La separazione è l’esito di un processo di incomprensione all’interno della coppia, da cui si origina un disinvestimento reciproco in grado di determinare la rottura definitiva del legame. Il fallimento dell’unione rappresenta il disincanto dal sogno di reciprocità e dal bisogno di “comunione con l’altro” nei quale prima ci si identificava pienamente. Per questo la separazione può essere intesa come un sostanziale smembramento non soltanto del Sé della coppia, ma anche del Sé individuale, che costringe ad una rinegoziazione identitaria in termini duali e personali.
Per quanto si tratti di un evento capace di riflettersi trasversalmente su tutti componenti del nucleo familiare, gli effetti della separazione si ripercuotono soprattutto sul benessere dei figli, dei quali vanno a ledere inevitabilmente la serenità e l’equilibrio psicofisico. Sono proprio i figli, nella maggior parte dei casi, a dover gestire l’aggressività, la rabbia e l’impotenza dei genitori, non riuscendo, di converso, ad esprimere i vissuti di disagio suscitati dal contesto familiare in disgregazione.
La situazione peggiora quando, per tamponare il reciproco risentimento dei genitori, i figli si trovano coinvolti all’interno di conflitti di lealtà che li portano a schierarsi affettivamente con uno soltanto di essi e ad escludere l’altro dalla propria dimensione esistenziale. In questo caso, purtroppo non infrequente, gli investimenti narcisistici dei partners non si mostrano in grado di preservare dai conflitti coniugali la sfera della genitorialità, e questo contribuisce al consolidarsi di una dimensione affettiva che innesca nei figli sensazioni di tradimento, solitudine e abbandono. Sentendosi ingiustamente “adultizzati”, molti di loro cercano di improvvisare strategie di difesa spesso inadeguate, e rese tuttavia necessarie da un bisogno di sopravvivenza psichico-affettiva che i genitori non sono stati capaci di tutelare.
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Le differenti reazioni alla separazione
Le reazioni dei figli di fronte al trauma separativo possono risultare mediate da una serie di fattori, tra i quali spiccano lo stadio evolutivo e il genere sessuale.
Lo stadio evolutivo
Nei bambini in età prescolare o in fase di latenza può manifestarsi un disagio emotivo diffuso, una sorta di vuoto affettivo espresso attraverso atteggiamenti di auto isolamento e rifiuto del sé, a sua volta originati dalla presenza di un nucleo depressivo non verbalizzabile. Spesso il senso di abbandono viene comunicato attraverso lamentele e sintomatologie somatiche, disturbi dell’alimentazione, enuresi notturna, disfunzioni del sonno e della regolazione emotiva, ma anche difficoltà relazionali e di inserimento scolastico.
Nell’adolescente è più probabile la presenza di condotte esternalizzanti espresse a mezzo di un rifiuto verso l’ambiente, in primo luogo la scuola, cui si accompagnano probabili deterioramenti delle competenze sociali, disturbi del comportamento, tono depresso e atteggiamenti autoisolanti. Il genitore viene percepito come un oggetto affettivo inattendibile, e questo comporta una degenerazione del processo di de idealizzazione – tipico dell’adolescenza-, amplificandone la carica deludente.
Pur avendone estremo bisogno, il figlio arriva spesso a rifiutare totalmente la figura di un genitore percepito come abbandonico, e si rifugia in un isolamento escludente che investe anche il resto dei legami relazionali, sia nel breve termine- si osserva come i figli di separati manifestino numerosi problemi di inserimento e gestione della relazionalità- sia su lunghi periodi, compromettendo la possibilità di costruire legami sentimentali duraturi ( il c.d. effetto sleeping, effetto ritardato del divorzio). È più difficile, per i figli di genitori separati, stabilire relazioni affettive nelle quali poter fare esperienza del dare e ricevere amore, essendo di base compromessa la capacità di fidarsi e di affidarsi all’altro.
La ferita della rottura, ma soprattutto la paura di subire un nuovo abbandono, fatica a rimarginarsi: soggetti intervistati venti anni dopo la separazione dei genitori mostravano ancora un’opinione fortemente negativa sul matrimonio, e a causa di un investimento relazionale più diffidente si sentivano meno in grado di sperimentare un’unione sentimentale duratura.
Il genere sessuale
Di fronte alla realtà della separazione il maschio reagisce più facilmente a mezzo di discontrollo comportamentale, acting out, condotte autosabotanti espresse attraverso un’aggressività eterodiretta o autolesiva. Al contrario, le femmine mostrano più spesso condotte internalizzanti: frequenti i disturbi dell’alimentazione, le dismorfofobie, disagi originati da nuclei depressivi in grado di tramutarsi in vere e proprie patologie dell’umore.
La gestione del conflitto segue una direzione tipicamente edipico-regressiva: i rapporti si mostrano più difficili con i genitori dello stesso sesso, e dunque è più probabile che la figlia tenda ad avere un rapporto peggiore con la madre e che il figlio manifesti difficoltà relazionali con il padre. Le femmine si mostrano inoltre più propense alla verbalizzazione del disagio, laddove nel maschio, più portato a meccanismi difensivi proiettivi e di negazione, è più difficile trovare una disponibilità in questo senso.
