La scienza ha fatto registrare, dalla metà del ventesimo secolo in poi, una forte ed accelerata evoluzione nei vari campi del sapere, espandendo il suo campo d’indagine, di studio e di ricerca, anche, ad alcuni ambiti della natura umana, definendone alcuni nuclei fondanti, come quello centrato sulla rappresentazione del corpo.
L’approccio a questa problematica può partire da una semplice domanda : attualmente, la scienza concepisce il corpo come un’identità, che rappresenta i vissuti di ogni persona, oppure considera il suo campo di osservazione e applicazione, limitato al sezionamento delle sue parti, come un semplice oggetto, caratterizzato da un aggregato di elementi anatomici (struttura fisica, concepita nella sue dimensioni anatomiche, chimiche e fisiologiche)?
Tale domanda implica la chiara risposta, ricavabile dalle attuali scuole di pensiero più accreditate, secondo le quali, la scienza, di fatto, come nel passato, continua a privilegiare questo secondo aspetto, vale a dire quello centrato studio biologico del modo fisico di essere al mondo e il modo di esplorarlo, recidendo, di fatto, il rapporto del corpo con la sua realtà esistenziale, limitandosi, così, allo studio della sua esteriorità, formulandone un’idea aprioristica e astratta (una sorta di simulacro) di un sé per sé, come costruzione logico-ideale, insomma, un mondo “pensato, “non vissuto” e “non abitato” .
Il mondo della scienza, costruito secondo l’ideale dell’oggettività assoluta, esamina, dunque, il corpo, non come corpo vivente, sede della personalità (conosciuto col termine tedesco: LEIB), ma come “corpo cosa”, limitato alla sua materialità e alla sua funzione organica (conosciuto col termine tedesco: KORPER), limitato ad una concezione meccanicistica di organi e apparati, collocabile, perciò, in una dimensione separata dal mondo reale e isolato dall’esistenza, in cui il significato intellettuale dell’azione pensata non è mai sufficiente a tradursi in significato motorio.
Come afferma Friedrich Nietzsche (1844-100), assumendo una posizione polemica sulla “credenza” della scienza, “il metodo scientifico considera l’uomo come misura di tutte le cose: nel far ciò tuttavia egli parte da un errore iniziale, credere cioè che egli abbia queste cose immediatamente dinanzi a sé, come oggetti puri”.
In questo modo, una vera scissione con la realtà del mondo ci porta a considerare il corpo, che vive e si muove nello spazio, nella sua dimensione geometrica, non potendo indagare sulla modalità, con cui abita il mondo che, notoriamente, coinvolge importanti funzioni di tipo abilitativo, emotivo e affettivo, dando senso e significato alle esperienze di prima mano, direttamente vissute nel mondo reale e non nel mondo separato dalla vita.
Per confermare l’importanza del corpo vissuto, in una situazione concreta, si potrebbe far riferimento all’esempio offerto dal processo di apprendimento delle abilità tecniche, in campo motorio e sportivo, che sono, necessariamente legate alle prove pratiche, realizzate, personalmente, dai bambini, sul campo.
A titolo esemplificativo, basterebbe pensare alla loro alfabetizzazione motorio-sportiva, nel campo del nuoto che, come si sa, può avvenire soltanto nell’ambiente acquatico, in cui il corpo si immerge, costruisce e vive, soggettivamente, l’organizzazione e la regolazione del gesto.
Infatti, per imparare a nuotare, non è necessario, né utile, far ricorso alle rappresentazioni mentali del movimento o basarsi, soltanto, sulle spiegazioni teoriche dell’istruttore, la cui memorizzazione e il cui utilizzo esclusivo non sarebbe sufficiente, nemmeno, a farli galleggiare.
È, invece, necessario, guidarli ad acquisire le abilità specifiche, attraverso il contatto diretto del corpo, con l’ambiente acquatico, in cui le cose e le azioni, attraverso le loro personali sensazioni, vengono identificate, interpretate, ispezionate, classificate, ordinate, composte, scomposte, utilizzando, attraverso esercitazioni concrete, il processo di apprendimento per prove ed errori.
Edmun Husserl (1859-1938), che ha studiato a fondo il problema del senso del mondo, afferma che “il senso della scienza non è rintracciabile nella scienza, ma nell’umanità che, a un certo punto della sua storia e in una certa localizzazione geografica, sì è posta problemi scientifici”.
Non bisogna, perciò, dimenticare, come afferma lo stesso studioso, che il nostro corpo è nella verità della vita, per cui il mondo non è ciò che “io penso”, ma ciò che “io vivo”, ciò che “io abito”, che rappresenta, secondo J.P. Sartre (1905-1980), “il solo oggetto psichico dell’uomo e, secondo Merleau-Ponty (1908-1961), “l’apertura percettiva al mondo”.
