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Convivenza, legalità e giustizia riparativa

Convivenza, legalità e giustizia riparativa

A partire dagli anni Ottanta si è diffuso a livello internazionale un modus operandi – che già esisteva nelle società primitive in forma primordiale – che si affianca, senza sostituirsi, al processo e all’esecuzione penale: la giustizia riparativa.

Eufemisticamente si potrebbe affermare che, attraverso tale strumento, vi è la rinuncia della magistratura a vendicarsi; la rinuncia dell’avvocatura a difendere, bensì ad “accompagnare la persona”; la rinuncia dei Servizi a trovare il colpevole.

Leggi anche: Giustizia Riparativa in pillole (Parte 1)

Giustizia riparativa

La diffusione di strumenti di carattere riparativo in ambito penale scaturisce principalmente dall’istituto della Messa alla Prova nel settore minorile,  introdotto con il D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448. La giustizia riparativa all’interno del processo minorile riveste un carattere educativo, offrendo una prospettiva dialogica e relazionale ai minori autori di reato, ai quali è data la possibilità di  confrontarsi con la vittima.  La commissione di un reato non è intesa soltanto come violazione di un precetto, ma altresì come la rottura di un equilibrio tra individuo e comunità e, pertanto, si ripara attraverso l’incontro con la sofferenza della vittima, al fine di garantire, dapprima, una presa di coscienza del reo delle conseguenze della sua azione; in seguito il suo reinserimento sociale[1].

Nel settore degli adulti il senso della giustizia riparativa si ricava dalle seguenti fonti normative:

  • l’art. 47 della legge n.354/1975 dell’ordinamento penitenziario, ove è previsto che l’affidato si adoperi per quanto possibile in favore della vittima del suo reato, attraverso “possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa”[2];
  • la legge 28 aprile 2016 n. 67, introduttiva della sospensione del processo con messa alla prova, ove sono previste, per i casi disciplinati dall’art. 168 bis del Codice penale “condotte volte a promuovere  la mediazione con la persona offesa” all’interno del programma di trattamento[3];
  • il D. L. 10 ottobre 2022, n. 150 – Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, noto come Riforma Cartabia, che esalta il principio di rieducazione e disciplina in modo organico la giustizia riparativa.

La Riforma dedica un’intera sezione alla giustizia ripartiva e sposta il focus dell’esecuzione penale dagli aspetti custodiali e punitivi alle implicazioni umane e sociali, dal carcere alla comunità, all’equità, all’inclusione e alla partecipazione.

In linea con la Direttiva in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (2012/29/UE) – e con la Dichiarazione di Venezia adottata dalla Conferenza dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa il 13 dicembre 2021, durante il semestre di Presidenza italiana – la giustizia riparativa viene infatti definita nello schema di decreto legislativo come «ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore»[4].

La Riforma Cartabia rappresenta una rivoluzione culturale in quanto, per la prima volta, la materia della giustizia riparativa viene sistematizzata in maniera organica ribaltando il principio retributivo – per cui ad ogni sanzione corrisponde una pena e nel quale l’unico protagonista era il reo – ed instaurando il paradigma riparativo che cambia la fisionomia della penalità: adesso i protagonisti sono  l’autore del reato, la vittima e la comunità.

Se a partire dagli anni Ottanta con la giustizia riparativa si era data voce ai diritti delle vittime dei reati, oggi si va oltre, si guarda alle relazioni e alla comunità in senso allargato, formalizzato e istituzionalizzato; la Riforma prevede l’istituzione di un Centro per la giustizia riparativa presso ogni Ente locale e per ciascun distretto di corte d’appello la Conferenza locale per la giustizia riparativa[5], con l’obiettivo di diffondere questa cultura, orientandosi verso strumenti alternativi nella soluzione dei conflitti.

Convivenza e legalità

Con il D. L. 10 ottobre 2022, n. 150 le nostre istituzioni sembrano percorrere soluzioni dirette al miglioramento delle relazioni sociali e comunitarie, sembrano voler individuare nuove regole di convivenza sociale. 

Si tratta di un’innovazione importante, con cui ci si incammina verso la soluzione delle grandi emergenze delle società contemporanee globalizzate, rappresentate in primis dalle difficoltà a gestire le nuove forme di convivenza sociale derivanti dalla cosiddetta “politica della briglia sciolta”. Liberalizzazione e deregolamentazione, determinando l’apertura dei mercati e lo sganciamento dai sistemi di controllo, anziché produrre libertà, hanno creato l’effetto opposto e la dittatura dell’economia, per cui i valori materiali dominano su tutto, persino sulle relazioni umane; prevale oggi un esasperato individualismo che ha trasformato le relazioni affettive, organizzative e sociali, sempre più pervase da smarrimento, dalla perdita di riferimenti certi[6]. Era doveroso stabilire nuove modalità di convivenza sociale e con la legge 150/2022 le nostre istituzioni sembrano muoversi in tale direzione.

Convivenza

Il termine “convivenza” si riferisce a «quel processo che consente agli individui e alle comunità di gestire relazioni significative e stabili collocate in uno spazio fisico e simbolico, con altre persone, gruppi e sistemi sociali»[7].

Si possono individuare almeno tre livelli di relazione sociale ove si instaurano tre diverse forme di convivenza:

  • quello delle relazioni affettive, tipiche dei legami familiari;
  • le relazioni organizzative che si instaurano nei rapporti di lavoro;
  • quello delle relazioni sociali, ricadenti nel più ampio contesto della società.

