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Il fenomeno dei selfie

Il fenomeno dei selfie

Vi siete mai chiesti, nonostante possa sembrare una domanda banale e di, ormai, “avanzata scadenza”, cosa si nasconda dietro al bisogno costante di scattarsi delle foto da soli? Probabilmente, una piccolissima parte lo avrà fatto, spinta da un generale desiderio di porsi domande. Altri non ne avranno sentito la necessità. E questo perché il “selfie”, ormai, rientra tra le normali azioni di vita quotidiana, esattamente come alzarsi la mattina, lavarsi, vestirsi, uscire o andare al lavoro.

Eppure, scattarsi delle foto in solitaria, è un bisogno che contorna momenti precisi. Pensiamo, ad esempio, a quando, da una relazione di coppia, si ritorna ad uno stato di solitudine. Non vediamo l’ora di farlo sapere al mondo intero attraverso le foto più improbabili, nei posti più impensabili. Saremmo capaci di improvvisare un set fotografico, pur di mettere a tacere la sofferenza di quello che un momento del genere ci provoca.

Ma questo non è l’unico esempio. Pensiamo a quando, in seguito ad un nuovo taglio di capelli, la prima cosa che facciamo (dopo aver, chiaramente, ringraziato il parrucchiere per il nuovo look) è prendere il telefono e condividere il momento con una comunità digitale, composta da un gruppo di persone che, probabilmente, non sa nemmeno chi siamo. In qualche modo, il giudizio altrui scavalca sempre il nostro, rendendoci bisognosi di conferme e desiderosi di complimenti (fittizi), dimenticandoci che l’autenticità di uno scatto è la risultante di quell’imperfezione che “cestiniamo”, di quelle emozioni che, ingenuamente, nascondiamo.

Un autoritratto rimodernato

Sebbene si creda che il selfie sia nato nel secolo odierno, in realtà, esso affonda le sue origini in tempi ben più remoti. Volendo essere più precisi, è il 1839 a configurarsi come l’anno di riferimento, lo stesso in cui Robert Cornelius, fotografo statunitense, si scattò il suo primo “selfie”, riproponendo, così, la tecnica dell’autoritratto in chiave moderna.

Con questo, non solo si vuole fornire un piccolo dettaglio informativo al lettore, in merito al fenomeno sociale ma si intende sottolineare che il problema non è la vanità, caratteristica normale e propria dell’essere umano. Il problema non è piacersi o voler condividere con degli amici contesti piacevoli, situazioni personali, eventi particolari. La preoccupazione nasce quando un’azione, che in questo caso è quella di fotografare sé stessi, diviene sinonimo di approvazione, limitatamente al giudizio degli altri e non al piacere personale.


L’ossessione verso il giudizio altrui è approfondita nel seminario gratuito online Insicurezza e Paura del giudizio – Come liberarsene?, in cui viene anche esplorato il legame esplorato tra questi elementi e la bassa autostima.


Il selfie come specchio alternativo

Il selfie, nell’epoca moderna, più che sostituirsi all’autentico scatto fotografico è da considerarsi uno specchio moderno in cui, però, è il singolo a decidere cosa mostrare della sua immagine e come farlo. Tuttavia, se lo specchio fornisce un’immagine reale della propria persona fisica (pregi e difetti compresi), il selfie procura la possibilità di modificare quei difetti, a favore di un’immagine inesistente e di stucchevole perfezione.

C’è da dire che a subire le conseguenze più importanti di questo fenomeno di massa sono i più fragili, inclusi gli adolescenti. Il selfie “dà voce” a chi nella realtà quotidiana non ne ha. I fenomeni sociali esaltano e modellano quegli individui che, non ritenendosi all’altezza del mondo di oggi, si nascondono, facendo uno slalom tra giudizi, critiche e il timore di “non essere visti”, di passare inosservati. E così, postare una foto a immagine e somiglianza di quelle persone irresponsabilmente idolatrate, conferisce, ad alcuni, quella dose di autostima (dalla durata limitata) che, diversamente, non saprebbero come procurarsi.

La sindrome da selfie

I progressi di ogni momento storico trascinano con sé numerosi cambiamenti, collimando anche con quelli patologici, per cui, a nuovi meccanismi nascenti, corrispondono altrettanti atteggiamenti. Sebbene non ci sia una diagnosi affermata, riportata nei manuali diagnostici, l’ossessione per i selfie porterebbe allo sviluppo di un vero e proprio disturbo, dagli effetti simili a quelli di una dipendenza.

Esperimenti riportano che l’impellenza dell’autoscatto appartiene a soggetti dotati di specifiche caratteristiche, come il desiderio di incrementare l’autostima, il bisogno di attenzione e di migliorare il proprio umore, il desiderio di conformarsi ai nuovi gruppi di appartenenza fino alle competizioni di natura social, cercando di arrivare primi al gioco dell’apparenza.

Il caso dei selfie estremi

Si ribadisca che il problema non è quello di scattarsi una foto per mera vanità personale quanto l’incapacità di riconoscere i limiti di una situazione, sottovalutandola. Quando questo si verifica, può accadere che si concretizzino fatti scioccanti, a cui mai si sarebbe creduto di poter assistere.

È il caso di quelle notizie apprese in tv, in cui si parla di tutti quegli adolescenti rimasti vittime di sfide insidiose sul web, e più spesso, di sé stessi. Il bisogno di farsi notare, soprattutto in questo range d’età, è grande, al punto da vendere la propria dignità (in delicatissima fase di sviluppo), per un briciolo di visibilità, spesso non autentica.

La domanda, a questo punto è: ciò che vediamo di noi stessi, si riduce davvero ad un’immagine riflessa o c’è qualcosa, oltre “lo specchio dell’apparenza”?