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Sono molti i genitori che, mostrando atteggiamenti narcisistici, pretendono dal figlio comportamenti in cui essi stessi risultano manchevoli. Sono quei genitori che, impostando modelli educativi severi, ipercritici e intransigenti, mostrano una condotta totalmente opposta a quella che pretendono. In poche parole ciò che viene esaltato in via teorica, non viene poi attuato nella pratica. Il genitore è il primo a discostarsi dai suoi stessi insegnamenti, e se è vero che il bambino è un bravo osservatore, questo particolare non potrà sfuggire alla sua attenzione, causando in lui un’esperienza disorientante e confusiva.
Le conseguenze di modelli educativi incoerenti
È possibile, nello specifico, la formazione di una dimensione psichica scissa in una serie di aspetti inconciliabili, modelli di pensiero incoerenti che creeranno i presupposti per un vissuto nevrotico, o, nei casi più gravi, dissociativo.
E se in età infantile è più facile obbedire al genitore, pur nella percezione dell’incoerenza dei suoi insegnamenti, questa non credibilità verrà avvertita con disagio ancora maggiore nel periodo adolescenziale, caratterizzato dall’esigenza di emancipare il proprio Sé da quello genitoriale in una prospettiva individualizzante.
Una figura genitoriale incoerente e in disaccordo con se stessa amplificherà notevolmente il processo di deidealizzazione già imperante in adolescenza, spingendo il figlio a sperimentare nei suoi confronti pensieri ostili e squalificanti ispirati non soltanto da un’esigenza evolutiva di emancipazione e costruzione identitaria, ma anche da un comportamento obiettivamente criticabile.
Prendiamo ad esempio un padre che, nel proprio modello educativo, esalta comportamenti di onestà che poi smentisce attraverso una serie di condotte familiari poco coerenti alle sue dichiarazioni (maltrattamenti, infedeltà verso la madre, mancanze o distanze affettive). Egualmente, un genitore che propugna modelli teorici di uguaglianza e libertà, disprezzando ogni tipo di condotta discriminante, per poi mostrare comportamenti non in linea con quanto affermato a parole (classico esempio è il genitore che si dichiara non razzista, e poi impedisce al figlio di frequentare persone di colore), non otterrà alcuna credibilità agli occhi del figlio.
Un bambino che si trova di fronte un simile modello educativo, non potrà non provare una sorta di sbigottimento, sentendosi disorientato in maniera alle scelte da compiere: dunque si chiede se dovrà imitare le dichiarazioni verbali o i comportamenti concreti del genitore, instaurando un conflitto ingestibile che alla fine si risolverà attraverso l’emulazione di questa incoerente dicotomia. È dunque probabile che ci troveremmo di fronte ad un adulto altrettanto contradditorio, in una sorta di trasmissione intergenerazionale dell’incoerenza.
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Modelli educativi: l’effetto della compartimentalizzazione
In questo modello educativo l’effetto formativo è soppiantato da uno marcatamente antievolutivo.
La psicodinamica parla a tal proposito di compartimentalizzazione, meccanismo di difesa che consente la coesistenza tra dimensioni totalmente dicotomiche, di cui l’una viene esaltata e caldeggiata a parole, e l’altra – totalmente opposta! – viene di fatto attualizzata.
In termini meno psicologici potremmo definirlo il classico comportamento “ipocrita”.
Il genitore proietta nel figlio quelle pulsioni narcisistiche che non ha saputo o potuto gratificare nel Sé, e imponendo degli standard di perfezione cui lui per primo non si attiene crea uno iato incolmabile tra teoria e pratica. Percependo questa discrepanza tra il Sé reale e il Sé ideale del genitore, il figlio replicherà nel proprio Sé il medesimo vissuto, creando stati INGESTIBILI di impotenza e insicurezza in cui un’identificazione emulativa del genitore si mostra l’unica via d’uscita.
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Come evitare tutto ciò?
La questione è meno complicata di quello che può sembrare. Alla teoria deve far seguito un dimostrazione pratica. Le parole chiedono di venir corroborate da un esempio. Quindi, prima di chiedere un comportamento al figlio, mettiamolo in pratica. Solo così il bambino potrà replicarlo ed apprenderlo a sua volta. Un insegnamento concreto ed autentico è più efficace di una didattica cattedratica intonsa ma poco attendibile, cui il genitore per primo non sa tener fede.
Gli standard di buon comportamento- e talvolta di perfezione- richiesti ai figli non sono che la proiezione di una pulsione narcisistica, l’anticipazione di risultati che il genitore avrebbe voluto ottenere e nei quali ha fallito.
Non è giusto caricare il figlio di responsabilità e oneri che noi stessi non siamo in grado di rispettare. E se mai vogliamo compiere questo passo ardimentoso, cerchiamo almeno di dimostrarcene all’altezza… e non soltanto a parole.
L’esempio è uno strumento di apprendimento utile e duraturo. Ma allo stesso modo è il solo canale didattico attendibile. L’unica via per costruire un modello educativo leale.
La genitorialità contagiata da un perfezionismo miope ed incoerente diventerà al contrario terreno fertile per disorientamenti e contraddizioni, che susciteranno nel figlio vissuti di sfiducia e disistima non soltanto verso i genitori ma verso gli adulti in genere, visti come individui senza credibilità, “buoni soltanto a parlare”.
Conviene pertanto, prima di insegnare, imparare ad apprendere a nostra volta.
E soprattutto è opportuno creare dei contesti educativi non perfetti né perfezionistici, ma ambienti familiari securizzanti in cui l’errore non solo è possibile, lecito e rimediabile, ma costituisce un’irripetibile occasione di apprendimento.
Sbagliare è necessario ad imparare
La pretesa è spesso costruita sulle basi di un modello narcisistico a sua volta frutto dell’invidia. Ciò che non riusciamo a raggiungere in prima persona, dunque, lo pretendiamo dagli altri, condannandoli senza appello ove non riescano a centrare quegli obiettivi che noi stessi abbiamo mancato.
Il genitore più di ogni altro dovrebbe consentire al figlio la capacità di costruire il Sé anche in seguito ad errori e fallimenti, ricordando come le criticità, non meno dei successi, debbano essere affrontate e superate in una modalità adattiva. Ciò potrà avvenire solo attraverso modelli educativi in grado di dar valore alla potenzialità trasformativa e progressiva del Sé, senza mortificarne o debilitarne l’aspetto esplorativo- motivazionale a mezzo di doveri e moralizzazioni propugnati, ma alla fine non attuati.
Un buon insegnante deve essere in grado di dimostrare ciò che predica a parole. E data l’importanza rivestita dall’esempio ai fini dell’apprendimento, sarebbe opportuno che questo aspetto di coerenza e lealtà venisse costruito, mantenuto e potenziato nel tempo.
Come un dovere genitoriale tra i più indefettibili. Un segnale di lealtà verso il figlio, e prima di tutto verso se stessi.