La sindrome di Burnout si caratterizza come un “esaurimento” delle energie sul piano psicologico, emotivo e fisico. Questo termine nasce nell’ambito sportivo, ma oggi è applicato soprattutto al contesto lavorativo e, in particolare, alle cosiddette “helping professions”, ossia quei lavori basati sull’aiuto e la tutela dell’altro (esempio classico è l’ambito socio-sanitario).
Le fasi del burnout
Maslach
Secondo la psicologa sociale Christina Maslach (1982) la prima fase del burnout coinciderebbe con la comparsa di esaurimento emotivo, conseguente a stressor lavorativi cronici. Ciò porterebbe alla depersonalizzazione, al fine di allontanarsi dalla relazione con l’altro e riducendo in questo modo il carico emotivo. Quindi, la depersonalizzazione porta a un deficit nella realizzazione professionale che, a sua volta, porta all’esaurimento.
Cherniss
Il filosofo e storico statunitense Harold Cherniss crea un Modello definito “transazionale”, in cui individua tre fasi distinte:
- Fase dello stress: si evidenzia uno squilibrio tra richieste e risorse disponibili.
- Fase dell’esaurimento: l’organismo produce una risposta fisiologica contro lo stress, caratterizzata da tensione emotiva, ansietà, fatica, irritabilità, noia, disinteresse ed apatia.
- Fase di difesa: l’operatore cambia atteggiamento, diventa rigido, sviluppa cinismo, scarsa empatia, distacco emotivo.
Edelwick e Brodsky
Altro modello è quello di Edelwick e Brodsky che vedono nel burnout il declinare degli ideali e degli interessi professionali dell’operatore.
Elaborano quattro fasi distinte:
- Stadio dell’idealismo e dell’entusiasmo: tale fase, caratterizzata da aspettative idealistiche e da obiettivi non realizzabili, vede il lavoratore coinvolto in motivazioni consapevoli (migliorare il mondo attorno a sé, avere stabilità lavorativa) e motivazioni inconsce (desiderio di conoscere meglio il proprio sè ed esercitare controllo sugli altri).
- Stadio della stagnazione: il lavoratore realizza che il lavoro non corrisponde alle sue aspettative e bisogni, qui emerge il divario tra ciò che la realtà è e ciò che l’operatore vorrebbe che fosse (aspettative deluse, perfezionismo eccessivo che non ha portato a risultati).
- Stadio della frustrazione: è la fase caratterizzata da vissuto di perdita e crisi valoriale; la persona si domanda se vale la pena svolgere il proprio lavoro sotto stress cronico e senza il riconoscimento altrui. Inoltre, in questa fase si sperimenta il senso di colpa, la vergogna, la frustrazione, si ha inoltre una compromissione dell’autostima e un vissuto legato al fallimento.
- Stadio dell’apatia: in questo stadio la persona evita le responsabilità e l’impegno professionale, appaiono segni e sintomi di depressione, rischio di suicidio.
Gli effetti del Burnout
Un altro aspetto interessante è come il fenomeno sia rilevante non solo per la persona colpita dalla sindrome ma anche per l’intera comunità di appartenenza. Infatti, le conseguenze da burnout sono multilivello: gli operatori affetti da burnout sono un rischio attivo non solo per se stessi, ma anche per i pazienti, per i colleghi, la rete sociale e la comunità.
- Livello di salute del soggetto affetto da burnout:
- Problemi di salute mentale: depressione, senso di colpa, ansia,distimia, ciclotimia.
- Comportamenti inadeguati: uso di sostanze stupefacenti, uso spropositato di farmaci, assenteismo o ritardi a lavoro, condotta di evitamento nei confronti degli utenti.
- Problemi fisici: astenia psicofisica, insonnia, cambiamento delle abitudini alimentari.
- Livello relazionale:
- Chiusura emotiva, cinismo, scarsa empatia, pregiudizi, paranoia, mancata disponibilità all’ascolto e colpevolizzazione di utenti, famigliari degli utenti, colleghi.
- Livello lavorativo:
- Forme di assenteismo (turnover, licenziamenti), performance scadenti, scarsa partecipazione nel lavoro di équipe.
