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La percezione come costruzione di significati e come forma di conoscenze e abilità

La percezione come costruzione di significati e come forma di conoscenze e abilità

La percezione è un processo mentale, che opera una sintesi, volta a convertire i dati sensoriali  in forme e concetti dotati di  senso e significato.

Essa, perciò, può essere considerata una delle principali facoltà della natura umana, che trasforma le informazioni, offerte dai segnali e dagli stimoli, tramite le afferenze sensitive, provenienti dall’interno (propriocettori) e dall’ambiente esterno (esterocettori), in operazioni mentali coscienti, che le consentono di leggerle, interpretarle, analizzarle, assemblarle, categorizzarle logicamente, selezionarle (attraverso l’attenzione) e di indirizzare, conseguentemente, la capacità di osservazione e di interpretazione della realtà e risolvere problemi di varia natura.

Molti filosofi hanno trattato il tema della percezione, a partire da Platone (427-347 a.C.) in poi, il quale sostiene che la percezione è un’immagine imperfetta delle cose (la loro ombra).  

Significativo è il contributo concettuale dei seguenti filosofi più moderni, di cui offriamo qualche breve sintesi : 

Cartesio (1596-1650) : la “ghiandola pineale” è in grado di gestire, rielaborare analizzare tutti gli stimoli provenienti dall’esterno, che permettono all’uomo di fornire giudizi di valore o di qualità sull’immagine desiderata;

John Locke (1632-17049: la mente è una tabula rasa, per cui la percezione è l’unica fonte di conoscenza;

George Berkeley (1685-1753): le cose esistono solo in quanto vengono percepite, per cui “essere = essere percepito”;

Immanuel Kant ( 1724-1804) : Le percezioni sono categorie a priori.

Il termine filosofico, è stato, infine, usato nel XX secolo, secondo la concezione fenomenologica, sostenuta da Husserl (1859-1938), il quale considera la percezione, come una realtà soggettiva, utilizzata per designare ogni atto di conoscenza soggettivo, determinato da una molteplicità di dati della coscienza sensibile, cioè, di essere consapevoli di qualcosa. Tale teoria è confermata da  Merleau-Ponty (1908-1961), secondo il quale il corpo è una forma di  apertura percettiva al mondo.

In base a quest’ultima teoria, la percezione si configura, dunque, come un fenomeno soggettivo, che induce a percepire la vita, non nella sua autentica realtà (come realmente è nella sua dimensione oggettiva), ma come crediamo che sia  o vorremmo che fosse.

Le dinamiche legate a questo fenomeno riguardano i processi della sensazione (il rendersi consapevoli dei dati di senso vissuti), della percezione vera e propria, definita, anche, appercezione (il riconoscere e identificare ciò che è stato percepito) e della coscienza  (il formarsi dei concetti e delle idee generali).

La percezione costituisce, quindi, la più importante base e l’elemento costitutivo del conoscere, che è strettamente legato alla personalità individuale, all’esperienza, all’ambiente sociale, per cui essa risulta determinante nei comportamenti individuali e nel modo di vivere i rapporti interpersonali.

Tra la sensazioni e la percezione esiste un rapporto immediato, come un processo di un continuum, per cui la dinamica psicologica, che si attiva, in termini di capacità,  potrebbe essere definita col temine congiunto : “capacità senso-percettive”.

LE CAPACITÀ SENSO-PERCETTIVE PARTENDO DAL BAMBINO

Il processo di crescita, maturazione e sviluppo del bambino, riferito, in modo particolare all’età, compresa tra i 3 e i 7 anni, è legato all’evoluzione del sistema nervoso, grazie ad una serie di stimolazioni che, per l’interazione continua e sistematica tra sensazioni e percezioni, sviluppano, le particolari capacità evolutive, che riguardano, proprio, le capacità senso-percettive.

Per favorire l’evoluzione e il potenziamento di queste capacità, a livello scolastico, si potrebbe utilizzare la fase, particolarmente sensibile, della Scuola dell’Infanzia, utilizzando attività, finalizzate a interpretare, riconoscere, ricordare e differenziare una molteplicità di sensazioni esterne, siano esse  visive,uditive, tattili, olfattive che cinestetiche.

 A tal fine, sarà utile che l’insegnante vari spesso le situazioni stimolo, arricchendole di contenuti  sempre nuovi e valorizzando, quando se ne presenterà l’occasione, gli stessi suggerimenti creativi dei bambini.

I risultati delle ricerche scientifiche e le stesse buone pratiche, realizzate in alcune realtà scolastiche, ci insegnano, infatti, che i neuroni (cellule nervose) estero e propriocettori si adattano alla tipologia degli stimoli multilaterali e variabili. Ne deriva, quindi, che essi non si evolvono se le esercitazioni proposte, in modo particolare, quelle riferite all’attività ludico-motoria, si ripetono con una certa uniformità, utilizzando, schemi fissi, ripetitivi  e tempi sempre uguali.

Per questo motivo, soprattutto nell’educazione del movimento e col movimento, è consigliabile utilizzare  proposte didattiche innovative e strumenti diversi , centrati sulle discriminazioni senso-percettive, riguardanti la forma, il colore, la dimensione degli oggetti, le proprietà acustiche e rimarcando, anche, gli stimoli contrastanti delle attività, con  numerose varianti, riferite alla all’intensità, alla velocità, alla frequenza, alla durata e alla dimensione spaziale dell’esecuzione.

