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Lavoro e Burnout: l’influenza della psicologia positiva

Lavoro e Burnout: l’influenza della psicologia positiva

Negli ultimi anni, sono sempre più frequenti i casi di burnout lavorativo.

Tuttavia, la causa principale di questo malessere non sembra essere il sovraccarico di lavoro, bensì l’aspettativa costantemente disattesa di trovare realizzazione personale attraverso il lavoro

Ma come si è formata questa aspettativa? Perché il lavoro, che originariamente era una fonte di sostentamento, è diventato il deposito delle nostre aspettative di felicità? Parte della responsabilità può essere attribuita alla «psicologia positiva» e al concetto di «resilienza», ormai familiare.

La psicologia positiva

La «psicologia positiva» è stata ufficialmente introdotta nel 1998, quando Martin Seligman, psicologo statunitense, divenne presidente dell’American Psychological Association (APA) e decise di adottare una linea guida per il suo mandato. L’idea centrale della psicologia positiva è che la felicità non è un evento casuale, ma può essere «costruita».

Seligman propone una formula per la felicità: H=S+C+V. In questa equazione, H rappresenta il livello permanente di felicità, S (Set range) indica una quota fissa che dipende dalla genetica e costituisce almeno il 50% di H, C sono le circostanze della vita che influenzano l’8-15%, e V sono i fattori che dipendono dal nostro controllo, rappresentando circa il 40% di H. Questo implica che, secondo Seligman, le circostanze esterne influenzano poco la nostra felicità o infelicità, che dipende invece in gran parte da fattori personali e quindi da noi stessi.

 Come possiamo costruire la nostra felicità?

Secondo Seligman,  la felicità è raggiunta da chi è ottimista, e l’ottimismo dipende da tre dimensioni: pervasività, permanenza e personalizzazione. 

Siamo ottimisti se consideriamo gli eventi negativi come limitati ad un solo aspetto della nostra vita (pervasività), temporanei (permanenza), e se attribuiamo questi eventi a cause esterne piuttosto che a noi stessi (personalizzazione). 

Seligman riconosce che gli ottimisti tendono a distorcere la realtà, mentre i pessimisti sono più obiettivi. Tuttavia, essere ottimisti comporta molti vantaggi, soprattutto nel contesto scolastico, sportivo, sanitario e lavorativo. 

Come afferma Seligman in “La costruzione della felicità“, «i dati indicano che una maggiore felicità determina realmente una maggiore produttività e guadagni più elevati», e in “Imparare l’ottimismo” sostiene che «l’ottimismo è la chiave del successo nelle vendite».

L’interesse del mondo economico per la psicologia positiva è evidente. Durante la presidenza di Seligman all’APA, una fondazione finanziata da un importante imprenditore statunitense gli donò inizialmente 120.000 dollari, seguiti da un milione e mezzo di dollari. «La psicologia positiva iniziò a fiorire con quel finanziamento», spiegò lo psicologo. Ma perché un imprenditore sarebbe così interessato alle idee di Seligman? Perché gli ottimisti non si scoraggiano mai, vedono le avversità come opportunità di crescita, sono adattabili e si motivano continuamente… in una parola: sono resilienti.

La resilienza

La resilienza, originariamente  un concetto della meccanica, descrive la capacità di un materiale di assorbire gli urti senza rompersi.

 In psicologia, indica la capacità di superare eventi traumatici vedendoli come positivi. Il vantaggio di avere dipendenti resilienti è che questi possono sopportare qualsiasi situazione, credendo che felicità e infelicità dipendano principalmente dal loro atteggiamento mentale.

La resilienza, insieme a ottimismo, speranza e autoefficacia (la convinzione di poter gestire gli eventi), è uno dei componenti del «capitale psicologico». Questo concetto è un’evoluzione del «capitale umano», che comprende conoscenze e competenze, anche relazionali ed emotive, utilizzabili per massimizzare i profitti.

In sintesi, la psicologia positiva è diventata uno strumento per la gestione del personale aziendale, insegnando ai dipendenti che è meglio essere felici piuttosto che obiettivi, e che la loro felicità non dipende dalle circostanze esterne, ma dal loro atteggiamento mentale. Per essere felici, devono accettare qualsiasi situazione lavorativa (o non lavorativa, come il licenziamento e la flessibilità), cercando di vederla come un’opportunità di crescita personale. Niente lamentele, come spesso ricorda papa Francesco: entusiasmo e ottimismo. Tutto va bene e abbondante, anche a costo di distorcere la realtà.

Di conseguenza, milioni di lavoratori occidentali si sono trasformati in criceti che corrono in una ruota, inseguendo la promessa di una carota – la felicità – che non raggiungeranno mai. Non perché siano vittime di un inganno, ma perché non si impegnano abbastanza, non sono sufficientemente ottimisti e si lasciano abbattere dagli eventi esterni. Fino a quando non crollano, cosa che accade sempre più spesso. Dopo tutto, non sono persone, ma «capitale umano».

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