Un significativo cambiamento nell’approccio diagnostico dei disturbi cognitivi e dell’Alzheimer è stato introdotto dalle prime linee guida intersocietarie europee. Esse sono state sviluppate da esperti delle principali società scientifiche del settore. Questa iniziativa è stata coordinata da specialisti dell’Università di Genova – Irccs Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università di Ginevra e dell’Irccs Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia,.
Lo scopo è quellodi migliorare la tempestività e l’accuratezza nella diagnosi dei primi segni di deterioramento cognitivo.
Le raccomandazioni, recentemente pubblicate su The Lancet Neurology, segnano un’innovazione significativa. Infatti esse non si concentrano esclusivamente sulla malattia, ma piuttosto sull’analisi dei sintomi presentati dal paziente. In 11 diverse modalità di presentazione dei segni di deterioramento cognitivo, attraverso 4 passaggi successivi e con test specifici basati sul profilo individuale del paziente, si mira a identificare con maggiore precisione se si tratti di Alzheimer o di un’altra forma di demenza. Questo approccio personalizzato consente di ridurre i tempi e gli sprechi di risorse, migliorando l’efficacia della diagnosi.
Il percorso diagnostico, che include analisi del sangue, test cognitivi, imaging come la risonanza magnetica o la Tac, e in alcuni casi l’elettroencefalogramma, si adatta alle caratteristiche individuali dei pazienti. Inoltre, potrebbe includere l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, Pet o Spect di diverse tipologie e scintigrafie. L’introduzione di biomarcatori rilevabili nel sangue potrebbe ridurre drasticamente fino al 70% gli esami strumentali inutili, consentendo diagnosi precise, affidabili e tempestive, riducendo al contempo i costi per il servizio sanitario.
Considerazioni professor Flavio Nobili su diagnosi Alzheimer
Il Professor Flavio Nobili, co-coordinatore dello studio e Professore di Neurologia all’Università di Genova, sottolinea che queste raccomandazioni sono incentrate sui sintomi del paziente. Invece avrebbero dovuto essere legate alla malattia. Con il 50% di probabilità che un paziente con deficit cognitivo iniziale possa avere Alzheimer o un’altra patologia neurocognitiva, è cruciale orientarsi tra le molte cause possibili per una diagnosi accurata. Le nuove raccomandazioni forniscono una guida basata principalmente sui sintomi, migliorando l’efficacia del processo diagnostico.
Lo studio, pubblicato su The Lancet Neurology, è il risultato della collaborazione di 22 esperti internazionali. Essi appartenengono alle principali società scientifiche europee nel campo della neurologia, psicogeriatria, radiologia e medicina nucleare.
Attraverso una revisione di tre anni, con il supporto di sei ulteriori esperti e la partecipazione di un rappresentante dell’associazione dei pazienti Alzheimer Europe, sono state condivise e approvate raccomandazioni basate sulla letteratura scientifica e sull’esperienza clinica.
Dopo una valutazione clinica iniziale, l’iter diagnostico si articola in tre passaggi successivi. Inizialmente, vengono utilizzati test cognitivi, analisi clinica dei sintomi, esami del sangue e imaging.
Successivamente, a seconda del profilo sintomatico individuale, si procede con test più specifici come Pet, Spect. Molto importante anche l’ analisi del liquido cerebrospinale per valutare la presenza di marcatori come la proteina tau e la proteina beta-amiloide. Infine, in caso di persistente incertezza diagnostica, si possono eseguire ulteriori test come scintigrafie o specifici tipi di Pet o esami del liquido cerebrospinale.
Raccomandazioni del ricercatore Federico Massa
Il coautore dello studio, il ricercatore Federico Massa dell’Università di Genova – Irccs Ospedale Policlinico San Martino, sottolinea l’importanza di seguire un percorso diagnostico personalizzato, evitando l’inefficacia e l’imprecisione di un approccio unico per tutti. La diversità delle malattie che causano deficit cognitivi richiede una strategia flessibile e mirata per una diagnosi rapida ed economica.
Le raccomandazioni, destinate a essere periodicamente aggiornate in base ai progressi scientifici, sono consigliate per individui al di sotto dei 70 anni nei Centri per i disturbi cognitivi e le demenze. Invece per i pazienti oltre i 70 anni verranno valutate caso per caso.
L’auspicio è che possano essere integrate con l’utilizzo di biomarcatori nel sangue, aprendo la strada a una diagnosi ancora più precisa e tempestiva. Il coordinatore dello studio, il Professor Giovanni Frisoni, sottolinea che grazie a queste raccomandazioni, le persone con disturbi della memoria avranno accesso a una diagnosi armonizzata. Ma soprattutto la avranno in ogni centro d’Europa.
Inoltre, si auspica che l’integrazione dei biomarcatori possa anticipare l’uso di terapie innovative come gli anticorpi monoclonali. Lo scopo è quello di ritardare la perdita di memoria nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer.
Leggi anche:
Grasso addominale e Alzheimer: una connessione profonda rivelata dalla ricerca
L’Alzheimer, un mosaico di varianti: una ricerca rivoluzionaria scopre cinque forme distinte