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Lo studio sul cervello dei poliglotti: come la lingua madre e non influenza l’attività cerebrale

Lo studio sul cervello dei poliglotti: come la lingua madre e non influenza l’attività cerebrale

In che modo reagisce il cervello dei poliglotti quando vengono esposti alla loro lingua madre?

Si osserva una riduzione dell’attivazione neurale, suggerendo che l’idioma nativo richiede un minor dispendio di energie cognitive.

Il ruolo della prima lingua appresa

In che modo il suono della prima lingua appresa durante la prima infanzia influenza il cervello?

In termini tecnici, tale effetto può essere definito come “effetto di comfort”.

Anche nelle persone che parlano più lingue e che si sentono a proprio agio in questo contesto, l’idioma appreso durante i primi anni di vita presenta un livello di familiarità tale da permettere al cervello di godere di un lusso che non è sempre concesso: il riposo. Per elaborare il linguaggio madre, infatti, il cervello richiede meno risorse cognitive, e tale attività può essere eseguita in modo quasi automatico.

Il tema degli individui con abilità linguistiche altamente sviluppate, come i poliglotti o gli iperpoliglotti che sono in grado di parlare fluidamente molte lingue, è di grande interesse. Tuttavia, il numero di studi condotti su tali individui è esiguo, poiché solo l’1% della popolazione mondiale possiede tali “superpoteri” linguistici e la selezione di soggetti adeguati per gli studi risulta particolarmente difficile.

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Studi sulle persone con capacità linguistiche avanzate

Un team di neuroscienziati del Massachusetts Institute of Technology è riuscito a reclutare 25 poliglotti, di cui 16 erano iperpoliglotti, ovvero individui in grado di comunicare in più di 10 lingue, in accordo con i criteri adottati dallo studio. Tra i partecipanti vi era persino un individuo che parlava più di 50 lingue diverse.

L’obiettivo dello studio, pubblicato su biorXiv e in attesa di revisione, è stato quello di esplorare l’attività cerebrale dei poliglotti durante l’ascolto di diverse lingue, incluse quelle di loro familiarità e la lingua madre.

I partecipanti hanno ascoltato una serie di estratti audio di 16 secondi tratti dalla Bibbia o da Alice nel Paese delle Meraviglie: uno nella loro lingua madre, tre in lingue da loro conosciute e quattro in lingue sconosciute. Tuttavia, tra i brani in lingue sconosciute, sono stati inclusi anche alcuni estratti in lingue simili alla loro lingua madre, come lo spagnolo per un partecipante che aveva l’italiano come lingua madre.

Per misurare l’attività cerebrale durante l’ascolto, il team di ricerca ha utilizzato la risonanza magnetica funzionale (fMRI), tecnica che permette di osservare il flusso sanguigno e la concentrazione di ossigeno nel cervello. Indipendentemente dalla lingua ascoltata, nei partecipanti si sono attivate sempre le stesse aree specializzate nei lobi frontali e temporali sinistri del cervello. Queste aree costituiscono il circuito cerebrale che tutti noi, anche coloro che conoscono una sola lingua, utilizziamo per associare i suoni al loro significato.

In un altro ambito, recentemente sono stati sviluppati auricolari che consentono di parlare in qualsiasi lingua del mondo.

In generale, il team di neuroscienziati ha osservato che i partecipanti allo studio presentavano un’attivazione cerebrale maggiore nelle aree specializzate del cervello quando ascoltavano lingue che conoscevano bene. Questo suggerisce che una maggiore familiarità con una lingua porta ad un maggiore sforzo cognitivo per elaborare il significato delle parole ascoltate. Tuttavia, anche le lingue non familiari ma simili alla lingua madre, come lo spagnolo per un italiano, mostravano un’attivazione cerebrale importante, poiché il cervello cercava di riconoscere somiglianze con le parole già conosciute. Questo fenomeno può essere paragonato a quando cerchiamo di comprendere una conversazione in una lingua straniera con cui abbiamo una conoscenza parziale.

Dunque la risposta cerebrale nell’ascolto di lingue familiari era maggiore rispetto a quelle non familiari, con un’attivazione particolarmente significativa anche per le lingue simili a quella nativa. Tuttavia, quando i partecipanti hanno ascoltato l’estratto nella loro lingua madre, l’attivazione cerebrale è stata sorprendentemente bassa, segno che il cervello richiede meno risorse cognitive per processare una lingua che gli è familiare. Questo potrebbe significare che, per diventare esperti in altre lingue, sarebbe preferibile impararle fin da giovani in modo da accumulare una maggiore esperienza, una considerazione già nota in letteratura scientifica.

Il ruolo fondamentale degli studi sulle neuroscienze del linguaggio per lo sviluppo di strumenti terapeutici

Effettivamente, gli studi sulle neuroscienze del linguaggio possono fornire informazioni preziose per lo sviluppo di strumenti terapeutici per pazienti che hanno subito lesioni cerebrali o disordini del linguaggio. Ad esempio, la terapia del linguaggio potrebbe utilizzare strategie mirate a rafforzare le aree cerebrali coinvolte nella comprensione e nella produzione del linguaggio, in modo da favorire il recupero delle abilità linguistiche dopo un’ictus o un’altra lesione cerebrale.

Inoltre, la conoscenza dei circuiti cerebrali coinvolti nel linguaggio potrebbe portare allo sviluppo di nuovi strumenti per l’analisi del linguaggio, ad esempio per la diagnosi precoce di disturbi del linguaggio come la dislessia o la disprassia verbale. Questi strumenti potrebbero consentire una diagnosi più tempestiva e un trattamento più efficace per i pazienti affetti da questi disturbi.

In generale, lo studio del cervello e del linguaggio può fornire importanti indicazioni per migliorare la comprensione del funzionamento del cervello umano e per sviluppare nuove strategie terapeutiche per una vasta gamma di disturbi cerebrali e del linguaggio.

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