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European Week of Sport: L’attività sportiva in età adolescenziale

Nel suo percorso di crescita, maturazione e sviluppo, l’adolescente va alla ricerca di una sua nuova collocazione nel mondo, utilizzando tutte quelle opportunità che per lui sono generatrici di piacere, di gratificazione, di soddisfazione e di quel sentimento di rinforzo che è alla base di ogni spinta motivazionale ad agire. L’attività sportiva rappresenta, per lui, un’occasione privilegiata per l’affermazione di sé, in quanto “lo obbliga a prendere atteggiamenti o ad assumere comportamenti non dissimili da quelli della vita sociale; consente di compiere atti simili alle condizioni di vita effettiva, che obbligano l’uomo a progettare, programmare, realizzare, valutare, ecc.” (Giugni).

PUNTI DI FORZA: L’ATTIVITÀ SPORTIVA COME VALORE

Attraverso l’esperienza sportiva, l’adolescente impara a vivere in un universo di regole, di cooperazione e di confronto con gli altri, utilizzando le proprie forze contro le proprie debolezze, rifiutando passioni passive, che generano malessere (dipendenze da alcol, sostanze stupefacenti, ecc.) e utilizzando al meglio condotte e comportamenti attivi.

Nella tendenza all’autorealizzazione il corpo diventa corpo soggetto, centrato sull’essere e sul valore dell’Io, che con esso esprime le proprie risorse vitali (muscolari, cardiache, polmonari, nervose, prestative, legate alla sfera morfologico-funzionale) e le personali potenzialità di espressività corporea, legate alla capacità di comunicare ad altri pensieri, sentimenti, stati d’animo (linguaggio non verbale).

L’adolescente, come tutti gli esseri umani, ha bisogno di sperimentare l’efficacia e l’efficienza del suo corpo motore, mettendolo alla prova proprio con l’attività sportiva.

Nell’impiego intensivo e qualitativo del suo potenziale energetico, egli prova un senso di potenza e pienezza, che va regolato e gestito dall’insegnante o dall’educatore sportivo, in una dimensione formativa, per evitare che l’urgenza/bisogno di spendersi in modo esagerato ed esasperato possa provocargli traumi fisici o effetti psicologici indesiderati.

Altri bisogni riguardano l’interesse competitivo, il desiderio di vincere, il bisogno di diventare migliore, il bisogno di esprimere il suo spirito aggressivo in modo sublimato e senza ostilità, il gusto del rischio e dell’avventura, il bisogno di mettersi alla prova, di saggiare la sua capacità di difesa e il suo potere di “attaccare e superare l’altro”, vincendo le proprie riluttanze e insicurezze personali.

L’attività sportiva si concretizza con uno sforzo intenzionale e finalizzato che si giova del supporto del gruppo dei compagni, degli insegnanti, dei dirigenti, degli istruttori, dei sostenitori, accompagnato dall’approvazione e dalla considerazione che egli si guadagna presso di loro, per i risultati che riesce a conseguire.

Attraverso questa attività soddisfa anche sia il bisogno di espansione di sé che il desiderio/aspirazione di farsi valere e di farsi riconoscere (Michel Buet, “I segreti psicologici dello sport”).

I vettori motivazionali che caratterizzano un’attività sportiva in senso educativo sono :

L’esperienza sportiva rappresenta, dunque, la sintesi un percorso formativo, che inizia dall’esperienza irrinunciabile del gioco (gioco spontaneo, gioco strutturato e regolamentato) e che si sviluppa gradualmente in attività di gioco-sport e di attività pre-sportiva, per approdare, gradualmente, allo sport vero e proprio, nel periodo della prima e della seconda adolescenza.

PUNTI DI DEBOLEZZA DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA PER L’ADOLESCENTE

C’è, però, da sottolineare che i principi etici sopra esposti non sempre si traducono sul piano realizzativo.

L’adolescente, si sa, di fronte alle personali aspettative della ricerca di una personale identità, per una serie di fattori personali o ambientali, si rende conto che i risultati idealizzati non sempre trovano pratica applicazione.

Ciò provoca, nei casi più gravi, sentimenti di disistima, di inadeguatezza, di ansia, di paura di non essere all’altezza di poter trasformare le sue potenzialità in reali competenze.

Ciò comporta, normalmente, una diffusa fragilità emotiva, con brusche e improvvise variazioni d’umore, con comportamenti talvolta contradditori e, molte volte, inspiegabili per l’adulto.

Ne deriva il pericolo che possano insorgere comportamenti devianti, accompagnati da una sindrome di impotenza appresa, generatrice, come è noto, di una condizione di malessere, e, più in generale, di un vero e proprio disagio esistenziale.

Sulla base di situazioni complesse e, spesso, disturbate dal punto di vista psicologico, si verifica, quasi sempre il fenomeno dell’abbandono sportivo, alimentato dal sistema dello sport ufficiale, centrato, principalmente non sulla persona, ma sul risultato da raggiungere.

