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Bullismo al femminile: caratteristiche e modalità esecutive

Bullismo al femminile: caratteristiche e modalità esecutive

La violenza femminile e quella maschile non sono esattamente sovrapponibili: se nel maschio troviamo connotati di aggressività e tendenza allo scontro fisico, nella femmina la violenza si esprime in una modalità più larvata, vagamente seduttiva, sebbene non meno oppressiva (Fonzi, 1999). Sembra una base di partenza sufficiente a designare una possibile distinzione tra bullismo femminile e bullismo maschile, fenomeni sociali tristemente diffusi che, se in entrambi i casi vedono il perpetrarsi di condotte vessatorie, reiterate e intenzionali verso una vittima collocata in un livello di inferiorità e asimmetria relazionale, implicano al contempo la presenza di una serie di differenze strutturali ed organizzative, imputabili alla differenza di genere dei perpetratori.

Maggiori difformità tra bullismo femminile e maschile

1. La differente aggressività

Una prima differenza è relativa alle modalità esplicative dell’agito aggressivo. Uno studio condotto da Archer del 2005 ha indicato tre tipologie di aggressività riconducibili al genere femminile:

  • una di carattere sociale, che consiste in un attacco volto ad escludere la vittima dalla possibilità di inserimento in un gruppo (ignorarne le proposte, escluderla, minimizzare i suoi interventi, non permetterle libertà di parola);
  • una di carattere relazionale, che vede la vittima isolata, rifiutata e impossibilitata a stabilire legami a causa del continuo screditamento di cui è resa oggetto;
  • una indiretta, espressa attraverso diffamazione, maldicenze, diffusione di voci derisorie finalizzate a svalutare il Sé della vittima.

2. La struttura del gruppo

Il bullismo maschile presenta un gruppo strutturalmente più organizzato, con una leadership marcata e visibile all’esterno, in ottemperanza al bisogno del maschio di esteriorizzare la propria superiorità di rango.

Al contrario il bullismo femminile opera attraverso reti meno organizzate, avvalendosi perlopiù di gruppi ristretti, spesso sparuti e strutturalmente improvvisati.

3. Il bisogno di visibilità

La bulla preferisce agire nell’ombra. Se il maschio tende ad enfatizzare la propria aggressività, non è su questa dote che la donna riconosce la propria identità di genere, quanto sull’esaltazione di una buona immagine sociale di fronte ai pari e agli adulti. Questo la spinge al diffuso utilizzo di condotte seduttive e manipolatorie, con cui cerca di dissimulare la propria attività vessatoria.

4. La devozione del gruppo

Se nel gruppo maschile l’ordine viene mantenuto attraverso un rispetto della gerarchie, nel bullismo femminile il rispetto gerarchico è sostituito da una profonda ammirazione verso la leader, una sorta di abnegazione a sua volta frutto di un iperinvestimento idealizzante nei suoi confronti.

Per le gregarie l’obbedienza alla bulla diventa un dovere inviolabile maturato dalla tendenza a porla come modello di riferimento, idealizzato e iperinvestito: nessuna agisce e pensa più per se stessa, ma soltanto in funzione delle direttive del capo, cui viene prestata obbedienza collusiva e acritica  (Fonzi, 1999; Calandri, 2017).

5. Il bersaglio dello scherno

Il bullismo femminile, rispetto a quello maschile, è più frequentemente rivolto all’aspetto fisico: questo a ragione della diversa importanza con cui il valore estetico si inscrive nelle dimensioni esistenziali dei due generi, a sua volta frutto di una segregazione di pensiero che impone alla donna una sorta di “dovere” alla bellezza, imponendo all’uomo, di converso, l’ottemperanza a canoni che simboleggino forza, virilità, aggressività.

