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La controversa posizione delle vittime di reato

La controversa posizione delle vittime di reato

Ancora oggi non esiste una definizione assoluta ed universale di vittima: «nel linguaggio comune, è chi ha subito un torto; per gli psicologi, è chi sente di averlo subito» (Elisabetta Rosi, Corte Suprema di Cassazione).

Il concetto di vittima storicamente è stato caratterizzato da continue trasformazioni: le streghe condannate al rogo e gli eretici accusati dal Tribunale dell’Inquisizione, sono oggi considerate vittime di oscurantismo e fanatismo religioso; le mogli molestate dai propri mariti e i figli sottoposti a maltrattamenti hanno acquisito lo status di vittime soltanto nelle società contemporanee (E. A. Fattah, Pregiudizi, stereotipi e biases morali e ideologiche: loro impatto sulle politiche, le strategie e le pratiche di intevento).

Il termine vittima proviene dal latino victima e ha una duplice radice: vincire, «legare intorno, cingere strettamente», che si usava per descrivere l’avvinghiamento degli animali sacrificati agli dèi, e vincere, «sopraffare l’avversario in armi, in guerra o in uno scontro qualsiasi costringendolo a cedere», che designa la persona sconfitta. In entrambi i casi emerge quel portato di sofferenza e di umiliazione attribuito alla vittima.

La marginalizzazione delle vittime nella storia

La criminologia, sin dal suo esordio, ha orientato il suo campo di indagine verso i criminali ed il loro contesto sociale e relazionale, ignorando la vittima, pur facente parte di tale contesto, situazione che ne ha determinato un declino dalla scena penale ed un ruolo secondario.

I giuristi ritengono che la marginalità della vittima nei sistemi penali moderni sia una conseguenza delle “garanzie di modernità della giustizia”: le pretese di giustizia della vittima sono legate al passato, ove si colloca l’evento delittuoso. La pena è orientata a una finalità rieducativa e deve necessariamente collocarsi nel futuro, anche se legata a un fatto del passato.


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Le forme di reazione all’azione delittuosa

Tradizionalmente la reazione all’azione delittuosa era prerogativa della vittima e dei suoi familiari, i quali, in assenza di un sistema normativo per la punizione dei colpevoli, stabilivano autonomamente la forma di punizione del reo. La prima forma di sanzione per ogni evento illecito era rappresentata dalla vendetta che consentiva alla vittima di reagire a sua discrezione, spesso ricorrendo ad atti di violenza, come accadeva con la legge del taglione (W. Kunkel).

La progressiva civilizzazione delle società ha accresciuto la sensibilità giuridica e l’affermarsi di una sorta di composizione del danno tra l’offeso e l’offensore, perlopiù consistente in un risarcimento economico da parte di quest’ultimo.

Con l’affermazione dello Stato di diritto l’atteggiamento verso il reato è cambiato: esso non è più considerato un’azione diretta al singolo individuo, ma un illecito contrario all’intera comunità e alle istituzioni che la rappresentano (U. Gatti). Si afferma dunque l’intervento della pubblica autorità nella punizione dei colpevoli: nel diritto delle XII tavole, ad esempio, si sottrae la determinazione della pena all’arbitrio dei parenti della vittima attribuendola a funzionari statali, i questores parricidii (V. Arangio Ruiz).

In questo modo si è realizzato il passaggio dalla pena primitiva, individualista, alla pena moderna; il reato non è più una faccenda privata, legata alla discrezionalità dell’offeso, ma è considerato un evento che lede l’intera collettività, la quale, attraverso l’apparato statale ed in virtù del contratto sociale, si assume il dovere sociale della repressione del reato e della punizione del reo: «le sole leggi possono decretare le pene sui delitti e quest’autorità non può risiedere che presso il legislatore, che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale».