In questo modo, le attività che risulteranno, tra l’altro, più motivanti e accattivanti per il bambino, offrendogli un’utile opportunità di vivere una molteplicità di esperienze ricche e varie, che determinano abilità aperte   (open skills), rispetto a quelle monotematiche e monovalenti, che sviluppano abilità chiuse (closed skills), che rischiano di non esplorare e, quindi, di impoverire il suo  potenziale intellettivo e motorio, vale a dire, il suo modo di pensare, sentire ed agire, in definitiva le sue competenze di vita (life skills).

I PERICOLI DELLA PERCEZIONE DEVIATA, PER MANCANZA DI STIMOLI ADEGUATI

I nuclei fondamentali, che influenzano la percezione umana, investono la totalità antropologica della persona, mobilitano una serie di modificazioni dinamiche, che possono essere educate, corrette, ma che, in condizioni poco adatte o sfavorevoli o scarsamente stimolanti, come le situazioni di povertà degli stimoli o le condizioni fisiche compromesse, possono presentare, anche, una serie di situazioni devianti, di cui elenchiamo, in modo semplificato e modificato, quelle più significative, elencate da Antonino Minio:

  • le modificazioni fisiche, come la stanchezza, la fame, le situazioni patologiche, che determinano situazioni stressanti dei processi percettivi;
  • le alterazioni a livello psicologico, come i vari tipi di fragilità emotiva, di confusione e debolezza mentale, di labilità psichica, ecc.;
  • i comportamenti pseudo percettivi , che disturbano la percezione, riguardanti le allucinazioni, le illusioni, i  riconoscimenti deviati, ecc;
  • le ambiguità percettive, che determinano una lettura ed una interpretazione anziché di un’altra (legate a pregiudizi già consolidati);
  • le distorsioni percettive, legate allo scambio di stimoli, che si creano di sana pianta;
  • l’attenzione selettiva, intesa come difesa percettiva preferenziale, che porta, spesso, alla selezione di un solo stimolo;
  • l’effetto alone, in cui si prende una parte per definire il tutto;
  • l’effetto oroscopo, che prevede l’associazione di certi tratti della personalità con altri (ad es. “il buono” = “sincero” – “la figura del prete” = esempio di castità, ecc.);
  • l’effetto group-thinking, riguardante la pressione della cultura del gruppo sociale (senso di appartenenza, matrice culturale e normativa);
  • i ruoli mal vissuti (conflitti, sovraccarico emotivo, situazioni di malessere, ecc.)

Un ruolo fondamentale, in questo ambito, è, inoltre, costituito dalle aspettative, dai pregiudizi, dagli stereotipi.

L’aspettativa rappresenta un’anticipazione e attuazione immaginaria, che può tradursi nella realizzazione dei propri bisogni vitali, ma, che può creare, anche, una mancata soddisfazione del comportamento atteso, compromettendo il senso di autostima e autoefficacia personali.

Il pregiudizio  (pre-giudicium) indica una forma di giudizio rigido che,  essendo  formulato  prima dell’esame e in modo acritico, può essere considerato un falso giudizio, che si basa su  immagini culturali preformate.                                                                                                                                                              

Si tratta di un fenomeno di tipo emozionale, in grado, talvolta, di influire positivamente o  negativamente sulla simpatia o antipatia  verso  qualcuno  o  un gruppo di  persone.                                                                 

Tale pregiudizio può, anche, manifestarsi come un vero e proprio preconcetto, che crea una maggiore omogeneità e un più marcato adattamento individuale, nell’ambito di certi gruppi, la cui matrice, quasi sempre collettiva, ha una grande capacità di diffusione e di resistere al ragionamento.

Lo stereotipo, spesso abbinato al pregiudizio, di cui rappresenta, anche, il risultato, si manifesta come una tipologia schematica e semplificata della percezione e del giudizio.

La sua caratteristica è quella di presentarsi come una etichettatura rigida, non corretta che, non essendo sostenuta da un punto di vista logico, tende a conservare la medesima opinione prestabilita e a consolidare un cliché mentale sclerotizzato, spesso generativo di veri stati psicotici.

I casi sopra esposti si configurano, dunque, come una vera e propria distorsione percettiva, che spesso, ostacola la comprensione e la comunicazione interpersonale.

Il fenomeno della percezione, così intesa, nella sua tipologia deformata, rappresenta, nella società attuale, un fenomeno molto diffuso, in quanto si prospetta come una possibilità facile e conveniente di assumere certi atteggiamenti, che non richiedono alcuno sforzo allenante del pensiero.

La sua traduzione, in termini educativi, significherebbe promuovere l’esonero dallo sforzo mentale, eludendo il valore della complessità delle risorse personali e della vitalità umana degli studenti.  Il loro percorso formativo, infatti,  ha senso, significato e valore se è finalizzato alla dimensione etica del “dover essere e del saper essere”, tramite un continuo impegno, in grado di mobilitare, nella giusta consapevolezza e direzione,  le migliori potenzialità e risorse personali.