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Cure Complementari: preziose alleate nel trattamento del dolore

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“Vi siete mai chiesti come ci si sente nel letto di un’unità di degenza?”

Tiziano Terzani (Firenze, 14 settembre 1938, Orsigna 28 luglio 2004), noto giornalista e scrittore contemporaneo scrisse: “tenevano conto esclusivamente dei fatti e non di quell’inafferrabile “altro”che poteva nascondersi dietro ai fatti, così come i così detti “fatti” apparivano loro. Io ero un corpo, un corpo ammalato da guarire. E avevo un bel dire: ma io sono anche una mente, forse sono anche uno spirito e certo sono un cumulo di storie, di esperienze, di sentimenti, di pensieri ed emozioni che con la mia malattia hanno probabilmente avuto un sacco a che fare”.

Tale affermazione ci permette di comprendere come ogni intervento nei confronti della salute sia poco efficace se i suoi aspetti più tecnici non vengono articolati con gli aspetti più squisitamente relazionali e di comunicazione empatica, valutando la persona nella sua interezza e trattando il dolore psico-fisico prima che compaia e non in un secondo tempo.

L’essere umano è un cumulo di storie, un’identità che cresce e muta, è precursore di sentimenti,  idee, desideri e interpretazioni su fatti o eventi.

Egli vive in un contesto sociale, economico e famigliare, a tal proposito, necessita sempre di una relazione d’aiuto coi curanti, sia nella dimensione preventiva sia per quanto riguarda il trattamento o la fase riabilitativa.

L’obiettivo della medicina, infatti, dovrebbe essere quello d’indirizzare l’individuo a diventare il miglior curante di sé stesso, pianificando l’assistenza sanitaria “a misura d’uomo”, usando in modo integrato le cure complementari, tradizionali e convenzionali, determinando, in tal senso, l’obiettivo “salute”.

La relazione di cura

Nel rapporto tra curante e curato dovrebbe esserci una relazione che va oltre ogni terapia, ossia che va oltre tutto ciò che si progetta e si inscena con metodo, ma che ci rende, in prima persona, “terapia” per chi ha dolore o per chi ha un problema psico-fisico.

Nel 1986 il “National Institutes of Health” scrisse in un documento che la responsabilità primaria di valutazione e trattamento del dolore, seppur in un contesto di multidisciplinarità, appartiene al sanitario, a lui spetta, di conseguenza, il coordinamento delle attività di presa in carico e controllo di questo parametro vitale. Ogni persona ha, perciò, diritto di testimoniare il proprio dolore, ad esser creduta, valutandone il trattamento, nel  rispetto del sesso, età, cultura, stato sociale e religione. Nessuno meglio di noi stessi sa cosa si prova quando “si sente dolore”, per tale motivo l’autovalutazione da parte della persona assistita (self report) è il parametro più attendibile per eseguire delle valutazioni appropriate.

A tal proposito, le cure complementari sono tra le metodiche più antiche ma più efficaci per il trattamento del dolore.


L’importanza della relazione di cura nell’efficacia del trattamento è evidenziata e approfondita nel seminario gratuito online Principi di PNL: La comunicazione efficace nella relazione di cura.


Cure complementari nel trattamento del dolore

Già alla fine degli anni ‘90 numero studi evidenziavano come l’uso di cure complementari per il trattamento del dolore fosse una pratica diffusa, soprattutto tra i pazienti oncologici, con una prevalenza media che all’epoca era stimata attorno al 31% dei casi e, oggi, oltre al 37%.

Nel 2014, i due ricercatori turchi Ucuzal e Kanan posero l’attenzione sull’uso delle cure complementari per il trattamento del dolore post-operatorio, dimostrando come questa pratica (nello specifico il massaggio dei piedi), aumenti l’efficacia e possa potenziare l’impatto psico-fisiologico esercitato degli analgesici.

Questi studi dimostrano come l’integrazione di cure complementari e interventi farmacologici risulti particolarmente efficace e consegna di ottenere un miglior controllo del dolore e una guarigione più rapida e armoniosa.

Cosa sono le cure complementari

È corretto dunque definire cosa siano effettivamente le “cure complementari”.

Esse sono metodiche olistiche, naturali, non invasive o farmaceutiche che, essendo considerate un “complemento” sono affiancate alle cure allopatiche (dal greco “Halos”, che significa “opposto” e “Pathos” che significa “sofferenza”). Queste sono erogate attraverso i principi della medicina scientifica ufficiale e su un modello olistico di tipo Patient Centred, in cui la comunicazione non è un “di più”, non è un orpello, ma costituisce parte integrante e irrinunciabile del processo di cura.

Tali metodiche hanno lo scopo di incrementare la relazione d’aiuto, in un rapporto nuovo alla persona, che generi una phronesis efficace (combinazione di teoria e prassi clinica), grazie alla quale vengono individuate le problematiche e viene pianificata l’assistenza medico-infermieristica attraverso la diagnosi clinica olistica.

Il modello perseguibile è quello della “fiducia reciproca”, in cui professionista sanitario e paziente si fidano l’uno dell’altro. Il primo utilizza le tecniche di comunicazione ed il secondo, se ben motivato, aderisce al trattamento (compliance) con partecipazione e serenità. La persona, in tal senso, viene considerata come unità ontologica che “vive” la propria patologia.

Il ruolo del malato e del terapista

La malattia assume un nucleo simbolico di significati con valenze socio-antropologico-culturali che si riflettono sulle pratiche “emic” (pratica culturalmente adatta, che rispecchia il punto di vista  di una data popolazione con un preciso bagaglio culturale) e nel paradigma demo-etno-antropologico di Madeleine Leininger (Leininger’s Culture Care Theory).

Tutto ciò ci pone di fronte ad una sfida: comprendere che ogni intervento nei confronti della salute sia poco efficace se i suoi aspetti tecnici non vengono accompagnati da quelli più squisitamente umani. Questa visione va di pari passo col clima politico, sociale, relazionale, famigliare e interpersonale. Per questo motivo, l’ottica interdisciplinare è il criterio guida. Questo implica, altresì, che il terapista sia parte integrante dell’intervento e della sua corretta riuscita, attraverso la compliance, il counseling e la “presa in carico”.

Queste “cure” sono Etiche ed Emiche, basate sull’efficienza, l’esperienza e le preferenze della persona. Responsabilizzano il soggetto, in quanto seguono i principi cardine dell’autocura, dell’autoguarigione e della prevenzione, presenti già in antichità nel Sistema Medico Ayurvedico e Tradizionale Cinese. Inoltre, determinano un ripristino dell’equilibrio psicosomatico-emozionale e relazionale in cui prendono corpo i concetti di “Care to Cure”, “Approccio Sistemico”, “Medicina Patient-Centred”, “Omeostasi”, “Omeodinamica”.

Le cure infermieristiche complementari sono, inoltre, affini ai principi delineati dalle maggiori teoriche del nursing, tra le quali l’infermiera e ricercatrice Martha Elizabeth Rogers:

“L’uomo è complementare al suo ambiente di vita, dotato di qualità, d’interezza, completa apertura, unidirezionalità, modello e organizzazione, manifestando caratteristiche superiori e differenti della somma delle sue parti” (Rogers, 1992).

Applicare la conoscenza per “poter fare” significa collaborare con l’assistito attraverso un comportamento professionale “democratico” e non “monocratico”. Dare alle persone una risposta di cura concreta, che permetta loro di essere accompagnate in ogni fase dell’esistenza è la regola base, poiché della vita non bisogna temere nulla, ma bisogna solo capire.

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