La funzione della pena nella nostra costituzione

La pena, prima dell’entrata in vigore della Costituzione, aveva una funzione deterrente e retributiva, finalizzata a punire il reo per il danno causato con l’azione delittuosa. La sanzione principale, per lungo tempo, è stata rappresentata dalla pena di morte, che, in seguito alle denunce di Cesare Beccaria nel 1764 nell’opera «Dei delitti e delle pene», viene sostituita dalla prigione, luogo di mortificazione e segregazione dei colpevoli, in tal modo, allontanati dal contesto sociale.

Gradatamente si afferma una concezione più moderna di pena dal carattere rieducativo; dalla retribuzione si passa alla teoria dell’emenda e della correzione, accolta in quasi tutti gli stati moderni e dalla nostra Carta costituzionale: l’art. 27 comma 3 della Costituzione prevede che “le pene devono tendere alla rieducazione”. L’attenzione crescente verso questa nuova concezione di esecuzione penale e la centralità della funzione rieducativa focalizzata sul reo, hanno determinato la progressiva uscita dalla scena giuridica della controparte, la vittima.

Aspetti giuridici e rivalutazione delle vittime nel nuovo millennio

Giuridicamente la necessità di attribuire una maggiore attenzione alla vittima si avverte soltanto a partire dagli anni Ottanta in ambito sovranazionale.

Risoluzione n. 40/34 del 29 novembre 1985

L’Assemblea Generale dell’Onu nella «Dichiarazione dei basilari principi di giustizia per le vittime del reato ed abuso di potere», adottata con la Risoluzione n. 40/34 del 29 novembre 1985, attribuisce un ruolo di centralità alle vittime e agli aspetti di tutela delle stesse.

La stessa definizione ne sottolinea la sofferenza: secondo l’ONU vittime sono «persone che, individualmente o collettivamente, hanno sofferto una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita economica o una sostanziale compressione o lesione dei loro diritti fondamentali attraverso atti o omissioni che siano in violazione delle leggi penali».

Decreto legislativo n.212 del 15 dicembre 2015

Il nuovo millennio, infine, è stato decisivo per il riconoscimento delle tutele delle vittime dei reati, formalizzate in atti normativi dal Consiglio d’Europa e in ambito euro unitario. In Italia soltanto nel gennaio 2016 entra in vigore il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, che recepisce la Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, istitutiva di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, mai recepita dal nostro legislatore.

Direttiva 2012/29

La Direttiva 2012/29 ha avuto il merito di prevedere in ogni stato membro dell’Unione Europea, la creazione di servizi per l’assistenza e la protezione delle vittime di reato prima, durante e dopo il procedimento penale e di stabilire regole minime affinché in ogni paese membro dell’unione siano garantiti dei servizi di informazione assistenza e protezione per le vittime di reato

Decreto Legge n. 150 del 10 ottobre 2022

Infine, il D. L. 10 ottobre 2022, n. 150 – Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» apre scenari nuovi: per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico la giustizia riparativa viene disciplinata in modo organico.


Riferimenti bibliografici:

E. Rosi, Tutela delle vittime dei reati con particolare riferimento alle vittime vulnerabili. Relazione tenuta all’incontro di studio Tutela dei diritti umani, attività per giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 giugno 2006, p.1, consultabile sul web.

E. A. Fattah, Pregiudizi, stereotipi e biases morali e ideologiche: loro impatto sulle politiche, le strategie e le pratiche di intevento, in A. Giannini, B. Nardi, Le vittime del crimine, Centro scientifico editore, Torino 2009, pp.52 e segg.

M. Pavarini, relazione pronunciata al Convegno di studi, La vittima del reato. Questa sconosciuta, Torino 9.6.2001 in www.giuristidemocratici.it, p. 10.

W. Kunkel, Linee di storia giuridica romana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1973, p. 41

U. Gatti, Il contributo della criminologia allo studio delle vittime, in A. Giannini, B. Nardi, op.cit.  p.17

V. Arangio Ruiz, Istituzioni di diritto romano, Jovene, Napoli, 1978, p.125