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Ricevere la NASPI dopo un licenziamento per motivi disciplinari: è possibile?

Ricevere la NASPI dopo un licenziamento per motivi disciplinari: è possibile?

Un requisito fondamentale per ottenere l’indennità di disoccupazione Naspi è la perdita involontaria del lavoro. Di conseguenza, questa indennità non è prevista in caso di dimissioni volontarie, a meno che non siano giustificate da una giusta causa. Invece, si ha diritto alla Naspi quando il licenziamento è iniziativa del datore di lavoro.

Si potrebbe erroneamente supporre che un licenziamento disciplinare impedisca automaticamente l’accesso all’indennità di disoccupazione Naspi. In effetti, quando un dipendente è licenziato per cause disciplinari, si potrebbe argomentare che non esista il requisito della perdita involontaria del lavoro, dato che il lavoratore è responsabile delle azioni che hanno portato al licenziamento.

Tuttavia, è importante considerare che la situazione può essere paragonabile a quella di un lavoratore che si dimette per giusta causa. Secondo la circolare Inps n. 163 del 20 ottobre 2023, anche se è il dipendente a terminare formalmente il rapporto di lavoro, tale decisione può essere vista come indotta da circostanze che rendono impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo.

Qual è la differenza rispetto al licenziamento per giusta causa?

In pratica, le parti si invertono: nel licenziamento per giusta causa è il datore di lavoro a interrompere il rapporto a causa di comportamenti gravemente inadeguati del dipendente. Tuttavia, in entrambi i casi, la decisione di terminare il rapporto può essere vista come indotta da azioni dell’altra parte, il che apre la possibilità che, anche in caso di licenziamento disciplinare, il lavoratore possa avere diritto alla Naspi se si dimostra che le azioni che hanno portato al licenziamento configurano una situazione di inevitabilità simile a quella delle dimissioni per giusta causa.

Tuttavia, la situazione è differente da quanto si potrebbe pensare: come precisato dall’INPS, le regole applicabili al licenziamento per giusta causa non si estendono al licenziamento disciplinare. Di conseguenza, in caso di licenziamento disciplinare, il dipendente conserva il diritto a ricevere la Naspi, mentre il datore di lavoro è tenuto a pagare il ticket di licenziamento.

Licenziamento per giusta causa: il diritto alla Naspi è salvaguardato?

La circolare Inps n. 142 del 2015 chiarisce i dubbi relativi alla conservazione del diritto alla Naspi in caso di licenziamento per giusta causa. L’interpello n. 13 del 2015 del Ministero del Lavoro stabilisce infatti che il licenziamento disciplinare non deve essere considerato come causa di disoccupazione volontaria.

Questa distinzione è fondamentale poiché la sanzione del licenziamento non deriva automaticamente da un illecito disciplinare, ma è piuttosto il risultato della valutazione e decisione discrezionale del datore di lavoro. Di conseguenza, anche se il licenziamento per giusta causa possa sembrare indotto dal comportamento del dipendente, ciò non preclude il diritto alla Naspi.

Pertanto, a patto che siano soddisfatti gli altri requisiti previsti dalla normativa, come ad esempio il possesso di almeno 13 settimane di contributi negli ultimi quattro anni, gli ex dipendenti possono presentare domanda per la Naspi anche dopo un licenziamento per giusta causa.

Datori di lavoro sotto pressione

Nonostante il parere autorevole del Ministero del Lavoro stabilisca che il licenziamento disciplinare non sia considerato disoccupazione volontaria, emergono punti deboli nell’argomentazione che meritano attenzione. È vero che il licenziamento per giusta causa rimane a discrezione del datore di lavoro, tuttavia, esistono circostanze in cui il comportamento del dipendente non lascia alternative.

Consideriamo i casi gravi, come un lavoratore licenziato per molestie ai colleghi. In questa situazione, quali altre opzioni avrebbe il datore di lavoro se non il licenziamento? Allo stesso modo, nei casi meno gravi, come quello di un dipendente che manifesta apatia e scarsa produttività in risposta alle direttive aziendali, è difficile immaginare una soluzione alternativa valida. E che dire del dipendente che, per evitare di dimettersi e perdere il diritto alla disoccupazione, sceglie di non presentarsi più al lavoro? Su questo ultimo punto, il Parlamento sta considerando una misura che prevede l’attivazione automatica delle dimissioni alla quinta assenza ingiustificata.

Queste situazioni mostrano come i datori di lavoro possano sentirsi “ostaggio” dei propri dipendenti. Fortunatamente, la giurisprudenza ha iniziato a fornire protezione in questi casi. Un esempio è la sentenza n. 106 del 2020 del Tribunale di Udine, che ha riconosciuto come dimissioni de facto le continue e ingiustificate assenze di un lavoratore, obbligandolo a restituire il ticket di licenziamento pagato dall’azienda.

Questi sviluppi giuridici offrono una qualche forma di tutela, ma evidenziano anche la complessità e le sfide associate alla gestione del licenziamento per giusta causa, in un contesto in cui la protezione dei diritti dei lavoratori rimane di fondamentale importanza.

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