La ricerca dimostra che i figli di soggetti divorziati hanno meno possibilità di continuare un contatto affettivo con il genitore non affidatario: di fronte ad un disengagement che li porta a vivere un graduale allontanamento dalla figura genitoriale abbandonica (nella maggior parte dei casi il padre) sono le femmine a mostrare maggiore sofferenza, laddove i maschi reagiscono al distacco con strategie di minimizzazione, ove non di negazione, e si mostrano meno disponibili ad un eventuale recupero del rapporto. Dunque, se le femmine dichiarano esplicitamente il loro desiderio di passare più tempo col padre, i maschi negano una reale sofferenza di fronte all’abbandono paterno, disconoscendo di fatto anche il bisogno della sua vicinanza.
Una separazione consapevole è possibile?
Una crisi non deve essere interpretata con connotazioni inevitabilmente negative: la flessibilità e la capacità adattiva di ogni nucleo familiare può renderla un’occasione di crescita, al termine della quale i ruoli familiari non risultano distrutti o destrutturati, ma semplicemente ridistribuiti sulla base di un nuovo equilibrio.
E se la separazione rappresenta indubbiamente un evento di difficile gestione, è egualmente opportuno rinunciare alle stereotipo che vede nella prosecuzione dell’unione familiare un evento aprioristicamente positivo: un’ostilità familiare continuata nel tempo può mostrare risvolti più traumatici di una separazione ben condotta; risulta oltretutto più deleterio, per il benessere psichico del minore, vivere in una famiglia legalmente intatta ma conflittuale, rispetto ad un famiglia separata ma caratterizzata da interazioni equilibrate e ben gestite.
No alla separazione affrettata, dunque, ma nemmeno alla famiglia a tutti i costi, in coerenza con un legame disperante che ne logora i membri, trascinandoli in una direzione forse ancor più distruttiva rispetto a quella generata da una separazione ben gestita.
Le regole della buona separazione
Per quanto difficile, una situazione separativa funzionale è pur sempre attuabile, nel rispetto di alcune regole fondamentali:
– Mantenere un senso di continuità: è necessario ridurre al minimo la percezione del cambiamento causato dalla separazione, in modo da evitare l’impatto con una realtà stressogena, impossibile da metabolizzare con consapevolezza e gradualità;
– Far sentire la vicinanza genitoriale: frasi come, “malgrado la separazione io e tuo padre non cesseremo di essere i tuoi genitori”, o ancora “ per te ci saremo sempre”, sono meno scontate di quanto si creda, in quanto si rivelano utili a mantenere nel figlio quel vissuto di fiducia genitoriale messo in pericolo dalla separazione;
– Salvaguardare il rapporto comunicativo: ampliare le connotazioni simmetriche e dialogiche della comunicazione, sviluppando capacità di gestione dei conflitti in una prospettiva di crescita, senza indulgere in atteggiamenti di aggressività passiva o impotenza oppositiva.
– Fare chiarezza: rispondere lealmente alle domande del figlio, evitando silenzi e vuoti comunicativi che possano agevolare interpretazioni non mentalizzate, auto colpevolizzanti e potenzialmente fuorvianti. Senza contare che, ove non adeguatamente rielaborato, il dolore per la separazione può tramutarsi in un lutto congelato, un affetto secretato e costretto al silenzio all’interno di inviolabili cripte emotive da trasmettere in via trans generazionale, alla stregua di verità asimboliche e antievolutive;
– Lasciarsi aiutare da quelle figure del nucleo familiare che, anche a seguito della separazione, continueranno a mostrarsi stabili nella vita dei figli, garantendo una percezione di continuità affettiva e simbolica nell’intera famiglia: ad esempio i nonni, il cui ruolo affettivo può costituire un fattore in grado di attutire il vissuto abbandonico e di sfiducia in un momento in cui i genitori sono impegnati ad attraversare una fase stressogena che inibisce, di fatto, una sana interazione con i figli. Svolgendo una genitorialità compensativo- supportiva, i nonni vengono visti come affidabili punti di riferimento in grado non soltanto di garantire stabilità e vicinanza affettiva, ma anche di custodire i contatti con quella storia generazionale che il divorzio, con i suoi vissuti di frammentazione, rischia di mettere in crisi.
– Mantenere intatte le capacità adattive genitoriali: è stata riscontrata una bi direzionalità tra le difficoltà del genitore a gestire il nuovo assetto familiare e le capacità di coping funzionale del bambino. Risulta pertanto fondamentale che il genitore sia capace di mantenere un’atmosfera serena e stabile pur nelle difficoltà relazionali imposte dalla separazione, per far sì che il bambino non si identifichi con atteggiamenti disfunzionali dallo stesso posti in essere. Può essere opportuno, a tal fine, avvalersi del supporto fornito dalle strutture territoriali (ad esempio consultori, sportelli di ascolto istituiti dalle ASL ), finalizzate a potenziare tutte quelle risorse- comunicative, empatiche, emotive- che a seguito della separazione rischiano di subire una drastica interruzione.
Grazie a strumenti supportivi come counseling e gruppi di auto aiuto sarà possibile tracciare un percorso di condivisione del disagio, dello stress e infine del dolore, che suggerisca, all’interno di un contesto collaborante ed empatico, strategie di coping in grado di salvaguardare quegli aspetti della famiglia che la separazione non può e non deve interrompere. Ma soltanto trasformare, imponendo nuovi assetti, differenti equilibri, negoziazione dei ruoli. Si tratta di un’impresa difficile, ma non impossibile da compiere, nel supremo interesse dei figli.
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