La rabbia rappresenta un turbamento più o meno intenso, tipico del genere umano, che si presenta come una reazione emotiva, determinata da un avvertito segno di impotenza di fronte a una minaccia di natura interiore o proveniente dall’ambiente.
Quest’ultima minaccia, in particolare, è, di solito, interpretata dall’individuo, che la subisce, come uno stimolo “provocatorio” (Novaco, 1975), che mobilita, di solito, una reazione istintiva a difendersi (funzione adattiva), dall’offesa fisica o verbale, che viene percepita e interpretata come una ingiustizia o un torto subito.
Le cronache quotidiane e i numerosi episodi inquietanti, presentati, continuamente, dai mass media, ci offrono numerosi esempi di povertà e fragilità emotive negative, riguardanti gli adolescenti, i quali, non disponendo di una sufficiente “economia psichica”, spesso, non sono in grado, di fronteggiare i loro compiti di sviluppo, riferiti alla qualità etica della vita personale e ai comportamenti relazionali.
Tale situazione produce, inevitabilmente, situazioni di malessere esistenziale e preoccupanti fenomeni depressivi che, per l’accumulo ripetuto di frustrazioni, possono determinare effetti distruttivi su sé stessi e sugli altri, anche se si tratta di persone innocenti o estranee.
È cosa nota che, nella società attuale, caratterizzata dalla complessità, il modo di essere al mondo, oggi, non è più condizionato dai bisogni primari, legati alla sopravvivenza, ma a simboli, che esprimono lo status sociale, che identificano, come valori prioritari : il senso dell’avere, del possesso, del dominio, del prestigio, del successo, della fama, della ricchezza, accompagnati dalla necessità/urgenza di doverli assorbire, interiorizzare, diffondere ed esibire.
A causa dei suddetti modelli culturali imposti, considerati, ormai, bisogni necessari, da parte degli adolescenti (ma non solo), in caso di una loro mancata risposta di omologazione alle relative richieste di risposte, sempre più performanti, prendono, sempre più, forma e consistenza, sentimenti di inadeguatezza e di rabbia di “non potercela fare”, che vengono, impulsivamente, proiettati, sotto forma di reazione, su se stessi, su persone o cose.
Come spesso accade, nei casi più gravi, tali emozioni negative, scatenano, come afferma Freud, la pulsione vitale del “desiderio di uccidere” che, in caso di mancati interventi preventivi, sul piano dell’educazione emotiva, in molti casi, trasformano, tale impetuosa tendenza in veri e propri atti di reazione impulsiva e incontrollata, anche di tipo delittuoso, come quelli descritti, frequentemente nelle recenti cronache.
A tale proposito, è bene rimarcare che gli adolescenti, rispetto agli adulti, sono ancora più esposti a percepire i propri pericoli emotivi; infatti la separazione dai genitori infantilmente vissuti, la perdita del corpo e del ruolo infantile possono determinare dei veri e propri lutti, che vengono vissuti con rabbia e con atteggiamenti oppositivi, rispetto alle esperienze identificatorie dell’infanzia, che aveva caratterizzato il loro rapporto, proprio, con le figure genitoriali.
Ne deriva, perciò, una loro forma di risposta reattiva, finalizzata alla disperata ricerca di una nuova esperienza identitaria, che è piena di ostacoli (e, comunque, mai indolore), accompagnata, da una forte intensità emotiva, che può generare un accumulo di frustrazioni non sempre sopportabili.
Persino il gruppo familiare, caratterizzato dal legame genetico, può presentare, infatti, una bassa tolleranza alla frustrazione, condizionata, di solito, dalle frequenti forme di “analfabetismo e autismo emotivo”, derivati dall’inefficacia della comunicazione o, addirittura, dalle violenze domiciliari, compromettono la qualità del rapporto, arginano i flussi emotivi interpersonali, ostacolano il rispetto e l’ascolto attivo tra figli e genitori.
Il persistere in questa situazione di sofferenza psicologica, in un ambiente, che dovrebbe garantire la massima protezione, elimina, di fatto, il rapporto caldo, solidale ed affettivamente ricco, che si realizza, solo, attraverso “lo scambio di doni reciproco che comportano, il dono di sé all’altro” (Piredda, 2024) e determina una forma di individualismo ipertrofico, narcisisticamente esasperato.
Tale chiusura egoistica, basata sull’ ipertrofia dell’Io, determina un fenomeno di accumulo di frustrazioni, che, sfociando nella rabbia, genera atti di isolamento, aggressività e violenza, caratterizzati da comportamenti socialmente censurabili che, nei casi più gravi (isolamento, solitudine, esasperazione, ira, rancore, furore), può tradursi, anche, in azioni criminali e delittuose.
Un importante aspetto, da rimarcare, di questo stato mentale, riguarda, inoltre, la rabbia sociale, dovuta alla sensazione di aver subito, torti, ingiustizie, riconoscimenti, per cui il sentimento di inadeguatezza può determinare comportamenti aggressivi, e configurarsi, perciò, sotto forma di atti sovversivi di tipo violento e “distruttivo”, che si concretizzano con vari tipi di contestazione, manifestazioni vandaliche, violente aggressioni, atti terroristici, ecc.