Ferme restando le peculiarità di ciascun livello, studi empirici hanno individuato dieci caratteristiche comuni dei processi comunicativi nei tre livelli, affettivo- organizzativo- sociale: il rispetto delle norme e delle regole implicite ed esplicite; il riconoscimento dell’altro e la tolleranza della diversità; la sicurezza e la stabilità; la presenza di obiettivi comuni e il sentimento di efficacia collettiva; l’equità nell’accesso alle risorse e nella gestione delle relazioni interpersonali; la solidarietà e il supporto dell’altro; la fiducia e la speranza; l’attenzione per l’altro e la comunicazione; il potere nella relazione nel rispetto dell’equilibrio tra i ruoli; la piacevolezza nella relazione e l’investimento di energie[8].

Attraverso l’analisi dei meccanismi che regolano la convivenza è possibile comprendere la percezione soggettiva della legalità.

Legalità

Nel significato comune il termine “legalità” ha una accezione prettamente giuridica, è utilizzato come sinonimo di “agire in conformità”, in osservanza alle prescrizioni normative, alle disposizioni di legge. Il senso comune della legalità peraltro è circoscritto al singolo individuo, non si considera che esso non può prescindere dai sistemi relazionali in cui è inserito.

Spostando l’attenzione dal singolo individuo al sistema di relazioni in cui egli è incardinato è possibile analizzare il concetto della legalità da un altro punto di vista; il rispetto delle norme è innegabilmente legato al bisogno di sicurezza del soggetto, ma allo stesso tempo «implica la disponibilità a riconoscere, rispettare e tollerare le diversità dell’altro, a superare una concezione individualistica dell’esistenza verso la condivisione di obiettivi comuni e di efficacia collettiva»[9].

In questa prospettiva è possibile analizzare anche il rapporto tra autore del reato e vittima.  Il reato ha una duplice natura:

  • da un lato costituisce la violazione di una norma giuridica e, offendendo un bene giuridicamente protetto, è sanzionato con una pena;
  • dall’altro rappresenta l’inosservanza di norme sociali che regolano le forme di convivenza e, in quanto tale, prevede una forma di ricomposizione sociale del danno nei confronti delle vittime.

Il risarcimento sociale verso la vittima deve poter consentire il ripristino dello status quo, di quelle condizioni di sicurezza e stabilità, di solidarietà e supporto dell’altro, di fiducia e speranza, di attenzione per l’altro e comunicazione, in altre parole dei principi che reggono le varie forme di convivenza sociale. Soltanto in questo modo è possibile restituire alle vittime la fiducia in sé stesse e negli altri e permettere il ripristino di una convivenza civile, retta da una comunicazione funzionale tra il soggetto ed il sistema di relazioni in cui è incardinato.

La risocializzazione, dev’esserci a patto che davvero sia ricucito il legame che si è rotto e questa operazione richiede la volontà di tutti gli stakeholder coinvolti nel sistema giustizia: delle Istituzioni,; del colpevole; delle vittime; della comunità, che è parte attiva delle politiche di riparazione, dalla quale scaturisce l’azione delittuosa e sulla quale essa ricade, atteso che ogni singolo reato non può prescindere dai sistemi relazionali in cui è inserito.

In un’ottica sistemico-relazionale, di circolarità e multidimensionalità il problema penitenziario dovrebbe rientrare tra le disfunzioni della società nel suo complesso, le politiche di giustizia penale andrebbero integrate con le politiche di giustizia sociale e con le politiche di welfare, terreno fertile ove attingere gli strumenti per prevenire il crimine e per garantire la tutela dei diritti[10].

In una riorganizzazione complessiva del sistema giustizia il significato della pena dovrebbe andare oltre la retribuzione e la rieducazione e tendere a ricostruire il legame sociale; una rivisitazione del sistema penale in cui tutti gli attori coinvolti, il reo, la vittima, il giudice, lo Stato, gli operatori penitenziari siano posti sullo stesso livello, come già accade nell’edificio della Corte costituzionale sudafricana, ove la giustizia penale è basata su tre principi: anziché la vendetta la comprensione; anziché la ritorsione l’ubuntu, l’interrelazione, il legame necessario con gli altri; anziché il principio della vittimizzazione il principio della riparazione[11].


Per approfondire

[1]Linee di indirizzo del Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità in materia di Giustizia riparativa e tutela delle vittime di reato, consultabile suhttps://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.page?facetNode_1=0_10_3_2&facetNode_2=0_10&facetNode_3=0_6_4_1&contentId=SPS322404&previsiousPage=mg_1_12#

[2]ivi

[3]ibidem

[4]Schema di decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 recante delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari

[5]Idem

[6]A. Panico, Coesione, integrazione, inclusione. La solidarietà nel pensiero sociologico, Carocci, Roma 2007

[7] Idem

[8] Id.

[9] Id.

[10]M. Ruotolo, Tra integrazione e maieutica: Corte costituzionale e diritti dei detenuti, in Rivista AIC Associazione Italiana dei costituzionalisti n° 3/2016

[11]C. Mazzuccato, in Convegno La pena come antidoto alla vendetta, riabilitare, riparare o restaurare, per una nuova cultura della pena, consultabile in http://www.radioradicale.it/scheda/503765/la-pena-come-antidoto-alla-vendetta-riabilitare-riparare-o-restaurare/stampa-e-regime