In questo senso, come sintesi delle considerazioni sopra esposte, si può arrivare alla considerazione che il corpo, nella sua soggettività, si colloca, in modo intenzionale, nel mondo della vita, è presenza umanizzata nel mondo, che permette di caricare le cose di senso e significato.
I NUCLEI FONDANTI E GLI ORIZZONTI DI RIFERIMENTO DELLA SCIENZA MEDICA
I principi fondanti della scienza, riferiti alla concezione del corpo sopra enunciati, trovano, in campo bio-medico, un valore assoluto, orientato, fondamentalmente, non a ricercare la realtà esistenziale, nella vita del corpo, ma a preservare la vita, attraverso interventi medicalizzati (biomedicina), sempre più sofisticati, che la controllano e la prolungano, che, a tale scopo, risultano indispensabili e risolutive.
È il caso, però, di rimarcare che tali pratiche sconfinano, spesso, nello studio del corpo, inteso nelle varie forme di sperimentazioni cliniche, di terapie sofisticate, di trapianti d’organo, di organi artificiali, di chirurgia estetica, di intelligenza artificiale che, come avviene frequentemente, sono orientate a tecniche di mantenimento, con accanimento terapeutico, nei confronti di quelle persone, che vivono gravi situazioni patologiche prolungate, irreversibili e senza speranza, ecc.
La società attuale, attraverso il servizio sanitario nazionale e quello privato, è orientata a “depersonalizzare” l’aspetto emotivo e socio-affettivo di ogni rapporto, privandolo della sua carica di “humanitas”, fondata sulla dimensione emotiva e socio-affettiva, e della comunicazione empatica interpersonale, riducendo, in questo modo, la professione del medico, ad un intervento meramente tecnico-diagnostico, che centra la sua attenzione sulla disfunzione funzionale di uno o più organi o apparati, esamina la tipologia degli stati morbosi e prescrive le relative pratiche terapeutiche.
Si può citare, a questo punto, che è particolarmente esplicativa la definizione dell’Enciclopedia Treccani, secondo la quale : “ la medicina è la scienza che ha per oggetto lo studio delle malattie, la loro cura e prevenzione”.
Ne deriva dunque la concezione, secondo la quale, lo sguardo del medico non è rivolto al malato, alla sua soggettività e al suo vissuto, ma ai segni sintomatici della malattia e alla lettura del quadro clinico del corpo, inteso come semplice organismo, che bisogna preservare dalla morte, in quanto unica espressione, che pregiudica l’esistenza.
Sulla base delle riflessioni sopra esposte, si può considerare, inoltre, che, nel viaggio verso la salute, la scienza occidentale, in particolare, ha percorso un cammino accidentato, che si è progressivamente distaccato dal modello esplicativo delle malattie, che contemplava dimensioni religiose o spirituali , che essa aveva condiviso, per almeno 2000 anni, con molte altre culture, riferite al campo umano ed interiore della vita, per approdare, nel nostro secolo, ad una concezione attuale di tipo riparativo, riferita alla soluzione medicalizzata delle disfunzioni funzionali del corpo fisico.
È il caso di sottolineare che le due realtà, quella teorico-concettuale della scienza e quella legata all’espressività corporea, che fanno capo a teorie contrapposte : quella del positivismo tra l’800 e i primi del 900 (basata scienza pura) e quella del neoidealismo (delle scienze umane, che considerano, come unica realtà, quella filosofica), sono ancora presenti all’interno dei curricula scolastici e nello stesso panorama accademico italiano.
Nel contesto delle riflessioni sopra esposte, emerge, a questo punto, l’esigenza di superare l’incomunicabilità e il dualismo ancora imperanti, che presentano una posizione oppositiva tra le esigenze scientifiche (la pura fisicità del corpo) e quelle del corpo, riguardanti la realtà esistenziale personalmente vissuta.
In questa prospettiva, la scienza non si deve arroccare in una posizione strettamente disciplinare, ma aprirsi a contributi, che ne arricchiscano il suo campo d’azione, che le consentano, perciò, di esplorare nuove frontiere e di elaborare un nuovo paradigma umano e umanizzante (corpo vissuto), ricercando un rapporto interdisciplinare, che renda possibile un dialogo profondo tra i due saperi, come, come affermava Charles Percy Snow, già nel 1959, nel suo saggio “le due culture”.
In definitiva bisogna inaugurare, a livello universitario, un’attività di formazione e disegnare un profilo professionale dei futuri medici e dei docenti di ogni ordine di scuola, utilizzando un metodo innovativo di ricerca, basato su una visione più “olistica” della natura umana, dove mente e corpo non sono più entità divise, ma armonizzate in un unico sistema interconnesso, che investa la totalità antropologica della persona, nel suo modo di essere al mondo.