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Intelligenza: eredità o ambiente?

Intelligenza: eredità o ambiente?

DEFINIRE L’INTELLIGENZA

Il tema dell’intelligenza e delle sue componenti ha spesso suscitato l’interesse di molti studi. Ne esistono molteplici definizioni, tra cui: “generale capacità mentale di ogni individuo che può essere misurata attraverso test intellettivi per misurarne appunto il suo QI (quoziente intellettivo) il cui valore medio si aggira intorno a 100”.

Nel 1904 Spearman introdusse il concetto di “fattore g” considerato come un fattore di intelligenza generale. Esso consentirebbe alle persone di eseguire una varietà di comportamenti e questa abilità sembra essere alla base del rendimento di ogni prestazione intellettiva. Invece, per quanto riguarda i fattori secondari, Spearman fece riferimento al “fattore s”, ovvero abilità specifiche rilevanti soprattutto nei compiti individuali.

Nel corso del tempo sono sorte molte altre teorie relative al concetto di intelligenza e delle sue componenti. Un’altra interessante definizione descrive l’intelligenza come “la capacità che consente alle persone di direzionare il proprio pensiero, di adattarsi alle circostanze e imparare dalle proprie esperienze”. Questo può dimostrarsi particolarmente evidente quando più persone vivono medesime esperienze, ma mostrano differenti approcci nel comportamento. Inoltre, l’intelligenza può essere considerata diversa da persona a persona per molteplici motivi, quali genetica, istruzione, alimentazione, ambiente, cultura, buona salute. Va considerata come una capacità dinamica e non immutabile che nel corso degli anni può raggiungere anche un picco (Effetto Flynn).

Inoltre, si è riscontrato che le definizioni di intelligenza possono variare da cultura a cultura, questo è possibile perché la manifestazione dell’intelligenza può differire nei vari contesti culturali. Ad esempio, per gli asiatici essa è collegata alla cooperazione e alla responsabilità sociale, mentre per la cultura africana l’intelligenza è riconosciuta nelle persone che si esprimono con calma e ponderazione. Pertanto, un individuo inserito in un determinato contesto culturale potrebbe essergli maggiormente riconosciuta una sua abilità.

I PRIMI TEST D’INTELLIGENZA

Già agli inizi degli anni ’20 Binet somministrò i primi test d’intelligenza con l’obiettivo di valutare l’attitudine allo studio; in particolare si proponeva di individuare precocemente i bambini con difficoltà di apprendimento così da poter sviluppare un programma di studio adeguato e di eventuale recupero.

Ad oggi, basandosi proprio sulla teoria che l’intelligenza è formata da diverse abilità, la scala per lo sviluppo cognitivo maggiormente usata è la scala Wechsler. È un test con scopo diagnostico che analizza, misura e classifica la condizione o l’efficienza dei tratti e le capacità del soggetto. Le scale hanno subito diverse revisioni nel tempo e sono differenti a seconda della fascia di età del soggetto a cui vengono somministrate, consentendo di valutare non solo un QI generale ma anche quello verbale e di performance.

GENI E AMBIENTE

Uno dei primi che si interessò delle origini dell’intelligenza fu Galton, traendo la conclusione che l’intelligenza fosse un tratto del tutto ereditabile. Oggi sappiamo che i geni sono alla base dello sviluppo cerebrale e della iniziale formazione delle connessioni neuronali nelle prime fasi dello sviluppo. Pertanto, anche se i geni svolgono un ruolo importante nel determinare l’intelligenza di una persona, dato che ogni soggetto nasce con delle predisposizioni genetiche, è però fondamentale che nel corso della vita queste siano sollecitate. Le esperienze ambientali a cui ciascuno è esposto determinano un personale e differente sviluppo intellettivo.

L’ambiente socioculturale di provenienza può quindi fortemente aiutare a sviluppare o inibire lo sviluppo dell’intelligenza. La teoria della modificabilità cognitiva (Feuerstein) la definisce plasmabile; l’idea è che ogni individuo può potenziare i propri processi cognitivi. Pertanto, in ogni età e situazione l’individuo può subire una modifica sul piano cognitivo attivando risorse fino a quel momento latenti. Quindi un ambiente favorevole all’apprendimento potrebbe consentire di attuare un’esperienza di apprendimento.

In conclusione, fare una netta distinzione tra geni e ambiente, natura e cultura non è corretta. Geni e ambiente interagiscono tra loro secondo modalità molto complesse, anche se non ancora del tutto chiare, ma che poi ci rendono le persone che siamo.

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