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Conosciamo la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica)

Conosciamo la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica)

Appartenente all’ambito delle patologie neurodegenerative, la SLA è una malattia di tipo progressivo che colpisce i motoneuroni, quelle cellule nervose del cervello che regolano la contrazione dei muscoli volontari. Si chiama SLA proprio perché, a livello clinico, si evidenzia atrofia muscolare (da qui l’aggettivo amiotrofica) in aggiunta ad un ispessimento di alcune parti del midollo spinale (dunque sclerosi laterale).

La malattia inizia, sostanzialmente, quando i motoneuroni danneggiati non vengono più sostituiti, portando il corpo ad una paralisi completa dei muscoli volontari. Nonostante ciò, le funzioni cognitive non risultano compromesse.

LE CAUSE

La sclerosi laterale amiotrofica è una patologia caratterizzante l’età adulta.

Può presentarsi in due forme:

  • familiare ( 5% dei casi): si manifesta all’interno dello stesso nucleo familiare intorno ai 63 anni;
  • sporadica ( 95% dei casi): compare tra i 40 e i 60 anni di età.

La malattia colpisce prevalentemente i maschi. Sfortunatamente solo una minima percentuale sopravvive per più di otto anni. Una vita più lunga, infatti, è da ritenersi rarissima.

La SLA è considerata una patologia multifattoriale. Tra i fattori coinvolti emergono:

  • UN ECCESSO DI GLUTAMMATO: un’alta percentuale di questo componente, all’interno del corpo causa iperattività delle cellule nervose, raggiungendo livelli dannosi per l’organismo;
  • PREDISPOSIZIONI GENETICHE;
  • CARENZA DI FATTORI DELLA CRESCITA;
  • FATTORI TOSSICO-AMBIENTALI.

La SLA viene definita una proteinopatia, per la presenza di ammassi proteici nei motoneuroni.

COME SI MANIFESTA

I primi sintomi caratterizzanti la SLA sono:

  • mioclonie (contrazioni muscolari brevi)
  • spasticità (rigidità muscolare)
  • astenia (debolezza muscolare)

L’insorgenza della malattia segue il muscolo che viene coinvolto per primo. Si parla, perciò, di due tipi di esordio:

  • spinale, in quanto viene colpito un arto e, di conseguenza, influenzata l’andatura;
  • bulbare, ossia caratterizzato da disartria (disturbo motorio del linguaggio) e disfagia (difficoltà nella deglutizione).

Il malato mostra, in questo caso, labilità emotiva con attacchi improvvisi di riso e pianto.

CURARE LA SLA

Purtroppo non esiste una cura definitiva per la SLA se non l’utilizzo di terapie farmacologiche che alleviano semplicemente i sintomi non debellando, definitivamente, la malattia. Ecco perché spesso si agisce sulla cura dei sintomi stessi ( la spasticità, la salivazione eccessiva, i crampi muscolari, l’insufficienza respiratoria) più che sulla totalità della malattia stessa.

SLA E PSICHE

Quando si tratta di persone affette da una patologia non è mai facile. Così come risulta impossibile parlare di una cura specifica e definitiva per la SLA, dal punto di vista fisico, lo stesso vale per il benessere psicologico. Chi è affetto da una patologia tanto importante come quella di tipo neurodegenerativo (ma anche chi affronta malattie che abbiano un origine completamente diversa) non accetta la sua situazione.

Ritrovarsi a vivere una vita completamente sovvertita dall’ordine casuale delle cose non è una condizione di facile accettazione. Alcuni tentano di porre fine alle proprie sofferenze con gesti estremi, altri, nonostante il dolore, sono propensi all’aiuto. Quando quest’ultimo evento si manifesta bisogna accogliere con ottimismo il passo avanti che la persona affetta ha deciso di compiere e proseguire con lo step successivo: l’accettazione totale della malattia. Per fare questo, occorre che ci sia un dialogo tra il paziente e la persona che lo assiste così da poter arrivare, piano piano, ad un percorso di normalizzazione della situazione.

La persona con SLA non ha alcuna complicazione cognitiva. Per questo, escluderla da qualsiasi attività quotidiana (poiché malata) significherebbe portarla a vivere una situazione di disagio non indifferente a causa della sua condizione. Chi necessita di comprensione, però, non è solo la persona affetta da SLA ma anche colui/colei che se ne prende cura.

Il caregiver deve continuare a curarsi della sua vita esattamente come faceva prima che la malattia si ponesse al centro. E questo, nonostante i momenti di sconforto possano reiterarsi nel tempo. Solo attraverso la cura di se stessi, infatti, si arriva a curare l’altro.

È fondamentale che in tutto questo tornado di emozioni il caregiver non sia solo e che a reggere il peso di una circostanza del genere ci sia qualcuno pronto a “prendere il testimone”.