I fenomeni di violenza si manifestano, infine, in età adolescenziale, nel gruppo dei pari, dove si registrano numerosi casi di bullismo classico (bullismo tradizionale) e di cyberbullismo (bullismo digitale), i cui atti persecutori, sistematicamente ripetuti, offendono la dignità della vittima, la quale, spesso, non dispone degli strumenti necessari per difendersi.
C’è, comunque, da sottolineare che, in caso di violenza subita, il processo può diventare circolare, nel senso che la vittima, in alcuni casi reagisce, restituendo l’offesa e diventare, a sua volta, aggressore.
Un altro fenomeno, sempre più diffuso, è quello dei pericolosi comportamenti distruttivi rappresentati dalle baby gang, i cui membri, per lo più giovanissimi (7 – 14 anni), si rendono protagonisti di comportamenti devianti, come quelli della microcriminalità, basata su aggressioni, scippi e piccoli furti (smartphone, orologi e altri oggetti).
I comportamenti prepotenti e arroganti dei loro componenti, evidenziano una grave forma di disagio psicologico, alimentato da sentimenti di rabbia, collegabili, perlopiù, al senso di vuoto, che li circonda e alla povertà educativa, ascrivibile, generalmente, ad una mancata identità sociale e culturale.
Oltre alla reazione istintiva e impulsiva della rabbia incontrollata, sopra descritta, si può registrare un tipo di emozione negativa, che si manifesta sotto forma di assuefazione e adeguamento passivo al fenomeno delle continue aggressioni subite.
Questo atteggiamento di rassegnazione alle offese fisiche e psicologiche, adottate nei confronti dei ragazzi, alimenta, in loro, sentimenti di autismo e mutismo emotivo (Piredda, 2024), che comportano, come meccanismo di difesa, la chiusura in sé stessi e l’adozione di stili comportamentali autolesionistici.
Si tratta di una penosa situazione, generativa di una condizione di malessere degli adolescenti, che alimenta la disistima di sé, accompagnata dal silenzio, dall’isolamento, dalla vergogna, dalla paura di denunciare i fatti accaduti, nonché da un senso di emarginazione, causato da un ambiente sordo, ostile, pieno di minacce.
Una simile esperienza negativa, che investe la loro totalità antropologica, genera, di conseguenza, un sentimento di rabbia interiore, vissuta, anonimamente, in un contesto, che non ha niente di educativo, che viene interpretato come un ”non luogo”, privo di carica umana, che si configura come un arido deserto di tristezza, che non dà senso, valore e significato alla loro esistenza, ma ostacola e mortifica le loro potenzialità umane, vale a dire, il loro modo di essere, pensare ed agire.
LA NECESSITÀ DI EDUCARE A GESTIRE LA RABBIA A LIVELLO SCOLASTICO
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, secondo un pregiudizio molto diffuso, si potrebbe dedurre che la rabbia, alla quali si associano, normalmente, valutazioni negative, può essere considerata un’emozione scomoda, spiacevole e indesiderata (alla pari della tristezza), che sarebbe meglio, per gli alunni, non provare od esprimere, perché generatrice di rapporti conflittuali, che pregiudicano la serenità e l’armonia dei rapporti con sé stessi, con gli altri e col mondo.
In realtà, la rabbia è un’emozione primaria, educabile, a livello familiare e scolastico, con una progettualità mirata, mirata a perseguire i seguenti benefici e finalità di tipo costruttivo:
· rappresentare un’energia positiva vitalizzante, che comporta una forma di eustress (stress positivo), che, a differenza del distress (stress negativo),che ha un potere bloccante, stimola all’azione, in caso di eventi importanti;
· rafforzare la motivazione a lottare per i personali ideali e per l’autoaffermazione personale;
· permettere di realizzare le personali potenzialità e di fornire energie aggiuntive, per migliorare le proprie performances, come, per esempio, quella delle competizioni sportive a livello agonistico, senza, mai, sconfinare, in comportamenti aggressivi e offensivi, che possano danneggiare gli altri.
Per questo motivo, è necessario che l’azione didattico-educativa nei vari ordini di scuola preveda, all’interno dei Traguardi di Sviluppo, previsti dalle Indicazioni Nazionali del Ministero, la collocazione, all’interno del curricolo scolastico, dell’educazione emotiva, intesa come “Officina di umanità” (Piredda, 2023) che, oltre a curare l’aspetto cognitivo e abilitativo dell’insegnamento, basato sul sapere e sul saper fare, si occupi, anche e soprattutto, degli aspetti socio- emotivi ed etico-comportamentali dell’alunno, orientando l’intervento didattico-educativo sullo sviluppo delle competenze di vita (life skills), inquadrabili nella dimensione del saper essere con se stessi e con gli altri.
A tal fine sarà fondamentale, per gli insegnanti, non di reprimere un sentimento naturale come la rabbia, ma cercare di “sublimarla”, cioè, di canalizzarla e di renderla, possibilmente, amica, alleata, utile e produttiva, utilizzando esperienze vive e partecipate di tipo laboratoriale.
Con questa metodologia, possono essere proposte una serie di attività formative emotivamente coinvolgenti, come gli esercizi di meditazione e di rilassamento, la conoscenza delle proprie emozioni, la valutazione dei propri vissuti, la narrazione scritta della personale esperienza, i giochi sportivi di squadra, i giochi di ruolo, le varie esercitazioni di tipo collaborativo, le proposte presentate dagli stessi ragazzi, le attività di espressività corporea, le attività musicali, le attività teatrali, ecc.