“Senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento”
(Carl Gustav Jung)
I profondi cambiamenti di una società ipermoderna come la nostra, come sostiene il sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman (1925 – 2017), stanno generando nelle persone sentimenti di incertezza, insicurezza, disorientamento, carenza di protezione. Gli uomini e le donne del XXI secolo navigano “fra le onde di una società liquida in continuo cambiamento”, ad una velocità straordinaria, con una accelerazione costante e senza conoscere il proprio destino, annullando, così, le prospettive di un mondo di certezze e di principi stabili, fissati dai nostri nonni, i quali seguivano ritmi di vita più naturali, coerenti, distesi, duraturi ed eticamente fondati.
I progetti esistenziali di oggi, appaiono, invece, proiettati verso obiettivi a breve termine, in cui, anche i rapporti interpersonali non appaiono più duraturi come quelli di una volta, le stesse relazioni di coppia spesso risultano conflittuali e disturbate, le amicizie, gli amori estivi e le improvvise infatuazioni hanno, perlopiù, una scadenza limitata.
I recenti studi di neuroscienze e psicologia ci aiutano a capire che, in una situazione di questo tipo, gli uomini di oggi necessitano di un grande cambiamento personale e sociale, che ne migliorino la qualità della vita, in termini di ben-essere.
Tra questi cambiamenti emerge, in tutta la sua evidenza, la necessità di superare la situazione di fragilità psicologica e di immaturità emotiva attuale, che non permettono alle persone di conoscere se stesse e gli altri, per affrontare e gestire con equilibrio ed intelligenza, i problemi collegati alla loro esistenza, il successo personale e sociale e per garantire un buon stato di salute, il benessere e la felicità e, più in generale, il progresso della società.
Dall’intelligenza alle intelligenze multiple
Per inquadrare meglio il problema dell’intelligenza emotiva, citiamo la teoria di Howard Gardner (n. 1943), considerato uno dei migliori intellettuali del mondo che, nel suo libro “Formae mentis, saggio sulla pluralità dell’intelligenza” (Feltrinelli, Milano, 1987 – 2002), sostiene il concetto delle intelligenze multiple, per cui l’intelligenza rappresenta un potenziale bio – psicologico plurifunzionale, che offre diverse forme di informazioni, utili a risolvere situazioni problematiche di vario tipo o a creare prodotti.
Per lo studioso, esistono otto intelligenze differenti: intelligenza linguistica, logico-matematica (centrate sui simboli), corporeo-cinestetica, musicale, spaziale, naturalistica (centrate sugli oggetti), interpersonale e intrapersonale (centrate sulle conoscenze dell’essere umano, di cui la prima è diretta verso il sé, la seconda verso gli altri).
Queste ultime due intelligenze personali sono quelle più direttamente collegate con l’intelligenza emotiva.
Intelligenza emotiva
A tale proposito, egli afferma che l’interiorizzazione delle conoscenze si realizza in un contesto ricco di stimoli emozionali, per cui “le esperienze prive di richiami emozionali saranno scarsamente coinvolgenti e ben presto cadranno nell’oblio, non lasciando di sé nessuna rappresentazione mentale”.
Le importanti ricerche, svolte dallo stesso Howard Gardner (n. 1943), da Peter Salovey (n.1958), da John Mayer (n. 1953, che coniarono, per primi, il termine di intelligenza emotiva – 1990) e, poi, da Daniel Goleman (n. 1946), da Antonio Damasio (n. 1944) ed altri, hanno dimostrato, infatti, che le emozioni interagiscono continuamente con i processi mentali e con la presa di decisioni e dei comportamenti e necessitano, pertanto, di un approccio scientifico interdisciplinare.
In questa prospettiva le emozioni non sono possono essere considerate, più, soltanto una reazione fisiologica a determinate situazioni/stimolo, ma una variabile, che interagisce con tutti i piani dell’organismo, da quello neurologico a quello viscerale, da quello cognitivo a quello affettivo e socio-comportamentale, dando significato e spessore a tutti gli eventi della nostra vita, determinandone, di conseguenza, la positività o la negatività dei comportamenti.
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Le basi bio-fisiologiche delle emozioni
Tecnicamente, le emozioni sia positive che negative, hanno la caratteristica di rendere i vari momenti della vita “gradevoli” o “sgradevoli”, per la cui attivazione gioca un ruolo fondamentale l’intervento funzionale, più o meno accentuato, dell’amigdala.
L’amigdala è una struttura subcorticale, a forma di mandorla, situata nella parte interna del lobo temporale o mediale del cervello, la cui funzione principale è quella di svolgere un ruolo di sentinella psicologica, che segnala a tutte le parti del cervello e del corpo, in tempi rapidissimi, in modo travolgente e in forma ansiosa ed impulsiva, un messaggio di crisi e di emergenza.
Contemporaneamente entrano, però, in campo le emozioni regolate dalla neurocorteccia, responsabile dei processi riflessivi e della presa di decisioni, che valuta l’informazione ricevuta e predispone, in modo più ponderato e raffinato, la risposta iniziale, di tipo correttivo, per meglio adattarla alla situazione e a contenere sensazioni non desiderate e disturbanti, legate alla paura, all’ansia e alla rabbia, attivate, inizialmente, con molta intensità, dall’amigdala.
L’azione educativa, nel campo dell’intelligenza emotiva, serve, dunque, a rafforzare, principalmente, l’intervento della neurocorteccia, che è, tra l’altro plastica , modificabile e, quindi, utile a ridurre la potenza dell’amigdala, permettendo, quindi, all’individuo, l’assunzione di comportamenti razionali e socialmente produttivi.
