Sappiamo bene che le emozioni giocano un ruolo sostanziale come fattore di prevenzione e protezione sull’insorgenza di problemi di natura sociale e psicologica. Pertanto, non può essere più rinviabile la necessità e l’urgenza di inserire, nell’itinerario educativo dei bambini iniziative mirate a favorire lo sviluppo di competenze emotive e sociali.
Sorge, quindi, spontanea la domanda: come mai nella scuola l’educazione emotiva e l’educazione sociale non hanno, ancora, acquisito pieno diritto di cittadinanza?
La ragione fondamentale di questa scarsa attenzione consiste nel fatto che nella nostra società, la scuola e le varie agenzie formative hanno preferito valorizzare e coltivare, almeno fino alla fine del secolo scorso, ma con evidenti ripercussioni sulla situazione attuale, gli aspetti cognitivi, intellettuali e accademici dell’educazione, privilegiando una concezione gerarchica dei saperi disciplinari.
In questo modo, sono state relegate in un ruolo complementare o accessorio le aree disciplinari collegate ai linguaggi non verbali, che stimolano maggiormente le funzioni emotive e socio-relazionali, come l’arte, la musica e l’attività ludico-motoria, rafforzando, così, lo storico pregiudizio culturale che il sentire e il conoscere siano due cose diverse e separate, in cui, in ogni caso, il secondo aspetto predomina sul primo.
Ne consegue che gli interventi pubblici, come quelli della scuola e della stessa famiglia, sull’educazione delle nuove generazione a gestire la regolazione e il controllo delle emozioni, si sono rivelati, per la loro fragilità programmatica, episodici, inconsistenti, aggiuntivi e, comunque, inadeguati, a risolvere il delicato problema di questa nuova forma di analfabetismo che, tra l’altro, si è ulteriormente aggravata, nel periodo dell’ isolamento dal Coronavirus, attivando o amplificando varie situazioni di sofferenza e di stati depressivi, già presenti.
Come educare alle emozioni?
Gli orizzonti di riferimento, che propongono i vari studiosi, per guidare lo sviluppo dell’intelligenza socio-emotiva possono essere così sintetizzati:
- la conoscenza delle proprie emozioni, che ricalca il detto socratico: “conosci te stesso”, riguardante la capacità di identificarle e di esprimerle in modo adeguato
- la capacità di controllare le emozioni e di gestire funzionalmente la conflittualità:
- moderando quelle sgradevoli e socialmente censurabili e aumentando quelle gradevoli ed eticamente corrette
- contenendo i propri impulsi, come la rabbia, l’invidia, la sofferenza, l’esuberanza, l’eccitazione, l’aggressività, ecc.
- il riconoscimento, l’accettazione e il rispetto per le emozioni altrui, capendone i bisogni e i desideri
- la disponibilità a relazionarsi con le emozioni degli altri, ponendosi, nei loro confronti, in una posizione di ascolto attivo e di comunione empatica (intelligenza sociale) ed evitare situazioni, a volte, patologiche, di intolleranza esasperata, derivate da una vera e propria condizione di analfabetismo ed autismo emotivo, che portano all’ isolamento dal mondo degli altri o allo sconfinamento in comportamenti delittuosi, sempre più frequenti, come quelli, sempre più frequenti, del femminicidio o dei numerosi omicidi all’interno delle famiglie.
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Il nuovo profilo dell’insegnante ideale
La rivoluzione delle emozioni e delle competenze socio-affettive, nell’attività educativa comporta, necessariamente, il coinvolgimento degli insegnanti, il cui impegno non potrà essere limitato al tradizionale concetto idraulico del “travaso del sapere e dei contenuti disciplinari”, ma dovrà investire, principalmente, gli stili di conduzione dell’attività didattico-educativa e, di conseguenza, la componente comunicativa e socio-relazionale, nella loro interazione con gli alunni.
Diversi studi hanno analizzato la realtà emotiva dei docenti e le loro percezioni del proprio lavoro quotidiano: alla richiesta di indicare le principali emozioni che accompagnano la loro attività scolastica, le risposte più ricorrenti riguardano un elevato grado di insoddisfazione, che si manifesta con sentimenti di frustrazione, sopraffazione e stress, accompagnati dalla consapevolezza di un mancato riconoscimento economico e sociale del loro ruolo.
Alla richiesta riferita ai sentimenti positivi attesi e auspicati, collegabili alla loro attività di insegnamento, hanno espresso, come emozioni desiderabili, felicità, sostegno e apprezzamento.
Secondo uno studio canadese svolto con insegnanti della scuola primaria, i disturbi fisici e psicologici, che si manifestano negli insegnanti, evidenziano un alto livello di burnout, che esercita, tra l’altro, un effetto di contagio negativo nei confronti dei bambini e dei ragazzi, nei quali sono stati riscontrati livelli di cortisolo molto elevati e i disturbi di tipo psicologico che pregiudicano il loro normale processo di apprendimento e la stabilità emotiva, in genere.
Queste osservazioni sottolineano l’importanza della sfera emotiva nella pratica dell’insegnamento, per cui le emozioni degli insegnanti e degli alunni interagiscono continuamente ed influiscono in modo determinante sulla qualità del loro rapporto e, conseguentemente, sull’efficacia dell’azione didattico-educativa, che coinvolge, oltre ai due attori principali: la scuola, nel suo complesso, e la stessa famiglia.
Educare gli educatori
Per i motivi sopra esposti, se vogliamo che la scuola cambi e che l’educazione emotivo-affettiva abbia il giusto riconoscimento, all’interno del curricolo scolastico, è necessario operare una rivoluzione nel campo della formazione degli insegnanti che non sia centrata solo sulle loro preparazione specifica in campo disciplinare ma che investa il miglioramento delle loro competenze intrapersonali, interpersonali, comunicative, sociali ed empatiche, disegnandone un nuovo profilo professionale polivalente, che sia più rispondente alle personali esigenze e ai reali bisogni dei bambini e degli adolescenti, loro affidati.
Si sottolinea l’importanza di migliorare il livello di intelligenza emotiva in molti ambiti della vita personale e professionale degli adulti, per cui si potrebbero utilizzare, all’interno delle Aziende e dei vari contesti lavorativi, appositi training formativi che, secondo Pablo Fernandez Berrocala, docente di Psicologia dell’Università di Malaga, possono produrre i seguenti cambiamenti nell’ambito delle organizzazioni del lavoro.
- Maggior successo lavorativo e un grado più elevato di capacità di inserimento lavorativo
- Diminuzione degli indici di stress e di burnout, ossia miglioramenti dei livelli di stanchezza emotiva, di depersonalizzazione e di assenza di realizzazione personale
- Miglioramenti nelle relazioni all’interno del gruppo di lavoro
- Maggiore coinvolgimento nel lavoro e nell’azienda.