“Io non ho filtri” è una delle affermazioni più comuni che si possano sentire quando si nominano i filtri per la prima volta. Ognuno crede di avere una visione oggettiva di quello che vede, una visione reale di quello che accade e che la sua versione sia giusta, ma non è così. Esiste una verità per ogni persona esistente.
Cosa sono i filtri
Un filtro è una griglia, una maglia, una rete che limita il passaggio.
Un filtro è una lente che modifica la visione dell’immagine. Qualcosa che fa passare solo quello che decidiamo di far passare, sostanzialmente è un limite.
I filtri sono tutte quelle informazioni dettate dalle proprie origini, dal posto in cui si è nati, dalle abitudini, dalla vita, dalle esperienze, che ci fanno esprimere un giudizio su quello che ci circonda.
Se pensiamo ad un cane, come animale domestico a 4 zampe, possiamo essere certi che ognuno nella sua mente avrà un’immagine diversa. Grande, piccolo, di razza o meno, la percezione sarà diversa, a seconda della relazione che la persona ha avuto con i cani nel corso della vita. Per un pastore sarà uno strumento di lavoro, per una persona sola sarà una compagnia inseparabile, per una persona che è stata morsa sarà una bestia pericolosa, per una persona nata in una famiglia amante degli animali sarà un parente stretto, per qualcuno che non ama gli animali in casa sarà solo fonte di sporcizia.
Ma il cane resta cane e di per sé può avere delle caratteristiche fisiche e comportamentali dettate da molti fattori, ma non ha certo consapevolezza di come venga percepito all’esterno.
Eliminare i filtri completamente è impossibile, vorrebbe dire cancellare qualsiasi informazione che il nostro cervello abbia ricevuto nel corso degli anni, perfino l’uso della lingua è un filtro, in quanto le parole che usiamo descrivono la realtà che ci circonda: pensiamo agli Inuit che hanno un termine diverso per ogni tipo di neve o a quei cibi tipici di un Paese o di una regione che non esistono in nessun altro posto.
Quando (e perché) diventano un limite
Il limite che il filtro pone è quello di avere basi errate con cui creiamo giudizi e (spesso) pregiudizi. Credere che un luogo sia pericoloso, che un cibo sia dannoso o che una terapia sia inutile può creare danni notevoli.
Stabilire categorie di cose e persone da evitare basandosi su preconcetti dettati da filtri può portare a scontri importanti e a volte violenti. Oppure al contrario, può capitare giudicare una persona migliore di un’altra in base alla squadra che segue o al lavoro che fa.
Se parliamo della vita lavorativa, apriamo un canale che inizia dal colloquio di selezione. Ogni candidato viene “filtrato” secondo alcuni criteri generali per poi passare tra le maglie giudicanti del responsabile delle risorse umane se non anche del titolare o del futuro manager.
L’abbigliamento e l’aspetto fisico in generale sono i primi filtri che si incontrano: in entrambi i casi devono rispondere a dei criteri dettati da filtri imposti nemmeno dalla persona che fa il colloquio, ma da usi e costumi fortemente consigliati sui migliori siti di HR.
Passato il primo step è necessario rispondere a dei requisiti che, se fossero davvero oggettivi, non richiederebbero la presenza: si potrebbero fare colloqui di selezione al buio, dove il candidato non è visibile e la voce è falsata, affinché non vi sia alcun tipo di discriminazione.
Consideriamo che se in Italia sesso, età e foto sono richiesti, in Francia vengono inserite solo le iniziali della persona e nessuna altra connotazione viene specificata. In questo modo, la selezione del cv è il più obiettiva possibile e si basa sulle competenze descritte.
Un esempio che esula un po’ dalle dinamiche sociali ma che rende bene la funzione del filtro riguarda l’ambiente vitivinicolo. Ad una degustazione alla cieca, ovvero con bottiglie senza etichetta, un noto vino che era fra i più quotati prese la valutazione peggiore in assoluto, con grande stupore dei degustatori stessi, traviati nel loro giudizio dalla fama del marchio.