- Livello di comunità:
- Minor partecipazione, maggior costi per la cura.
I rischi e le conseguenze del Burnout sono presentati nel dettaglio nel seminario gratuito online Lo stress e il burnout.
Le scale di monitoraggio
THE MASLACH BURNOUT INVENTORY (MBI)
Sviluppato nel 1981, da Christina Maslach e da Susan Jackson, è un questionario di 22 items, ognuno con 6 gradi di risposta su scala Likert. Esso misura le tre dimensioni della sindrome, ciascuna individuata da una specifica sottoscala.
La frequenza con cui il soggetto sottoposto al test prova le sensazioni relative a ciascuna sottoscala è saggiata usando una modalità di risposta a 7 punti, i cui estremi sono definiti da “0=mai” e “6=ogni giorno”.
È un questionario self-report sviluppato per misurare il burnout come specifica reazione allo stress. Questo strumento è stato utilizzato molto in campo socio-sanitario, per la valutazione della specifica tipologia di reazione allo stress per le professioni d’aiuto (infermieri, psicologi, assistenti sociali, insegnanti, poliziotti).
L’MBI è un questionario multidimensionale che affronta tre diversi campi della professionalità:
- esaurimento emotivo: esamina la sensazione di essere inaridito emotivamente ed esaurito dal proprio lavoro.
- depersonalizzazione: misura la risposta fredda e impersonale che gli operatori danno agli utenti.
- realizzazione professionale:valuta la sensazione relativa alla propria competenza e al proprio desiderio di successo nel lavoro con gli altri.
Originariamente rivolto alle professioni di aiuto che contemplano una notevole interazione emotiva tra l’operatore e l’utente (es. psicologi, infermieri, operatori sociali e del volontariato, insegnanti, medici, ecc.), nel tempo è stato utilizzato anche per professionisti che lavorano in un costante contatto con il pubblico o con persone in stato di bisogno, riabilitazione e segregazione, producendo fenomeni di stress e burnout.
Il modello che traspare dal MBI è anche definito “modello Maslach”. Il questionario è stato elaborato in due versioni: quella per i servizi socio-sanitari e quella destinata ai servizi socio-educativi. Il MBI concepisce il burnout sia come variabile dicotomica (ossia presente o assente) sia come variabile continua, rispecchiando i diversi livelli dei sentimenti in gioco.
THE NURSING STRESS SCALE
Malgrado la crescente attenzione in merito allo stress vissuto dal personale infermieristico e dei suoi effetti sul burnout, esistono pochi strumenti che possono essere utilizzati per misurare lo stress.
La scala del Nursing Stress (NSS) redatta da Pamela Gray-Toft e James G.Anderson si compone di 34 item che descrivono situazioni che sono state identificate come causa di stress per gli infermieri nell’esercizio delle loro funzioni. Essa fornisce un punteggio totale allo stress percepito e differenti punteggi a ciascuna delle sette sottoscale che misurano la frequenza di stress sperimentato da infermieri in ambito ospedaliero ed extra-ospedaliero.
L’analisi dei fattori indica sette principali fonti di stress che appartengono strettamente a categorie concettuali, l’affidabilità del test è garantita da quattro misure di coerenza interna e indicano la Scala e le sue sette sottoscale come affidabili.
La Nursing Stress Scale riunisce i 34 items in 6 gruppi:
- Morte del Paziente
- Conflitto con parenti e pazienti
- Inadeguata preparazione
- Possibilità e opportunità di supporto emotivo
- Conflitti con altri infermieri
- Carico di lavoro.
Questo modello consente all’utilizzatore di disporre di una visione olistica dei problemi e delle fonti di stress che vengono a crearsi nel contesto ospedaliero ed extra-ospedaliero, nel quotidiano confronto tra infermieri ed equipe sanitaria ma anche nei confronti dei degenti ricoverati.
La scala utilizzata, tuttavia, non considera età, sesso, anni di anzianità di servizio, né tanto meno implica un vincolo di somministrazione verso la struttura (non indicazione alla quantità di letti per Unità Operativa) e alla tipologia di quest’ultima.