non ha a che fare (solo) con il crollo indiscutibile dell’economia e le misure restrittive messe in atto per il contenimento della pandemia, ma anche con un periodo storico che ha messo a dura prova il rapporto di coppia. Il lockdown è stata un’esperienza rivelatrice.
Se da un lato molte coppie non si sono lasciate intimorire da un momento che ha colto tutti di sorpresa, ce ne sono state altrettante che hanno deciso di mettere un punto alla loro relazione. Molti sono rimasti sorpresi dal modo in cui sono scoppiati matrimoni durati anni e finite relazioni che si credevano indissolubili. In realtà non c’è da meravigliarsi.
Diversi studiosi si sono dedicati alla comprensione degli effetti della pandemia sui rapporti di coppia. Tra questi, Richard Slatcher, esperto in scienze neurologiche e del comportamento, alla University of Georgia, si è occupato dello studio del COVID-19 sulle relazioni tra adulti di ogni età, in 30 paesi diversi.
Il risultato è stato che le coppie che avevano un rapporto stabile e soddisfacente prima dell’evento pandemico sono riuscite a superare l’evento stesso, indenne da ogni possibile rottura. Diversamente, una situazione critica con il partner precedente allo scoppio della pandemia, è stata fatale quando quest’ultima è terminata.
Relazione, motivazione e procrastinazione
Molti lettori probabilmente continueranno ad essere increduli e a domandarsi se sia stato possibile che un evento di una così breve portata temporale ne abbia compromesso uno di durata superiore, qual è il matrimonio. La risposta è sì, se si pensa che molte motivazioni hanno avuto una dimensione latente.
Nessuno ha mai sostenuto la semplicità dei rapporti umani, ma se questi vengono minati a tal punto da rompersi, probabilmente è perché lo scoppio che ha provocato l’esplosione era più forte dell’esplosione stessa. Presumibilmente, l’unico motivo per cui non ci si è schiantati prima è perché l’uomo è un abile procrastinatore. E in quanto tale ha la capacità di anteporre sempre qualcosa ad un problema personale. E così, il dire “Ci penso dopo”, il rimandare una questione che non andrebbe sottovalutata, l’anteporre il problema alla soluzione, inizia a diventare una routine.
Si sa: ogni comportamento, se perpetrato e reiterato nel tempo diviene un’abitudine. Diventa la normalità. Non bisogna pensare, però, che il problema effettivo sia costituito dal tempo in quanto unità di misurazione. Anzi: il tempo è sempre un indicatore risolutivo efficace.
Si sono verificate, infatti, situazioni in cui molti partner provati dallo stress pandemico hanno richiesto il divorzio in modo affrettato, pentendosene poi.
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Un invito alle coppie
Quello sui cui si invita a riflettere è l’incapacità di dare il giusto valore a quanto si è costruito.
I rapporti in generale, e i matrimoni in particolare, non sono più quelli di una volta. Quelli in cui il sacrifico era una componente fondamentale e apprezzata. I rapporti in cui occorreva del tempo affinché gli stessi sbocciassero sono un ricordo, ormai, lontano. Oggi si vive di fretta. E “di fretta” è un concetto che si impone anche alle relazioni che ci costruiamo.
Così, se si litiga, non si ha tempo di capire perché. Se ci si lascia, tanto meglio perché vuol dire che l’altro non sa cosa si è perso. Se il partner attraversa un periodo buio è giusto stargli vicino ma limitatamente perché esistiamo anche noi.
Siamo diventati anche egoisti! Non si accetta più il compromesso. “A metà strada” è un concetto che non ci piace. O tutto o niente. Accontentarsi, ormai, è sinonimo di persona poco ambiziosa. Eppure, sul dizionario “accontentare” significa “rendere contento”.
Probabilmente, la motivazione di tante complicazioni in senso relazionale va di pari passo con il periodo in cui si vive. Periodo contraddistinto dalla fretta, dal tutto e subito, dal bianco o nero, dall’egoismo, dall’apparenza, dall’apatia, dall’insensibilità. Non è difficile, allora, immaginare quanto “un cuore” si affatichi a cercarne un altro, oggi. Ma se solo potessimo fermarci per pochi istanti, mettere la fretta da parte e andare oltre, scavalcare l’ovvio, superare l’apparenza, ci accorgeremmo che nulla è più stabile e normale dell’instabilità umana.