La malattia di Alzheimer (Alzheimer’s disease) deve il suo nome al neurologo tedesco Alois Alzheimer, il quale all’inizio del 1900 ne descrisse le caratteristiche: si tratta di una malattia degenerativa a decorso cronico e progressivo che provoca la distruzione delle cellule del cervello danneggiando irreversibilmente le funzioni cognitive (memoria, ragionamento, linguaggio) e finendo con il causare la compromissione dell’autonomia del soggetto colpito.
Ad oggi è la causa principale di demenza senile dai Paesi sviluppati, con un’incidenza pari al 5% circa degli over 65enni ed al 20% circa degli over 85enni; talvolta però si manifesta un episodio precoce anche intorno ai 50 anni.
Le cause
Nella maggior parte dei casi la causa sembra essere connessa all’alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che in alcuni soggetti, per ragioni ancora ignote, comincia ad essere metabolizzata in maniera non corretta causando la formazione di una sostanza neurotossica, la beta amiloide per l’appunto, che poco a poco si accumula nel cervello causando la progressiva morte neuronale.
Una piccola parte delle persone colpite dalla malattia di Alzheimer (5%), trova la causa del suo sviluppo nella presenza di un gene alterato che perciò ne determina la trasmissibilità su base ereditaria: le forme familiari di Alzheimer, purtroppo, hanno un’insorgenza più precoce, a volte anche prima dei 40 anni. Queste forme ereditarie sono connesse alla presenza di varianti nei geni della presenilina 1 (PS1) sul cromosoma 14, della presenilina 2 (PS2) sul cromosoma 1 o della proteina precursore della beta amiloide (APP) sul cromosoma 21: in tutti i casi citati siamo di fronte a casi di trasmissione di carattere autosomico dominante.
Il rimanente 95% dei casi sembra manifestarsi in soggetti che non hanno una familiarità lampante con la malattia.
I sintomi
Spesso accade che la persona colpita da malattia di Alzheimer mostri chiari segni di alterazione della personalità, ad esempio mostrando indifferenza verso i propri hobby o il proprio ambito lavorativo.
La malattia di Alzheimer è definita anche malattia delle 4 A, infatti i tratti problematici che la caratterizzano riguardano:
aprassia: incapacità di compiere in modo corretto alcuni movimenti volontari.
amnesia: perdita della memoria;
afasia: incapacità di comprendere e formulare messaggi verbali;
agnosia: incapacità nel riconoscimento di stimoli, cose, luoghi e persone;
Il decorso della malattia è variabile in base al soggetto, ma si possono distinguere tre fasi caratterizzanti la malattia di Alzheimer, ovvero:
- nella fase iniziale prevale la sintomatologia a carico della sfera mnestica, tuttavia possono presentarsi anche disturbi del linguaggio. Il soggetto tende ad usare espressioni ripetitive, perde oggetti e può essere disorientato;
- nella fase intermedia ha inizio una graduale e progressiva perdita dell’autonomia, possono presentarsi deliri ed allucinazioni: occorre un’assistenza continua;
- nella fase severa il malato smette di mangiare, di comunicare, non ha più il controllo sfinterico e non ha più la capacità di muoversi liberamente.
Comprensibilmente, un malato di Alzheimer può anche presentare episodi di depressione e disturbi del sonno.
La Diagnosi
Per validare una diagnosi di malattia di Alzheimer, bisogna effettuare una ricerca della storia clinica personale e familiare del soggetto, procedere con una valutazione dello stato mentale del soggetto, effettuare un esame generale e neurologico ed eseguire una serie di esami di laboratorio e di esami strumentali (TAC, PET, EEG, puntura lombare per misurare la presenza nel liquido cerebrospinale della beta amiloide e della proteina tau, anch’essa implicata nello sviluppo della patologia).
Una volta fatte le indagini seguendo l’iter diagnostico, la diagnosi può essere probabile (il medico considera le altre condizioni che causano demenza e conclude che i sintomi possono dipendere dalla malattia di Alzheimer), possibile (la malattia di Alzheimer probabilmente è la causa principale della demenza, però potrebbe esserci una comorbidità che fa progredire i sintomi) oppure certa (se si esegue una biopsia cerebrale o un’autopsia).
I trattamenti
Attualmente i farmaci disponibili sono gli inibitori della colinesterasi e la memantina (farmaco della classe degli aminoadamantani): i primi sono efficaci nel migliorare i sintomi e nel rallentarne la progressione nelle fasi iniziali della malattia, la seconda viene somministrata quando la malattia è già ad una fase più grave.
Ultimamente è stata testata la possibilità di somministrare anticorpi contro la beta amiloide, tuttavia non ancora sono stati evidenziati riscontri positivi.
Ci sono anche delle terapie di riabilitazione, che tentano di mantenere quanto più possibile le capacità residue del malato di Alzheimer. Alcuni esempi di queste terapie riabilitative sono:
- Pet Therapy, che ricorre agli animali.
- terapia occupazionale, che rende l’ambiente a misura delle capacità residue del malato;
- stimolazione cognitiva, che agisce potenziando le abilità residue del malato;
- Reality Orientation Therapy (ROT), che cerca di tenere il malato ancorato alla realtà che ha intorno;
- Validation Therapy, che indaga il perchè il malato si comporta in un certo modo;
- musicoterapia, la quale tenta la rievocazione delle parole di una canzone e/o il suono di uno strumento attraverso le emozioni;
- psicomotricità, che supporta, tramite l’attività motoria, il malato che ha delle disabilità a carico del movimento;
Non si può fare a meno di considerare come la famiglia del malato, che in pratica è la seconda vittima dell’Alzheimer, non può essere abbandonata nella gestione degli innumerevoli problemi della quotidianità.
Si può fare prevenzione?
Sfortunatamente ancora oggi non si può affermare che ci sia una vera e propria prevenzione per la malattia di Alzheimer, anche se alcuni studi suggeriscono che il rischio d’insorgenza può essere abbassato riducendo il rischio di sviluppare malattie cardiache (pressione alta, colesterolo alto), sovrappeso e diabete.
Quindi una dieta equilibrata, una sana attività fisica, un’idonea stimolazione cognitiva, la cura dei rapporti sociali ed il non fumare sono strategie a favore del benessere cerebrale e cognitivo.