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SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME.. CHI E’ LA PEGGIORE DEL REAME? L’accettazione della depressione a “mezzo sorriso e mani aperte”: alla scoperta della DBT

SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME.. CHI E’ LA PEGGIORE DEL REAME? L’accettazione della depressione a “mezzo sorriso e mani aperte”: alla scoperta della DBT

Alcuni dati

Ad oggi la depressione risulta essere, a pari passo con l’ansia cronica grave, il disturbo mentale più diffuso. Difatti, secondo l’ultima indagine ISTAT, purtroppo non così recente, in Italia si stimano più di 2,8 milioni di persone, dai 15 anni in su, a soffrirne. (Istat, 2018)

Ma perché tali cifre aumentano al posto di diminuire? Probabilmente siamo ancora lontani ad abbattere lo stigma che attornia la depressione, ma più in generale le malattie mentali. Non si è ancora arrivati ad una consapevolezza pubblica e istituzionale che renda possibile che la gente capisca che la depressione è una malattia reale, non una debolezza o una mancanza di volontà. Solo così le persone che ne soffrono possono sentirsi in un ambiente scevro da giudizi, dove ci si possa sentire sicuri e confortevoli nel chiedere aiuto, sia esso ai familiari, agli amici o ai professionisti della salute mentale.

Però, ora mi chiedo, come possiamo pretendere di arrivare a tutto questo, se spesso chi patisce la depressione in primis non ne è consapevole?

Ritornare a guardarsi allo specchio, senza giudizio.

Ho 28 anni e soffro di depressione, ma sicuramente sono passati molti anni prima di poter dire ad alta voce ciò, prima di poter capire che non fossi una persona sbagliata, ma semplicemente una persona affetta da una malattia. Ho avuto una carriera accademica brillante, lavoro da quando ho la metà dei miei anni, eppure sentivo sempre che mi mancava qualcosa, che nulla era abbastanza. Riempievo sempre di più la mia vita frenetica senza fermarmi mai a chiedere a me stessa perché quella sensazione di inferiorità non mi lasciasse mai.

Ormai era un dato di fatto, ci convivevo reprimendo tutto il mio mondo interno, e mi stava bene così. Finché un incidente subito sul mio posto di lavoro mi ha costretta a rimanere allettata per due mesi, con dolori estenuanti e con un senso di solitudine che riempiva i miei giorni. Credo sia stato quello il punto di rottura.

Essere circondata da gente che si interessava alla mia salute fisica, ma sentirsi perennemente un vuoto dentro analogo ad un buco nello stomaco, che il più della volte soffocava la mia voce e le mie lacrime, perché io dovevo essere quella forte.

Lascio ancora una volta nel ripostiglio delle emozioni quei due mesi e cerco di riprendere la mia routine da ragazza indipendente in mano, ma era difficile perché il ripristino dopo mesi immobilizzata non mi aspettavo fosse così sfiancante, ma trovavo ancora più sfiancante chiedere aiuto.

Questa mia maschera celata sul mio volto gratificava gli altri nel vedermi stare bene, ma io finivo sempre più nell’oblio accompagnata da inseparabili compagni di viaggio: astenia, insonnia, attacchi di panico, tristezza ed un dimagrimento feroce. Le persone riuscivano a vedere la mia estrema magrezza, ai limiti dell’anoressia, ma l’opinione altrui era concentrata solo su una domanda: “Ma mangi?”.

Non so, ad oggi, se mi avessero chiesto prima “Come stai?” al posto di focalizzarsi solo sul mero aspetto fisico cosa sarebbe successo, ma so per certo che è come se la mia testa fosse una casa in fiamme, sono stata lì ferma ad aspettare che il fuoco prendesse il sopravvento su di me, ed alla prima voce amica che mi ha chiesto quel fatidico “Come stai?”, il fuoco ha iniziato a bruciare la camera in cui ero rinchiusa e fu lì che cercai di spegnere il fuoco, non con un estintore ma con il suicidio.

