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Approccio e metodo per la raccolta informativa non documentata

Approccio e metodo per la raccolta informativa non documentata

È possibile sentire una persona informata sui fatti in modo informale e riportare quello che ci dice in atti? Sì, è possibile, ed è il dubbio che ci si pone quando parliamo di raccolta informativa documentata e non documentata prevista dall’articolo 391bis cpp e seguenti.

Molte volte si pensa che la raccolta documentata sia una di quelle cose che vengono necessariamente prodotte per iscritto, ma non è così. La differenza tra raccolta informativa documentata e raccolta non documentata è la differenza che viene ben descritta nell’articolo 391 bis e 391 ter del Codice di Procedura Penale.

L’attività di indagine difensiva si concretizza nell’incarico sottoscritto al difensore (art. 327bis cpp) e questo può delegare l’investigatore privato autorizzato secondo l’art. 222 (norme di coordinamento e transitorie del Codice Procedura Penale) a sentire proprio le persone informate sui fatti in via indiziaria, o meglio, non documentata.

Ma cosa vuol dire sentire persone informate sui fatti? Il colloquio come deve avvenire? È quello che viene definito un interrogatorio?

Un passo alla volta. Ma è indispensabile sottolineare che….Assolutamente NO! L’interrogatorio è specifica della SOLA AUTORITÀ GIUDIZIARIA (civile e militare).

Cos’è la raccolta informativa non documentata

La raccolta informativa non documentata vuol dire che l’attività difensiva può espletare la sua capacità di ricerca e di indagine raccogliendo informazioni utili e riportare in relazione quello che si è riusciti a raccogliere grazie anche a informazioni da persone informate sui fatti.

Nulla toglie che una persona informata sui fatti, a supporto della linea difensiva, accetti di essere citato quale teste e possa decidere, per meglio indicare quali sono i punti a conoscenza, di comporre una dichiarazione spontanea da consegnare alla difesa che può riportare in atti, nella proprio fascicolo, quanto raccolto e che prenderà valore di consulenza, secondo l’articolo 157 CPP, e quindi di atti nel fascicolo del difensore art 391-octies cpp.

Questa cosa però potrebbe confonde perché, si potrebbe dire, allora questa è una raccolta informazioni documentata? No.

Raccolta informativa documentata e non documentata

Bisogna pensare che il testo di legge nel suo modello innovativo voleva equiparare la figura del difensore alla posizione del pubblico ministero eguagliandone anche le possibilità investigative e di raccolta atti. Quindi, seguendo i passi della normativa di specie nelle possibilità a disposizione del PM nel potersi rivolgere alla polizia giudiziaria per compiere quegli atti propri dell’attività di indagine, allo stesso modo il difensore avrebbe a sua disposizione l’investigatore e, come recita il 327 bis c.p.p. “quando sono necessarie particolari capacità al consulente tecnico” per compiere tutte quelle ricerche indagini, investigazioni e consulenze tecniche in modo proprio da poter inserire nel proprio fascicolo e trasmettere in atti.

In questo senso la norma per l’attività di indagine difensiva, limitatamente alla raccolta informativa documentata, intendeva richiamare proprio il modello operativo per il quale il PM o la polizia giudiziaria sentono persone informate sui fatti presso la propria sede per redarre un verbale che si compone in “a domanda risponde – adr”. È quindi da intendersi solo in questo modo la produzione di una verbalizzazione che intendiamo come documento o atto in linea con il 391-ter cpp.

È evidente, però, che la norma non preveda che il difensore nella sua ricerca informativa abbia lo stesso potere della polizia giudiziaria per poter porre domande e pretendere una risposta, quindi, è imperativo dover mettere in opera una serie di accorgimenti e capacità investigative-dialettiche che permettono di porre domande solitamente verso persone che hanno già una propria disponibilità nel voler riferire sui fatti.

Segreto professionale

È doveroso ricordare che esiste una tutela della persona che vuole riferire sui fatti al Difensore o all’Investigatore privato incaricato in fase di indagini difensive nella raccolta informativa non documentata e questo è l’art. 200 cpp – Segreto professionale – o meglio la possibilità da parte dell’investigatore di non riferire sulla Fonte fino a quando le garanzie di specie non permettono di riferire in forma riservata e comunque nelle forme in cui il giudice deciderà per garantirne la sicurezza.

Raccolta informativa: comprendere e interpretare le risposte

Sentire qualcuno e capire se le risposte che dà sono vere oppure viziate da un interesse personale, da un condizionamento, da un dubbio, dall’incapacità obiettiva di decifrare la realtà non è una cosa semplice in qualsiasi ambito che interessi il pubblico interesse. Le professioni legali come l’avvocato e l’investigatore privato, dove bisogna saper parlare con una persona informata sui fatti e non arrivare per forza ad una risposta ma capire quello che effettivamente questa persona può dare in termini di ricerca o indagine.

Questo punto è molto importante perché, quando si pone una domanda, l’interlocutore per caratteristiche proprie, provenienza, cultura, luogo inserimento sociale, ha un suo background e risponde per quello che lui crede essere importante. Quindi, c’è già un pregiudizio, quasi un “muro psicologico”, alla risposta che sarà viziata di tutte le forme caratteriali e cognitive proprie della persona informata sui fatti.

Il lavoro del tecnico che pone la domanda, quindi, non è soltanto porre una domanda per la quale si pretende una risposta ma, è capire quanto l’interlocutore abbia effettivamente raccolto della domanda e se il senso più puro di quello che si è posto è stato inteso.

Profilazione della persona informata

È molto importante portare avanti quello che una volta veniva chiamata profilazione della persona informata sui fatti, per quanto possibile, e quindi definire quelle che sono le basi culturali, la provenienza, la condizione attuale, la situazione economica, lavorativa, di salute e talvolta anche sentimentale… perché?

Perché tutto questo è importante ed incide direttamente sulle argomentazioni che non c’entrano nulla con i fatti ma che sembrano rientrare per una visione dei fatti viziata da un filtro d’importanza personalizzato che sicuramente non è in linea con il tecnico che pone le domande.

Risulta allora determinante portare avanti più modelli di richiesta e coordinarli, mixarli e rielaborarli in fase di colloquio-intervista perché questi aiuteranno a stringere sempre di più ad imbuto le informazioni che l’interlocutore ha effettivamente nel suo bagaglio conoscitivo per arrivare alla fine a domande, o alla domanda determinante, per capire se il fatto sussiste o non sussiste, se le informazioni che ci sono state date possono essere utili, non utili, verificate o da verificare.

Le domande da porre

Le domande, quindi, dovrebbero seguire un ciclo informativo nel quale si decide che tipo di domanda di misura porre per misurare per l’appunto il nostro interlocutore sulla base di alcune caratteristiche che abbiamo citato poc’anzi, sintetizzabili nel modello di vita, per capire anche come l’interlocutore vede la realtà e se questa realtà può essere utile o no a quello che stiamo cercando.

Le prime domande, o domande di misura, dovrebbero considerare sempre quello che possiamo definire come protocollo CDX (protocollo sviluppato dal sottoscritto Ten. Rabita e sottoposto al diritto di autore e proprietà intellettuale Licenza Pubblica Creative Commons Attribuzione-NonCommerciale-NonOpereDerivate 4.0 Internazionale), o meglio, il chi-cosa-come-dove-quando-perché, dove ogni domanda che vogliamo porre deve rispondere a sei parametri e, ogni qualvolta abbiamo un argomento interessante, approfondiamo ulteriormente cercando di rispondere nuovamente ai sei parametri e andiamo avanti fin quando non identifichiamo parole chiave comuni al nostro interlocutore.