Il film “C’è ancora domani” diretto da Paola Cortellesi si è affermato come la sorpresa cinematografica dell’anno in Italia. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, l’opera prima della talentuosa Cortellesi ha colpito profondamente il pubblico italiano, diventando il film italiano più visto nelle sale fino ad oggi.
In questo successo, il film si rivela non solo come un ritratto delle donne italiane del secondo dopoguerra, ma come una sorta di memoria collettiva che riflette in modo inedito sull’attualità e l’universalità del rapporto tra sessi.
Un film delle donne, non solo su di loro
“C’è ancora domani” non è semplicemente un film sulle donne, ma un film sulle donne. Il protagonista, Delia, rappresenta la tipica donna italiana di quegli anni, intrappolata nei ruoli di madre e moglie, in una condizione che può essere definita solamente come misera.
Il film ci presenta la sua realtà non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista familiare e sentimentale.
La Cortellesi, al suo debutto alla regia, ha efficacemente trasportato il pubblico nella Roma dell’immediato secondo dopoguerra, un periodo in cui l’Italia cercava di risollevarsi.
Una riflessione sulla storia e la condizione femminile
Il contesto storico del film si intreccia con gli eventi politici dell’epoca, in particolare il 2 giugno 1946, quando le donne italiane furono chiamate alle urne per decidere il futuro del Paese.
Questo evento diventa un elemento sorpresa nel finale del film, creando una sovversione tematica che mette in secondo piano la dimensione sentimentale in favore dell’autorealizzazione.
Delia, interpretata magistralmente da Paola Cortellesi, diventa il simbolo di un cambiamento storico sensibile ma ancora incompleto per quanto riguarda la condizione femminile in Italia.
La brutalità del passato: una realtà universale
Il film ci offre uno sguardo reale sulla sofferenza delle donne italiane del tempo, evidenziando la violenza domestica e la condizione di impotenza delle donne di fronte a un sistema patriarcale.
La relazione tossica tra Delia e suo marito Ivano, interpretato da Valerio Mastandrea, diventa uno specchio di una realtà diffusa in cui le botte erano un mezzo di controllo accettato socialmente.
L’uso ricorrente dell’alibi “In fondo ha fatto due guerre” sottolinea la presenza di un disturbo da stress post-traumatico diffuso tra gli uomini italiani dell’epoca, creando una prigione di paura e dolore all’interno delle mura domestiche.
Un richiamo alla memoria personale e collettiva
Il film si distingue per la sua capacità di recuperare la memoria personale e collettiva, aprendo un dialogo su una realtà spesso taciuta nella storia italiana. Paola Cortellesi, con la sua regia, ha mescolato abilmente un’estetica legata alla classicità della narrativa italiana con la volontà di dare voce a qualcosa di inespresso ma noto nella realtà familiare italiana. “C’è Ancora Domani” diventa così un richiamo intimo e universale, colpendo il pubblico italiano come uno schiaffo di consapevolezza.
Il Successo non casuale di “C’è ancora domani”
Il successo straordinario di “C’è ancora domani” non è casuale. Il film si distingue per la sua capacità di rappresentare una realtà importante e spesso trascurata dalla settima arte italiana.
Mentre il cinema italiano soffre di una mancanza di modernità e tematiche alternative, il film di Cortellesi si inserisce come un punto di svolta, affrontando con coraggio una parte oscura della storia italiana.
Il successo del film dimostra che la rappresentazione di una memoria collettiva può essere sia intima che universale, suscitando riflessioni profonde sulla società e la condizione femminile.
“C’è ancora domani” emerge così come un contributo significativo al panorama cinematografico italiano, aprendo la strada a una nuova prospettiva sulla storia e la cultura del Paese.
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