PUNTI DI DEBOLEZZA: LA STRUTTURA DELLA SOCIETÀ ATTUALE, GLI STIMOLI AMBIENTALI E LE DISFUNZIONI E DEL SISTEMA SPORT

Le enunciazioni sull’importanza educativa dello sport spesso devono scontrarsi, infatti, con un’altra realtà, vale a dire con il sistema e con le strutture della società, in cui viene praticato e di cui riflette precise categorie valoriali.

Nella società attuale può accadere che l’atleta, non più col suo corpo-soggetto, ma col suo corpo-utensile diventi una sorta di uomo-macchina, produttore del risultato e/o del record: non più, insomma, un soggetto che pratica sport per il proprio ben-essere e finalizzato al saper-essere, ma un soggetto al servizio dello sport.

L’atleta vincente si trasforma in uno strumento del sistema, in merce di consumo e di spettacolo, a cui, inevitabilmente, si accompagnano una serie di attività non sempre lecite: scommesse, concorsi, partite e risultati truccati, uso di sostanze dopanti, ecc.

Visto sotto quest’ottica lo sport può assumere una connotazione deviante, in cui primeggia l’inganno, lo sciovinismo, il fanatismo, la violenza, il doping, in cui esso si configura, quindi, non più come valore etico, ma come un disvalore, che ha, però il potere di affascinare e abbagliare, facendo intravedere ai ragazzi e ai giovani la possibilità di diventare, anche in breve tempo, personaggi ricchi e famosi.

Esiste, poi, il pericolo, rappresentato da una presenza invadente di molti genitori, i quali, ubriacati dalla mania della prestazione e del successo dei loro figli, spesso turbano il loro equilibrio emotivo, che dovrebbero raggiungere attraverso l’attività sportiva, sovraccaricandoli, già da bambini, di responsabilità e aspettative esagerate.

In particolare, i figli dell’ambizione sfrenata dei genitori, che Paolo Crepet definisce Bambini Abarth”, son quelli che all’esterno sono come le utilitarie di una volta (le vecchie Cinquecento e Seicento degli anni sessanta), apparentemente normali, ma che, all’interno, contenevano motori truccati per renderle più veloci.

IBambini Abarth”, nel processo di apprendimento e nel profitto scolastico hanno un cervello truccato per farli andare sempre al massimo, costantemente fuori giri. “Non devono solo avere buoni risultati a scuola, devono essere semplicemente i primi”.

Sono quei bambini, ma il discorso riguarda anche gli adolescenti, che quando tornano a casa e dicono al papà e/o alla mamma di aver preso sette in Italiano, si sentono dire: “non prendevi sempre nove?”, oppure, se hanno giocato bene, ma la squadra ha perso una partita: “stai perdendo tempo, ti stai distraendo troppo”.

Il fenomeno classico della richiesta da parte dei genitori, di risultati precoci e a breve termine si presenta, con molta frequenza, nell’attività sportiva infantile e adolescenziale, nella quale le aspettative risultano essere talmente ampliate, da determinare il grado di accettazione del figlio : “se vinci la gara, ti voglio ancora più bene”.

Il problema si presenta anche a livello di organizzazione-gestione dell’attività sportiva giovanile da parte delle scuole e delle società sportive, in cui l’insegnante o l’allenatore può creare, col suo stile di conduzione, con le sue strategie metodologiche e didattiche utilizzate, un clima psicologico favorevole o sfavorevole e quindi stimolare spinte motivazionali di tipo positivo o negativo.

NOTE CONCLUSIVE

Una ricerca condotta da dagli studiosi Ommudsen, Roberts, Lemyre e Treasure (2003) su un gruppo di calciatori di 12 – 14 anni, sul clima motivazionale percepito, sulle convinzioni, sui comportamenti morali, sul grado di sportività (intesa come rispetto delle regole, degli arbitri, di convenzioni sociali nello sport, quale il congratularsi con gli avversari quando vincono), ha fatto emergere he i ragazzi, che percepivano nella propria squadra un clima maggiormente orientato sulla competenza, legato alle motivazioni intrinseche, presentavano un livello più maturo di pensiero morale e minore disponibilità verso comportamenti scorretti, che avrebbero potuto danneggiare, anche fisicamente, gli avversari.

Viceversa “i giovani giocatori a servizio dello sport”, che percepivano un clima orientato sulla prestazione, collegato alle motivazioni estrinseche, in cui prevaleva l’aspirazione maniacale a primeggiare e a vincere a tutti i costi, si mostravano più disponibili ad azioni scorrette.

Non è pedagogicamente accettabile che si alimenti quest’ultimo tipo di motivazione: in una società civile lo sport, per le nuove generazioni, ha un vero significato formativo se si propone come un valido modello/strumento, per creare personalità stabili dal punto di vista emotivo e per prevenire quelle patologie fisiche, cognitive, affettive, motivazionali, comportamentali, sociali, che spesso affliggono i nostri ragazzi e che situazioni, del tipo che abbiamo descritto, possono aggravare in modo irreparabile.

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