Non ricordo molto, solo di essermi svegliata in pronto soccorso con uno psichiatra che chiedeva il mio internamento. Quando ho iniziato a realizzare, l’unica cosa che riuscivo a dire al dottore era “Non sono pazza giuro, non è il mio posto questo, prometto che non lo faccio più!” Ma a chi la stavo facendo questa promessa? Sicuramente non a me stessa, l’unica persona che si meritava quel giuramento, ma soprattutto l’unica che era degna che ciò venisse esaudito.

L’accettazione della depressione a “mezzo sorriso e mani aperte”: alla scoperta della DBT.

Ovviamente sarei bugiarda a dire che da quell’episodio è stato tutto in salita, ma la voce amica sopraccitata non mi ha mai lasciato. La mia fedele voce amica, alias la mia psicoterapeuta, mi ha insegnato a vivere la vita “a mezzo sorriso e a mani aperte” grazie al DBT, Dialectical Behavior Therapy. ( M. M. Linehan, 2021)

Ed è proprio di questo metodo terapeutico che vi voglio parlare, scoperto a metà degli anni Ottanta, da Marsha M. Linehan e al., insegnante di Psicologia e Psichiatria presso l’Università di Whashington, dove dirige le Behavioral Research and Therapy Clinics.

La sua esperienza da paziente psichiatrica sofferente di depressione manifestata con atti autolesionistici e suicidari, che le ha permesso di inventare questo metodo che tutt’ora aiuta miliardi di persone in tutto il mondo. Ha imparato ad amarsi, ad accettarsi ma la sua inesauribile voglia di aiutare gli altri le ha permesso il vero e proprio riscatto.

Al cuore della DBT si trova un equilibrio dinamico tra obiettivi terapeutici opposti: da un lato, l’accettazione di sé e della propria realtà, e dall’altro, il cambiamento verso una vita più soddisfacente. Il termine “dialettica” riflette proprio questo: l’equilibrio tra elementi opposti e la ricerca di una loro sintesi. Questa enfasi sull’integrazione di strategie comportamentali con approcci di accettazione è ciò che distingue la DBT.

Perché “mezzo sorriso e mani aperte”?

Bene, questo è il mantra che mi ha insegnato questo metodo e applico dalla conoscenza e l’approfondimento di questa teoria, ogni giorno della mia vita. “Il mezzo sorriso è un modo di accettare la realtà con il proprio corpo, cercate di adottare un’espressione del viso serena. L’intero esercizio è una delle espressioni facciali che comunicano con il cervello Le mani aperte sono un altro modo per accettare la realtà con il corpo. La rabbia è spesso opposta all’accettazione della realtà, una motivazione per modificarla. E a volte questo è appropriato. Ma, durante una crisi, spesso è necessario trovare un modo per accettare la realtà così com’è. Se si riesce a cambiare le proprie emozioni in questo modo, usando il mezzo sorriso e le mani aperte, è possibile cambiare anche le azioni ed evitare di fare qualcosa di cui poi ci si può pentire.” (M.M. LINEHAN, 2021)

Concludo così, con l’aforisma che già ho precedentemente citato, che mi ha fatto capire, fin da subito, quello che provavo metaforicamente, ringraziando la mia famiglia, quella biologica e quella che mi sono creata durante il mio percorso di rinascita: “È come se ti trovassi in una casa durante un incendio. Ci sono fiamme tutt’intorno, soprattutto nella parte anteriore della casa, che circondano la porta che è l’unica via d’uscita. L’impulso è quello di addentrarti nella casa, cercare di trovare un posto sicuro. Ma, naturalmente, lì morirai. Devi trovare il coraggio di attraversare le fiamme sul davanti della casa, quelle che circondano la porta, così puoi passare dall’altra parte. Devi attraversare la tua rabbia, aprirti al tuo terapeuta, continuare ad attraversare il dolore. I risultati non si vedono da un giorno all’altro, ma sentirai che ci sono.” (M. M.LINEHAN, 2021).

RICORDATI NON SEI SOL*, TU SEI PIU’ FORTE DELLA TUA MENTE, SEI TU IL BURATTINAIO CHE MUOVE I SUOI FILI, FAI CHE OGNI GIORNO DELLA TUA VITA SIA UNO SPETTACOLO.