Non è infrequente vedere un bambino impegnato a pronunciare espressioni verbali che, pur rivolte all’esterno, appaiono prive di un’autentica intenzione relazionale. In pratica il bambino si comporta come se stesse parlando al Sé e per il Sé, in un isolamento autoriferito che si mantiene anche in presenza di soggetti, pari o adulti, dei quali potrebbe richiedere l’attenzione.
Secondo l’interpretazione di Piaget (1932) si tratta di un esercizio espressivo funzionale all’egocentrismo tipico del periodo preoperatorio – dai 3 ai 7 anni – e in realtà privo di una funzione specifica: linguistica, cognitiva ed egualmente relazionale.
In questa fase il bambino non riesce a valutare un punto di vista diverso dal proprio: è lui il perno dell’universo, proprio ed altrui, e il suo pensiero cognitivo, in termini di valutazioni, opinioni, desideri, credenze, risulta impostato sulla base di strutture essenzialmente autoriferite.
Per approfondire:
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Il Monologo Interiore secondo Piaget
In coerenza con questa centralità del Sé, anche il linguaggio mostra una struttura sintattica fortemente egocentrica, in cui compaiono ecolalie, ripetizioni del pronome personale “IO”, tempo presente indicativo. L’altro non è contemplato. Il bambino parla di Sé, delle proprie esperienze, del proprio mondo e delle proprie conoscenze, destinando all’interazione reciprocante un ruolo piuttosto periferico.
A sostegno dell’opinione piagetiana, il monologo egocentrico trova una drastica riduzione verso la fine della fase preoperatoria. in corrispondenza di un momento evolutivo in cui anche l’egocentrismo riceve una deflessione, appannaggio di strutture di pensiero più razionali e socialmente orientate. Il monologo autoriferito è a questo punto sostituito da un linguaggio più evoluto sotto l’aspetto semantico e sintattico, più ricco e variegato dal punto di vista lessicale, ma soprattutto dotato di una maggiore intenzionalità comunicativa.
L’Interpretazione di Vygotskij
Un punto di vista completamente diverso è stato formulato da Lev Vygotskij (1934) secondo il quale il soliloquio del bambino non rappresenta il correlato di un egocentrismo intellettuale, ma è al contrario incaricato di importanti funzioni evolutive. Soprattutto sotto un aspetto cognitivo.
Mentre parla sottovoce, secondo Vygotskij, il bambino si sta dando delle istruzioni, sta elaborando ipotesi, conclusioni, valutazioni. In poche parole sta prendendo contatto con la propria dimensione razionale nella prospettiva di organizzarne livelli e contenuti.
Per questo, parlare sottovoce costituirebbe uno strumento in grado di conferire al pensiero una struttura logico-sequenziale indispensabile al pensiero cognitivo, agevolando nello specifico la rievocazione di contenuti mnestici e la rielaborazione adattiva degli stessi, in vista dell’impostazione di azioni finalizzate al raggiungimento di un obiettivo.
Questa finalità non si esaurirebbe nella fase preoperatoria: il linguaggio egocentrico continua anche nella fase adulta, all’interno della quale non perde una tipica funzione logico-organizzativa.
Inoltre, mentre Piaget inserisce il linguaggio interiore in una dimensione prettamente egocentrica, Vygotskij lo considera l’esito di un intento specificamente relazionale, a sua volta elicitato e potenziato, nel bambino, dal contesto sociale di riferimento.
IL Monologo nella Dimensione Cognitiva
Quel pensiero autoriferito che per Piaget si esaurisce intorno ai 7 anni, dopo questa fase per Vygotskij si trasforma in un linguaggio interiore, utilizzato al fine di riflettere sul Sé e sul proprio nucleo cosciente, ma anche su cosa si sta facendo e in che modo. Quasi una sorta di guida interiore, con cui organizzare le idee in una struttura sistematica e funzionale, specie in presenza di un compito che richiede un elevato impiego di risorse cognitive.
L’ipotesi risulta dimostrabile anche da un punto di vista empirico: sarà capitato a chiunque di vedere un adulto impegnato in un linguaggio autoriferito verbale, utile ad organizzare una pianificazione complessa e a porne in sequenza i vari passaggi. E noi stessi, magari, abbiamo fatto uso di questa tecnica di concentrazione almeno una volta nella vita. Sembra dunque plausibile che, al di là di una funzione comunicativa, anche in età adulta il linguaggio possa venir posto a servizio della funzionalità cognitiva.
Le ricerche ( Berti, Bombi, 2009; Berk, 2013) hanno inoltre dimostrato che nei bambini in età scolare i monologhi aumentano in proporzione alla difficoltà dei compiti, nel cui svolgimento si pongono come stimolatori di competenze attentive, organizzative, logico sequenziali, in grado di autoindurre la concentrazione attraverso la ripetizione di una serie di istruzioni, ripetute talvolta anche solo con il movimento delle labbra.
Infine, a testimonianza di come il linguaggio interiore faciliti la concentrazione in vista dello svolgimento di compiti razionali, troviamo le autoistruzioni verbali utilizzate nei programmi educativi con soggetti ADHD, aventi la funzione di potenziare le funzionalità esecutive attraverso la ripetizione a voce alta delle singole attività compiute e dell’ordine specifico in cui è necessario eseguirle.
Anche in soggetti facilmente distraibili, le istruzioni esplicite contribuiscono a focalizzare l’attenzione sul target operazionale, evitando le cadute attentive e i momenti di impasse.
Conclusioni
Sembra opportuno inserire il monologo egocentrico tra quegli strumenti in grado di favorire il contatto con il Sé più profondo – gli psicanalisti lo definirebbero un attivatore dell’Io osservante – e soprattutto di organizzare la struttura cognitiva all’interno di un pensiero teleologico, ovvero finalizzato al raggiungimento di un fine specifico.
Di conseguenza, la teoria piagetiana che priva il linguaggio egocentrico di qualsiasi funzione specifica, prevedendone addirittura la scomparsa in età scolare, deve forse lasciare il posto alla più probabile ipotesi che ammette la compresenza, tanto nel bambino che nell’adulto, di due differenti tipi di linguaggio, caratterizzati da altrettanto diverse funzioni:
- uno sociale – orientato principalmente allo scambio informativo interindividuale;
- uno egocentrico (oggi definito privato, per evitare eventuali connotazioni negative), più simile ad un pensiero endogeno esplicitato, fondamentale per il raggiungimento di stati di concentrazione, di impegno e consapevolezza a servizio dell’attività razionale.
Bibliografia di riferimento
Berk, L. (2013) Child Development, Boston, MA, Allyn & Bacon;
Berti, A.E., Bombi, A.S., (2009), Corso di psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna;
Piaget, J. (1932) Il linguaggio e il pensiero del fanciullo, Barbera, Firenze, 1972;
Vygotskij, L. (1934) Pensiero e linguaggio, Laterza, Bari, 1990.