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L’arrendevolezza nella gestione del disagio

L’arrendevolezza nella gestione del disagio

Le origini della sofferenza

Molto spesso ci si sente confinati in uno spazio ristretto in cui la vita sembra esaurirsi nella situazione che crea disagio e afflizione. L’abitudine è quella di pensare che le difficoltà siano provocate da un fattore esterno mentre, a ben guardare, le origini delle sofferenze interiori risiedono nell’incapacità di indirizzare l’attenzione in un’altra direzione e non al problema.

Nel caso di un evento fisico traumatico, il corpo attiva una serie di risposte fisiologiche funzionali alla cura della ferita, così da creare una cicatrice, ebbene, qualcosa di analogo accade anche alla psiche: emozioni come angoscia, tristezza e paura, producono risposte utili come, ad esempio, le lacrime. Un procedimento naturale che permette l’attraversamento del dolore la cui evoluzione culminerà nella rimarginazione delle ferite interiori.

Quando la mente, invece, oppone resistenza agli eventi, innesca un processo evolutivo che va a trasformare il dolore in sofferenza, proprio attraverso il mantenimento in vita della situazione che ha creato la crisi.  

Lo sforzo di ribellarsi alle situazioni o i tentativi vani di correggere il naturale svolgersi degli eventi avviano una battaglia interiore in grado di restringere sempre di più la prospettiva, finendo per impoverire il patrimonio interiore che ci abita.

Spostare l’attenzione

Più vi è insistenza nel rimuginare attorno a problemi e pensieri che ci avvelenano, più riusciamo a farci del male. E il copione prevede che il tormento provocato da un atteggiamento mentale di questo tipo, ci impedisca di cogliere le occasioni favorevoli all’impiego delle nostre risorse o ci porti ad allontanare circostanze adatte ad esprimere talenti e qualità.

Sostituire i sensi di colpa, vittimismo e accuse con il cedere, la non interferenza e la resa, è la strategia migliore per non diventare i migliori nemici di noi stessi.

Per uscire dal conflitto occorre spostare l’attenzione, guardare altrove. Magari a quelle energie che non vengono utilizzate a causa della convinzione di essere in una situazione priva di vie d’uscita.

Ecco che, con uno sguardo gentile al proprio animo, si attiveranno quelle forze inespresse capaci di portarci alla consapevolezza che non serve cambiare una situazione per uscire dallo spazio ristretto della mente, ma è sufficiente togliere gli ostacoli che impediscono l’emersione del proprio mondo interiore.

Nelle popolazioni antiche, figure come gli sciamani venivano spesso interpellati al fine di risolvere disagi che oggi chiameremo ansia, dolori dell’anima, depressione. Essi rivolgevano domande efficaci affinché l’assistito prendesse coscienza di aver perso di vista una parte di sé. “Quando hai smesso di ballare?”, “Quanto tempo dedichi al silenzio?” erano solo alcune delle provocazioni che richiedevano l’obbligo di prestarsi ascolto.

Il disagio non era visto come qualcosa da eliminare, ma come un messaggero di energie sconosciute desiderose di riportare l’essere umano in contatto con la propria anima e con le sole cose che contano davvero.

La gestione efficace del disagio

La tendenza predominante è di negare ad un evento inaspettato di portare cambiamenti, ad un desiderio socialmente contestato di esistere o a un dolore di generare una trasformazione, senza realizzare come questo rifiuto equivalga a dire “no” alla vita stessa, divenendo anche una modalità di stare con sé stessi e con gli altri.

La chiave per superare i tarli della mente risiede in alcuni accorgimenti utili a disidentificarci con il nostro sistema mentale:

  • L’accoglienza

Uno spazio inclusivo in cui pensieri ed emozioni si muovono dentro di noi come compagni di viaggio e all’interno del quale ci si può dare il permesso di arrendersi e accettare anche dubbi, limiti e fragilità;

  •  L’arte di ascoltare il disagio

Restare con le proprie sensazioni eliminando dalla testa ogni riferimento alle cause ci pone nella condizione di conoscere il nostro volto nascosto che ha avuto bisogno proprio di quella situazione scomoda per emergere;

  •  Assenza di commenti 

Rimuovere i filtri (contesti socio-culturali, tradizioni familiari, convinzioni) che non ci permettono di essere osservatori e testimoni delle dinamiche mentali in un atteggiamento privo di giudizio;

  •  Rinunciare all’intenzione di correggere la realtà

Smettere di combattere ma, anzi, distrarsi da quel pensiero che ci fa credere che quel che accade sia sbagliato. Quando non siamo più direzionati verso un fine conflittuale, si disattivano le sensazioni spiacevoli. 

  • Lasciare spazio all’intuito

Un modo per rompere quell’eccesso di razionalità e attivare quelle percezioni spontanee che, se risvegliate, conducono molto spesso alle migliori soluzioni e che riportano il disagio sullo sfondo.

Dietro ciò che viene avvertito come doloroso si nasconde un movimento interiore che chiede di essere riconosciuto e di avere la dignità di esistere.

Una parte saggia che abita l’essere umano sta realizzando il proprio percorso, senza dirsi nulla, fiduciosa del fatto che la vita stia scorrendo e intessendo trame che tracciano la direzione in cui essa vuole andare, non dove pensiamo di condurla noi.

Una mente libera dal controllo accetta che buona parte dell’esistenza non sia governabile né prevedibile e che le prove a cui siamo sottoposti non siano contro di noi, ma al servizio della consapevolezza di ognuno.

Nutrendo e facendoci nutrire da questo proposito, i momenti di crisi diventano capaci di farci evolvere ed avventurare su nuove strade che ci espongono sì all’ignoto, ma dove, al di là di paure e contraddizioni, possiamo esplorare nuovi orizzonti e capacità creative che, come tutti i tesori, non sono mai facilmente accessibili.