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La relazione fra insegnante e allievo: la nuova mission educativa

La relazione fra insegnante e allievo: la nuova mission educativa

La relazione tra insegnante e allievo costituisce il nucleo più importante dello studio pedagogico, intorno al quale si sono cimentati, in ogni tempo, filosofi, educatori, sociologi, legislatori, offrendo orizzonti specifici di riferimento, a cui la scuola e l’educazione si possono ispirare.

Le scuole di pensiero attuali e più accreditate sostengono che ogni tipo di rapporto educativo tra educatore ed educando si configura, in via prioritaria, come una forma di incontro, basato su un rapporto umano, in cui interagiscono due forme di personalità: quella della persona adulta (matura) e quella che attraversa una fase evolutiva (immatura).

In campo educativo è necessario che il confronto queste due diverse realtà debba trovare un territorio comune d’intesa, in cui i due soggetti siano in grado di dialogare, parlando la stessa lingua e ricercando codici comunicativi, che favoriscano l’incontro, fondato sul rispetto reciproco dei due soggetti e sulla disponibilità, da parte dell’insegnante, in particolare, mettersi in una posizione di ascolto attivo e di immedesimarsi, empaticamente,  con  la realtà esistenziale del suo allievo.

Nel caso che non si realizzi tale presupposto, si determina una situazione di contrasto e di antagonismo  tra i due, in cui l’educando interpreta l’azione educativa come una forma  coercitiva, sentendosi imprigionato nelle maglie di un affetto geloso e di egoistica oppressione, che limita la sua libertà di scoprire ed esplorare  e conquistare i suoi personali traguardi di sviluppo.

La relazione come antagonismo

La relazione antagonista tra i due soggetti si realizza, dunque, quando l’adulto investe il giovane di un suo ideale personale o di un suo modello, che ha caratterizzato il suo percorso di qualificazione sociale o professionale, indirizzando il suo allievo verso certe presupposte giuste mete, da lui predisposte e preconfezionate aprioristicamente.

In tal modo l’insegnante, chiuso nella cosiddetta competenza personale, non è disponibile ad aprirsi al giovane, ma lo condiziona totalmente (in quanto immaturo), ignorandone le sue effettive esigenze di sviluppo e limitandone il suo processo di crescita, maturazione e sviluppo, in una prospettiva di autoaffermazione.

In questo modo, venendo a mancare il terreno su cui operare l’azione interpersonale, si genera una situazione di  monologo o di sordità (dialogo tra sordi) e un atteggiamento oppositivo e di rifiuto da parte dello studente nei confronti dell’insegnante, per cui non si instaura una relazione, ma una pseudo-realizzazione, che diventa incomprensione e mancanza di un autentico rapporto umano.

La relazione come rapporto umano e la nuova mission educativa

L’insegnante, nella sua mission educativa, ha il compito, tramite l’identificazione simpatetica con l’allievo, di iniziare il dialogo con lui, utilizzando un linguaggio che sia a lui accessibile, offrendogli tutti i mezzi possibili, compresi quelli comunicativi, perché possa realizzare le sue personali dotazioni native.

In questa prospettiva, l’allievo maturerà la consapevolezza di non vedere nell’adulto educatore un mondo di affetti possessivi, ma di trovare in lui una fonte di stimolazione attiva, una guida, un prezioso aiuto, che lo induca ad una maturazione di riflessione sugli aspetti valoriali che egli rappresenta e sull’ambiente storico-sociale in cui si trova a vivere.

Si innestano, a questo punto, i problemi psicologici della conoscenza dell’età evolutiva e dei ritmi di sviluppo e, soprattutto della capacità dell’insegnante di osservare il comportamento del suo allievo.

Oltre alla capacità intuitiva, sarà necessario, però, che l’educatore tragga le sue conoscenze, scientificamente fondate, dallo studio sistematico del carattere dell’età evolutiva, anche se è bene precisare che il rapporto educativo non può essere limitato alla inerte materia della nozione, alla compilazione di profili, statistiche, schede, tabelle, quozienti d’intelligenza, criteri di misurazione quantitativa),

Il suo impegno deve essere rivolto, infatti, ad occuparsi, anche e soprattutto, della dimensione socio-emotiva della personalità,  seguendo quella voce interiore a cui hanno fatto appello tutti i grandi educatori, da Rousseau al Freinet, da Pestalozzi alla Montessori, i quali sostengono, che l’agire educativo deve tener conto, in primo luogo, del ruolo e della funzione fondamentale dei fattori umani come l’intuizione, l’amore, il calore affettivo, la tensione emotiva, lo slancio, l’entusiasmo, la dedizione, ecc.


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L’azione e la relazione educativa

L’opera educativa prevede che si saldino e si superino le due diverse istanze: il rapporto empirico, (intuitivo, che tiene conto delle condizioni concrete in cui si realizza il rapporto), utile a risolvere interessi pratici ed immediati dati empici concreti, in cui prevale la soggettività individualistica, e l’esigenza precettistica, di stampo idealistico, scientificamente impostata e basata su elementi oggettivi i cui criteri superano la realtà soggettiva e si inseriscono su principi astrattamente concepiti (fedeltà ad un certo programma momento e programma aprioristicamente definito).

In ogni caso, l’importante è che la scuola si presenti non come una tortura nozionistica priva di interesse, ma come luogo educativo ricco di sollecitazioni diverse che abbiano il valore della significatività, senza avere l’ambizione di dilatare in estensione il sapere da trasmettere, ma coglierne cosa è veramente necessario insegnare, che abbia il significato dell’unitarietà, della sistematicità, dell’organicità, in una parola, della cultura.

In definitiva, l’azione educativa dell’insegnante sarà tanto più valida ed efficace,  nella misura in cui  saprà insegnare non tanto, o soltanto, contenuti disciplinari, fissando alcune cristallizzazioni concettuali o saperi stereotipati, quanto sulla sua capacità di accendere, nei suoi allievi, la motivazione allo studio e alimentare in loro il desiderio di apprendere.

Il clima di apprendimento

Un clima di apprendimento stimolante permetterà all’alunno di scoprire il valore del sapere e collocarlo in una costellazione di significati, modi, strategie, stili di apprendimento, utili a  formare  le abilità mentali superiori, sviluppando  la consapevolezza di quello che  si sta facendo,  del perché lo si  fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni, che vanno al di là dei semplici processi cognitivi primari, quali il memorizzare, il capire, il calcolare, per inserirli in una dimensione metacognitiva, in cui interagiscono le varie modalità di organizzare l’esperienza e i vari alfabeti del convivere: il vedere, il sentire,il fare, il capire, il pensare,il sapere, l’agire.

Come afferma Kant, niente è più importante di pensare dalla propria testa, infatti, se il pensiero è imprigionato in celle cognitive, oggi, spesso, preconfezionate da altri (in particolare dagli opinionisti tv e dai vari social), la dignità stessa dell’uomo ne va distrutta, per cui, citando la teoria dello stesso filosofo, “la libertà di pensare costituisce l’unico tesoro rimastoci in mezzo a tutte le ipostazioni sociali” (E. Kant, “Che cosa significa orientarsi nel pensiero (1786, tr.it.a cura di F.Volpi, Adelphi, Milano,1996).

In conclusione, si può affermare che ciascun essere umano ben educato è chiamato a costruire in modo personale il proprio itinerario esistenziale, in cui maturi una scelta di vita, finalizzata a scoprire, ricercare, conquistare, sviluppare e coniugare, nel suo agire responsabile, i valori della verità, della giustizia, della libertà, vale a dire, il significato di essere al mondo.