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Telecamere per identificare i responsabili di danni all’auto: qual è la normativa?

Telecamere per identificare i responsabili di danni all’auto: qual è la normativa?

Il privato cittadino che dovesse trovarsi l’autovettura danneggiata da ignoti per evidenti ragioni di sfregio, può certamente installare un sistema di telecamere a circuito chiuso per identificare gli autori del danneggiamento. Senza incorrere in alcuna violazione, è lecito riprendere e registrare auto e persone che inevitabilmente passeranno nel cono di registrazione della telecamera, purché si abbia l’accortezza di cancellare nelle successive 24 ore tutte quelle informazioni irrilevanti rispetto alla finalità di identificare l’autore dei danneggiamenti.

A tale conclusione è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 27223/22, nel trattare il caso di un cittadino la cui autovettura, parcheggiata sulla pubblica strada, era stata oggetto di sgradite attenzioni.

La vicenda

Un uomo ha installato, all’esterno della propria abitazione, una telecamera che inquadrava il suo veicolo, inevitabilmente riprendendo anche passanti e altri mezzi di trasporto pubblici e privati. Contro tale comportamento ha fatto ricorso un vicino, lamentando la violazione del suo diritto alla riservatezza, in quanto più volte ripreso dalla telecamera in questione, della cui esistenza aveva evidentemente avuto notizia.

Il vicino ha lamentato uno sbilanciamento degli interessi e dei diritti da tutelare, in quanto l’autovettura era vecchia e non veniva utilizzata, tanto vero che era ferma e parcheggiata sempre nello stesso punto da ormati molto temo. La Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante quest’ultima circostanza ed ha riscontrato che l’utilizzo della telecamera aveva consentito di individuare l’autore dei danneggiamenti, permettendo così alla parte offesa di denunciare il responsabile di tali fatti.

La giurisprudenza in materia di telecamere di sorveglianza

La decisione della Corte di Cassazione segue la strada tracciata dalla Corte di Giustizia UE, sezione III, che – con la sentenza numero 708/2019 – si era in precedenza già espressa sul punto. Con tale provvedimento si ribadisce che:

Gli artt. 6, par. 1, lett. c), e 7, lett. f), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, letti alla luce degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a disposizioni nazionali, le quali autorizzino la messa in opera di un sistema di videosorveglianza al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni, senza il consenso di altri, qualora il trattamento di dati personali effettuato mediante il sistema di videosorveglianza in parola soddisfi le condizioni enunciate nel succitato articolo 7, lettera f); aspetto questo la cui verifica incombe al giudice del rinvio.

In analoga direzione si era già espressa anche la Corte di Appello di Catania con la sentenza numero 317/2022, per la quale la liceità della installazione di un sistema di telecamere a circuito chiuso dipende dalla necessità di tutelare la propria incolumità fisica personale e famigliare. I

l diritto alla riservatezza di terze persone che dovessero essere accidentalmente ed inevitabilmente riprese viene pertanto limitato, purché vi sia l’accortezza di eliminare tutte quelle informazioni non necessarie rispetto alla finalità che, si ricorda, deve essere quella di tutelare un proprio od altrui diritto in sede giudiziaria. Quanto precede perché la raccolta ed il trattamento di dati personali senza il consenso degli interessati (vale a dire le persone cui i dati si riferiscono) prevede un giusto bilanciamento tra gli interessi delle parti coinvolte. Interessi che debbono individuarsi, da un lato, nella tutela del proprio patrimonio e della propria sicurezza (ovvero un legittimo interesse) e, dall’altro, nel diritto alla propria riservatezza.

Conclusioni

La vicenda in esame analizza per l’ennesima volta due contrapposte esigenze: il diritto ad avere giustizia ed il diritto alla riservatezza. Due facce della stessa medaglia, spesso in contrasto tra loro. La chiave di lettura è il confronto tra gli interessi in gioco. La norma ci dice che per trattare un dato personale è sempre necessario il consenso preventivo dell’interessato, vale a dire, generalmente, della persona cui il dato si riferisce (ex articolo 23 d. lgs. 196/2003). La stessa norma prevede, però, delle eccezioni.

È possibile trattare dati personali senza il consenso preventivo dell’interessato, tra le varie ipotesi, quanto il trattamento è necessario per tutelare o difendere un proprio od altrui diritto in sede giudiziaria (ex art. 24 d. lgs. 196/2003). È però obbligatorio, recita la norma stessa, eseguire il trattamento solo per il tempo strettamente necessario, e con l’obbligo di eliminare tutte quelle informazioni che siano eccedenti e non pertinenti rispetto alla finalità che si intende perseguire.