Numerosi studi, sul comportamento umano, hanno dimostrato che le nostre abilità di percepire, comprendere e gestire le emozioni, in modo adeguato, sono la dimostrazione di un buon stato di salute psico-fisica e costituiscono, perciò, un’utile corazza difensiva verso problemi, che provocano situazioni di malessere, come l’ansia e la depressione.
Leggi anche: Cosa sono le emozioni: imparare a riconoscerle e comprenderle
La necessità di un intervento educativo della scuola
L’idea di tentare un approccio al problema della dimensione emozionale, affettiva, comunicativa e motivazionale, nell’ambito dell’attività educativa a livello scolastico, nasce, perciò, dall’esigenza di interpretare lo spirito e gli indirizzi offerti dai contributi delle scienze dell’educazione, delle neuro-scienze, degli studi psicologici e sociologici che, oltre ad approfondire la sfera cognitivo – abilitativa dello sviluppo degli allievi, riferita ai vari ambiti disciplinari (scolastici e sportivi), del “sapere” e del “saper fare consapevole”, indagano sulla totalità antropologica della loro sfera esistenziale, vista nelle molteplici manifestazioni ed espressioni, che investono l’ambito neurologico, emotivo, sociale e motivazionale.
In particolare, le varie scuole di pensiero attuali, pur nella diversità delle loro impostazioni, evidenziano e valorizzano le componenti emotive, comunicative e socio-relazionali, che caratterizzano e accompagnano i vari processi di apprendimento e, più in generale, le condotte e i comportamenti eticamente fondati, sul “saper essere e sul saper agire”, che permettono ad ogni persona di aprirsi al mondo e di entrare in relazione con gli altri.
Educare all’intelligenza emotiva
Emerge, quindi, la necessità che, nella scuola, in particolare, le conoscenze disciplinari, le abilità operative apprese, le azioni e i rapporti interpersonali intessuti costituiscano lo strumento e la condizione per maturare le personali competenze, arricchire le potenzialità dell’allievo e di renderlo autonomo costruttore di se stesso, nei diversi campi della esperienza umana, sociale e professionale, che siano trasferibili e spendibili nei vari contesti di vita, di studio e di lavoro.
Come sottolinea Carl Rogers (1902 – 1987), uno dei padri fondatori della psicologia umanistica, “la scuola è l’ambiente in cui dobbiamo far entrare le nostre emozioni, il nostro vissuto”. È, cioè, l’ambiente ideale, in cui far acquisire ai bambini e ai ragazzi la consapevolezza delle emozioni, educarli sentimentalmente a saperle discriminare, a gestirle e a dirottarle verso obiettivi valoriali, avendo come punto di riferimento i Traguardi di Sviluppo, centrati sull’asse dell’educazione.
Perché è così importante educare all’intelligenza emotiva?
Finora i risultati delle ricerche svolte in questo campo, soprattutto in America, evidenziano in modo chiaro l’efficacia dei progetti d’intervento basati sull’intelligenza emotiva e sull’intelligenza sociale.
Infatti, è stato ampiamente accertato che “studenti con competenze socio-emotive più sviluppate hanno fatto registrare migliori prestazioni scolastiche; i loro comportamenti in classe sono maggiormente costruttivi; piace loro la scuola; ed hanno voti superiori alla media” e sono, inoltre, molto meno soggetti a sospensioni o comportamenti indisciplinati” (Thimoty Shriver – n. 1959) e Roger Weissberg – n. 1951).
Si può, allora, affermare che le persone emotivamente intelligenti possiedano una maggiore abilità nell’affrontare in modo attivo, propositivo e con maggiore autocontrollo le molteplici situazioni problematiche e di stabilire migliori relazioni interpersonali, utilizzando strategie di adattamento più funzionali ed efficaci.
In base a uno studio condotto in Nuova Zelanda, svolto da un’équipe condotta dai professori Terrie Moffit (n. 1955) e Avshalom Caspi (n. 1960), risulta, invece, che le persone con minor autocontrollo emotivo nell’infanzia soffrano ripercussioni negative in tre importanti sfere della vita adulta: salute, benessere socio-economico e comportamento sociale.
I bambini e i ragazzi risultano più vulnerabili di fronte alle trappole e alle tentazioni della vita quotidiana e ai social mal gestiti e di fronte ai pericoli che si manifestano, soprattutto, in età adolescenziale, in cui è sempre più frequente il ricorso al fumo, all’alcol, alle droghe, all’abbandono scolastico o le, sempre più frequenti, manifestazioni socialmente censurabili, come quelle del bullismo e del cyberbullismo, ecc. e, nel peggiore dei casi, di fenomeni di dipendenza da sostanze psicotrope.
Una ricerca effettuata nel 2017 da parte dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità sulla condizione di malessere della popolazione evidenzia che:
- il 4,4% della popolazione mondiale (pari a 300 milioni di persone), soffre di depressione,
- il 3,6% di ansia, a livello europeo : 4 europei su 10 (pari al 38,2%) soffre di disturbi mentali,
- il 14% di ansia,
- il 7% di insonnia, il 7% di depressione grave,
- il 6% di disturbi psicosomatici,
- il 4% di dipendenza da alcol e droghe
- per i giovani, compresi tra i 15 e i 29 anni, il suicidio è la seconda causa di mortalità (pari a un suicidio su 20 tentativi)