La disabilità è una condizione che si contrappone all’abilità. Si parla di abilità quando una persona è in grado di svolgere azioni, come lavarsi, vestirsi, prepararsi un pasto, come ci si aspetta che le svolga, sulla base della sua età e delle richieste sociali. Quando una persona non è in grado di fare questo, totalmente o parzialmente, è in una condizione di disabilità.
La disabilità può essere temporanea o permanente, progressiva o regressiva, reversibile o irreversibile.
IN CHE MODO SI PARLA DELLA DISABILITÀ?
Nel corso della storia, sono state utilizzate diverse espressioni per riferirsi a questa condizione. In epoca antica, per indicare la persona con disabilità, si utilizzava il termine «anormale».
Dall’Ottocento si inizia a cambiare prospettiva nei confronti delle persone con disabilità, con un’apertura nei confronti dei lori bisogni e della loro dignità di esseri umani.
Dal Settecento al Novecento si sono usate diverse espressioni per riferirsi a chi è in una condizione di disabilità: «cretini», «imbecilli», «minorati», fino ad arrivare ai nostri giorni, con espressioni come «handicappati», «portatori di handicap», «persone in situazioni di handicap», «persone disabili», «persone con disabilità», «diversamente abili» (con cui non si sottolineano gli aspetti deficitari di una persona, ma le sue abilità in circostanze e contesti specifici).
COME SI VEDE LA DISABILITÀ?
La disabilità è stata considerata sulla base di diversi modelli, in particolare il modello medico e il modello sociale.
Nel modello medico, essa viene vista come un problema esclusivamente della persona che lo presenta; questo significa che si pensa che la società non abbia nessuna responsabilità nei confronti della condizione della persona. L’unica cosa che si può fare nei suoi confronti è occuparsene da un punto di vista medico. La persona viene vista come malata e dipendente dagli altri e non la si vede capace di poter dare un contributo alla società.
Nel 1976, in Inghilterra, viene elaborato il modello sociale della disabilità, con cui si cambia prospettiva su questa condizione. In questo modello, essa viene considerata come un problema che riguarda tutti, non solo la persona che la vive. La società, quindi, è chiamata a fare in modo che la persona con disabilità possa godere degli stessi diritti di cui godono tutti gli altri cittadini (ad esempio abbattendo le barriere architettoniche). La persona con disabilità viene vista come una persona che può contribuire alla società, ovviamente sulla base delle sue effettive capacità. Questo è un modello, quindi, che valorizza le potenzialità della persona.
QUANTI SONO I TIPI DI DISABILITÀ?
La disabilità è classificabile in intellettiva, sensoriale e motoria.
Nel caso intellettiva è la condizione in cui la persona ha un modo di pensare diverso da quello della maggior parte delle persone. Essa può essere di diversi tipi: live, moderata, grave o gravissima, a seconda del quoziente intellettivo della persona e della sua capacità di adattarsi all’ambiente.
In particolare, il pensiero della persona è rigido, quindi, la persona ha difficoltà ad accettare i cambiamenti e le novità, Inoltre, il pensiero è concreto, opposto cioè al pensiero ipotetico; la persona, cioè, non è in grado di pensare in maniera astratta, di fare ipotesi, pensare alle conseguenze delle sue azioni o fare progetti per il futuro. Il pensiero tipico della disabilità intellettiva compromette la capacità di cogliere le relazioni esistenti tra la realtà e le singole parti di essa.
È presente anche una difficoltà nella memorizzazione, soprattutto di materiale verbale, mentre risulta più semplice memorizzare materiale visivo. Vi è anche una difficoltà linguistica, relativa al pronunciare e comprendere parole e frasi (più alto è il grado, maggiore sarà la difficoltà nel pronunciare e comprendere parole e frasi semplici). La disabilità intellettiva può compromettere anche l’ambito motorio, determinando una difficoltà nel compiere movimenti finalizzati e nel compierli in maniera armoniosa.
Nella disabilità intellettiva sono presenti quelli che vengono definiti “comportamenti problema”. Essi sono rappresentati da modalità disfunzionali per la persona (es. mordersi braccia e/o mani, picchiare la testa contro il muro), ma che la persona vede come utili a raggiungere un obiettivo o risolvere un problema.
Nella disabilità sensoriale sono compromessi la vista e/o l’udito, in maniera parziale o totale.
Nella disabilità motoria è compromesso il movimento o lo stare fermi (ad esempio tenere fermo il capo).
QUALI SONO LE CAUSE DELLA DISABILITÀ?
La disabilità può avere varie cause: genetiche, prenatali, perinatali e postnatali.
Le cause genetiche insorgono durante il concepimento e riguardano alterazioni cromosomiche o anomalie nel processo biochimico di costituzione delle cellule (vi rientra la sindrome di Down in cui si ha un’anomalia cromosomica, in quanto sono presenti 47 cromosomi anziché 46).
Le cause prenatali si presentano durante la gravidanza, quindi durante la vita del feto. Rientrano in queste cause diversi fattori. I più pericolosi sono rappresentati dalle infezioni, dall’esposizione a radiazioni, dall’assunzione da parte della madre di sostanze stupefacenti o di alcol. Le cause perinatali sono relative a problematiche che si presentano al momento della nascita (es. mancanza di ossigeno per il bambino o nascita prematura). Le cause postnatali sono relative a tutto ciò che accade dal momento della nascita in poi (traumi, carenze nutritive, affettive, di stimoli, che possono provocare una disabilità intellettiva lieve o moderata).
QUALI SONO GLI OBIETTIVI NEL LAVORO CON LA DISABILITÀ?
Nel lavoro con la disabilità, si hanno diversi obiettivi.
Nel caso della disabilità intellettiva, per esempio, uno degli obiettivi è quello di sostituire i comportamenti problema (di cui si è parlato sopra) che la persona mette in atto con comportamenti più funzionali per lei.
Altri obiettivi rispetto all’ambito sociale sono l’inserimento, l’integrazione e l’inclusione.
In conclusione, nell’inserimento, la persona entra in un determinato contesto. Nell’integrazione la persona ha la possibilità di fare le stesse cose che fanno gli altri, ma senza che il contesto cambi in virtù delle esigenze che la persona presenta. Nell’inclusione, il contesto cambia sulla base delle necessità della persona con quersta problematica.