Ritornando al lavoro si possono incontrare esempi davvero incredibili, dove per un presupposto basato sulla etnia, si asse incarichi in ambito tecnico e tecnologico che non avevano nessun riscontro oggettivo. Una persona che fa il suo lavoro ed esce in orario è vista in modo negativo rispetto a chi magari perde tempo ma esce più tardi. Il filtro dell’orario è un grande discriminatore, specialmente in Italia. In Germania, il venerdì pomeriggio non lavorano eppure le grandi case di produzione hanno sede in quel Paese. Il criterio dovrebbe essere la produttività e il raggiungimento degli obiettivi, più che il tempo trascorso in loco.
Filtri e pregiudizi
Se passiamo ai filtri in ambito sociale ci troviamo ad affrontare delle dinamiche davvero difficili da sradicare. L’appartenenza o la non appartenenza a determinati gruppi sociali può creare delle divisioni o dei casi estremi: ad esempio, un ragazzo che faceva parte di una tifoseria piuttosto attiva, in una intervista radiofonica raccontò di essersi fidanzato con la poliziotta che lo aveva arrestato durante una partita. Vivevano la storia in segreto assoluto perché non sapevano come a dirlo né al lavoro, né al club, né in famiglia. Una specie di Romeo e Giulietta dei nostri tempi.
Per quanto possa far sorridere una situazione del genere, la discriminazione non si basa solo sull’etnia, la distinzione per colore è immediata e anche troppo facile da identificare, i filtri spesso vanno a colpire chi a volte non ha nessuna responsabilità.
Il problema è la convinzione, da parte di chi applica i filtri, di essere assolutamente dalla parte giusta, senza mettersi in discussione o prendere in esame la remota possibilità che ci si possa sbagliare. Eppure anche biblicamente si parla di un buon samaritano che soccorre, a discapito della sua fama.
Il corso online Comunicare tra culture: Come farlo nel modo giusto? approfondisce il tema dei filtri e delle barriere culturali, fornendo utili raccomandazioni per superarli.
Come liberarci dai nostri filtri
Essendo il filtro essenzialmente personale, è di difficile ammissione: si guarda fuori da sé stessi e anche il migliore degli esempi si scontra con Ego colossali che rifiutano con forza di essere giudicanti e discriminatori.
Chi filtra sta normalmente in gruppi anch’essi filtranti con gli stessi criteri e che asseverano di conseguenza questi comportamenti, con il risultato che è quasi impossibile sbloccare certi meccanismi, in primis perché di certo nessuno all’interno del gruppo prenderà mai una posizione in merito, pena l’immediata discriminazione se non addirittura allontanamento, in secundis perché è impossibile entrare nel gruppo se non si dimostra di essere “della stessa scuola”.
Per eliminare i filtri o anche solo arginarli, l’unica prospettiva possibile è agire su noi stessi, uniche persone che ci è dato di poter cambiare. Prendiamo atto del fatto che ognuno di noi vive e agisce secondo schemi che non gli appartengono in prima persona, notiamo quando prendiamo posizione in modo arbitrario anche se apparentemente logico, la presa di consapevolezza è un passo avanti verso la ragionevolezza, anch’essa soggettiva, se vogliamo.
Dice la sociologia che per cambiare la mentalità di un popolo ci vogliono oltre 100 anni e 3 generazioni, al momento 100 anni sembrano davvero pochi e 3 generazioni per niente sufficienti, se i filtri passano di padre in figlio e dipendono dal gruppo sociale di appartenenza. Si parla di un salto evolutivo enorme, che prevederebbe, secondo la piramide di Maslow, la risoluzione di tutti i bisogni sociali, dall’appartenenza al riconoscimento, per passare allo stadio evolutivo successivo, l’elevazione, che prevede condizioni di coscienza e consapevolezza massime per l’essere umano.
Esistono certo individui che hanno fatto questo percorso ma, purtroppo per noi, spesso sono invisibili, perché una certa elevazione porta al distacco e di conseguenza a una scarsa visibilità. Non esistono impedimenti per nessuno, purché si cominci a vivere secondo coscienza e non secondo il bisogno: risolto il bisogno, si manifesterà l’elevazione.