Schiave di un messaggio sociale tendente all’oggettivizzazione del Sé, le ragazze si prefiggono il raggiungimento di canoni estetici sempre più elevati, lasciandosi convincere che la bellezza femminile sia esclusivamente determinata da una gradevolezza esteriore. In ottemperanza a questo perfezionismo estetico imperante, le ragazze considerano l’aspetto estetico un autentico lasciapassare per l’ingresso in società, un elemento indispensabile col quale mettersi al riparo da atteggiamenti ipercritici, isolanti o denigratori, di cui in adolescenza la percezione distruttiva risulta amplificata (Palmonari, 2011).

Le bulle ne sono perfettamente a conoscenza, ed è questa la ragione che le spinge a colpire le vittime nell’aspetto estetico, rendendo il loro corpo oggetto di condotte sadiche e denigratorie, reiterate talvolta fino ad estreme conseguenza: sei grassa, brutta bassa, hai il seno piccolo… Le vittime se le sentono ripetere con martellante compulsività tanto che, letteralmente perseguitate dai dileggi vessatori, molte finiscono col maturare un’autopercezione corporea svalutante, persecutoria, talvolta distruttiva.

Non a caso si sente parlare sempre più diffusamente di body shaming, i cui effetti spingono la vittima a provare vergogna e repulsione per il proprio corpo. Ma il profondo disagio emotivo, soprattutto nei soggetti più vulnerabili e sprovvisti di fattori ambientali protettivi, può degenerare in disturbi psicopatologici come dismorfofobia, disturbi dell’umore o disturbi alimentari, e nei casi più gravi, può persino condurre al suicidio.

I social network nel bullismo femminile

Il bullismo maschile, pur non disdegnando l’utilizzo dei social network, preferisce attuare le condotte umilianti di fronte ad un pubblico “presente”, dal quale sia in grado di ottenere un feedback di ammirazione immediato e direttamente percepibile.

Per le ragazze, al contrario, la priorità non è tanto quella di impressionare il pubblico, quanto di perseguitare nell’ombra, mantenendo celata la propria identità tramite l’utilizzo di profili o nicknames fasulli. A tal proposito l’anonimato consentito dai moderni strumento informatici si concilia perfettamente con l’esigenza delle bulle di rimanere nell’ombra, agendo totalmente indisturbate le proprie condotte vessatorie.

Vittime della vessazione

Se il bullismo maschile si scaglia principalmente verso soggetti dello stesso genere, quello femminile mostra intenti vessatori piuttosto indiscriminati sotto il punto di vista sessuale.

Ciò che da cui si lascia ispirare, al di là di una mera appartenenza di genere, è una logica opportunistica che spinge a selezionare le vittime sulla base di una presunta inferiorità sociale o estetica, al fine di non dovere temere condotte ritorsive da parte delle stesse, e di garantire una durata quanto più possibile estesa della vessazione.

Ad esser presi di mira dalle bulle sono principalmente:

  • Maschi deboli e introversi, bravi a scuola ma dotati di un aspetto poco piacevole: i classici nerd, che soffrono un isolamento sociale dovuto proprio alla loro incapacità di relazionarsi e di crearsi uno spazio di leadership tra i pari;
  • Bambine isolate, timide e riservate, in grado di ottenere successi personali nello studio e gratificazioni da parte degli insegnanti, ma al contempo molto insicure e socialmente poco considerate;
  • Ragazze popolari, che occupano posizioni di rilievo nel proprio contesto di riferimento-sportivo o scolastico, o altrimenti dotate di doti intellettive od estetiche particolarmente apprezzate, tanto da suscitare l’invidia distruttiva e persecutoria della bulla.

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Oltre gli stereotipi: chi sono le bulle

Lo stereotipo sociale porta ad identificare le bulle con le ultime della classe, ragazzine non interessate allo studio, collocate ai margini del contesto sociale e scolastico, perché figlie di realtà svantaggiate in cui l’antisocialità rappresenta una condotta positivamente rinforzata, e dunque soggetta ad apprendimento imitativo (Palmonari, 2011). Trattandosi di soggetti ad alto rischio di deviazione evolutiva, cresciute in ambienti affettivamente deprivanti e socialmente periferici, è probabile che in questi casi esse mostrino spregiudicatezza e disimpegno morale, sessualità precoce, adultizzazione, condotte ispirate dall’emulazione di modelli familiari a loro volta deviati e devianti.

Sono, tuttavia, da sfatare gli stereotipi che vedono la bulla come un soggetto riconoscibile in automatico, grazie alla presenza di un look aggressivo o di un comportamento provocatorio con cui lei stessa tende a presentarsi alla società. In molti casi, le bulle si nascondono dietro l’immagine di ragazze perfettamente integrate nel contesto scolastico. Spesso sono alunne modello, figlie di realtà familiari tutt’altro che deprivanti, in cui proprio un iper-investimento affettivo ha impedito il consolidarsi di dimensioni come empatia, senso di colpa, preoccupazione per l’altro, a fronte dello sviluppo di una dimensione narcisistica tendenzialmente sadica e strumentalizzante (Winnicott, 1965).

Come riconoscere il bullismo femminile

Si è detto di come il bullismo femminile tenda ad agire nell’ombra. Ed è proprio grazie a queste capacità manipolative che l’adulto (docente o genitore che sia) riuscirà a riconoscere intenti distruttivi al di là di condotte apparentemente innocue. Di rimando la vittima si sentirà sempre più debole e isolata, e questo le impedirà di infrangere la cortina di silenzio che si rende il primo fattore di perpetrazione della condotta bullizzante.

Per questo è importante che l’insegnante sia in grado di osservare il dinamismo relazionale e l’approccio comunicativo della classe, specialmente nei momenti di pausa, in quelli ricreativi o in tutti quei contesti informali i ragazzi in cui credono di non essere visti. Ciò al fine di agevolare l’individuazione di condotte vessatorie che, in ogni caso, l’adulto educatore non deve né minimizzare né normalizzare con etichette eufemistiche, volte alla negazione di una evidente volontà persecutoria.

È, al contrario, preferibile infrangere la struttura patologica che ha favorito l’instaurazione della condotta vessatoria, per agevolare la costruzione di una rete amicale attorno alla vittima e ristrutturare nel contesto classe una coesione relazionale più solida e coesa. Uno spirito di collaborazione che superi quello di competizione, in grado di impedire il reiterarsi di episodi persecutori in una modalità emulativa.

I ragazzi non devono sentirsi abbandonati di fronte ad un possibile episodio di bullismo, sia maschile sia femminile. La necessità di un intervento immediato e consapevole non implica alcuna restrizione di genere.


Riferimenti bibliografici

  • Archer, J. Gendreau, P.L., (2005) Subtypes of aggressione in humans and animals, in Tremblay, R.E., Hartup, W.W., Archer, J. ( a cura di) Developmental origine of aggression, Guilford, Ny;
  • Baldry, A.C., Sorrentino, A. (2013) Il cyber bullismo, una nuova forma di disagio giovanile, in Rassegna Italiana di Criminologia, n. 4/13, pp.. 264-276;
  • Bernardo, L. (2009) Il bullismo femminile, Cult editore, Milano;
  • Burgio, G. (2017) Comprendere il bullismo femminile: genere, dinamiche relazionali, rappresentazioni, Franco Angeli, Milano;
  • Blos, P. (1962) L’adolescenza. Un’interpretazione psicoanalitica, tr.it. Franco Angeli, Milano, 1993; Calandri, E., Begotti, T. (2017), Quando il bullismo è al femminile. Conoscere, intervenire, prevenire, Paoline editoriale libri, Roma;
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  • Pennetta, A.L., Ziliotto, G., ( 2019) Bullismo, Cyberbullismo e nuove forme di devianza, Giappichelli, Torino;
  • Winnicott, D.W. (1967) Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma, 2012;
  • Winnicott, D.W. (1970) Gioco e realtà, Armando, Roma;
  • Winnicott, D.W. (1971) Psicoanalisi dello sviluppo, Armando, Roma 2004