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La violenza domestica in gravidanza

La violenza domestica in gravidanza

Nonostante lo stereotipo, molto diffuso, secondo cui la gravidanza sia un “fattore protettivo” rispetto la violenza domestica, i dati mostrano non solo che è un problema ancora nascosto, ma soprattutto che è proprio in questo periodo che la violenza inizia ad inasprirsi. Il feto, spesso, è l’obiettivo diretto dell’attacco e ne subisce accidentalmente le conseguenze a cominciare dagli effetti dello stato psicologico di terrore sperimentato dalla madre. La violenza incide quindi non solo sulla salute fisica e psicologica della donna ma anche su quella del feto e del neonato.

La violenza può essere determinata dal fatto che, in gravidanza, la donna è vista come maggiormente vulnerabile, meno autonoma sia dal punto di vista emotivo che finanziario e ciò può essere vissuto dal partner come un’opportunità per esercitare un controllo sulla donna.

Violenza domestica in gravidanza: alcuni dati

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel mondo 1 donna su 4 sia stata vittima di una forma di violenza in gravidanza.

Secondo L’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (AOGOI), le violenze domestiche sono la seconda causa di morte in gravidanza, dopo l’emorragia, per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni.

Anche i dati ISTAT evidenziano che il 10% delle donne ha subito violenze dal partner anche durante la gravidanza e nel 70 % l’entità della violenza è aumentata proprio in questo periodo. Il 6% delle donne riporta l’inizio della violenza proprio nel periodo della gravidanza.

Si tratta di dati probabilmente sottostimati in quanto la donna è molto spesso restìa a denunciare la violenza subita dal partner. Inoltre, diversi studi evidenziano come anche episodi di violenza e abuso sessuale subiti in passato, non sufficientemente e psicologicamente trattati, si attivano in gravidanza o durante il parto.

Come si esprime la violenza domestica

La violenza si esprime in diversi modi ed oltre che fisica (l’atto è rivolto maggiormente al ventre, genitali e al seno) può essere psicologica. Essa si manifesta con la mortificazione e l’indifferenza rispetto ad un corpo che si modifica e per questo “meno attraente”, nella limitazione nelle scelte che riguardano le cure perinatali o il parto e l’obbligo ai rapporti sessuali.

Cogliere gli elementi di allarme e i fattori di rischio

Diversi elementi sono da tenere in considerazione in caso di violenza domestica come: l’uso di alcol da parte del partner, il sospetto di infedeltà oppure vedere il bambino come un intruso nella relazione di coppia, l’intensificazione di conflitti preesistenti, aggravati dalla ridefinizione dei ruoli che la nascita di un figlio porta inevitabilmente con sé (Jasinski, 2004).

Tra i fattori di rischio ritroviamo la gravidanza indesiderata, la giovane età (per le donne tra i 16 e i 19 anni il rischio aumenta di circa 2 volte), l’isolamento dalla famiglia d’origine, le scarse relazioni sociali e non in ultimo, una violenza precedente.

Le vittime della violenza

La violenza ha una maggiore rilevanza in quanto i soggetti coinvolti sono due: la madre e il bambino. Su entrambi la violenza ha importanti conseguenze:

Circa le madri: il rischio di morte aumenta di 3 volte; la violenza può associarsi a malattie sessualmente trasmissibili; a causa dello stato di depressione e alle cause post traumatiche si ha un aumento delle complicazioni in gravidanza e nel parto; inoltre le donne vittime di violenza si recano con meno regolarità ai controlli prenatali.

Per quanto riguarda il feto: indirettamente, il trauma all’addome materno può portare a parto prematuro, rottura delle membrane, distacco di placenta e nel peggiore dei casi, a morte fetale. Inoltre, è stata riscontrata una correlazione tra violenza in gravidanza e rischio di violenza con i figli da parte del partner.

Un fattore da non sottovalutare è la possibile trasmissione intergenerazionale della violenza domestica che vede i bambini vittime della violenza assistita riproporre da adulti, gli stessi comportamenti abusanti dei confronti del partner o dei figli. I bambini più piccoli possono manifestare alcuni problemi quali Disturbi della condotta, sintomi di Disturbo Post Traumatico da Stress, scarse capacità empatiche e sociali; inoltre si evidenziano difficoltà per quanto riguarda la sfera dello sviluppo emotivo caratterizzato da difficoltà nella gestione e nel controllo delle emozioni (soprattutto ansia, paura, irritabilità e rabbia).

La correlazione tra violenza domestica e depressione post-partum

I possibili fattori di rischio della depressione post-partum risultano essere in prevalenza di tipo psicosociale in cui particolari condizioni di stress sembrano incrementare il rischio di depressione. Lo stressor può essere di tipo fisico o emozionale, come ad esempio condizioni caratteristiche della violenza domestica.

Vi è una forte associazione fra la depressione prenatale e la probabilità che le donne siano colpite da violenze domestiche: alcuni studi hanno mostrato che le donne che avevano subito gravi violenze psicologiche e sessuali da parte di partner nei 12 mesi precedenti avevano una maggiore probabilità di soffrire di sintomi depressivi durante la gravidanza (Kastello et al., 2016); inoltre, si è dimostrato come esista una probabilità da 3 a 5 volte maggiore della norma che le donne con sospetta depressione durante la gravidanza abbiano subito violenze domestiche in età adulta, anche durante la gravidanza in corso (Howard et al., 2013).

Allo stesso modo, si è rilevato come la gravità dei sintomi della depressione postnatale fosse associata non solo dalla durata della violenza (se perpetrata nel tempo o meno) ma anche dal maggior rischio di subire successive aggressioni da parte del partner.

Violenza e depressione post partum sono spesso collegate e in quanto causa di sofferenza per la donna e implicano gravi conseguenze per il bambino; la donna inizia a sentirsi colpevole perché non aderisce al modello di mamma felice imposto dalla società ed inoltre si colpevolizza sentendosi responsabile dei maltrattamenti subiti.

Il supporto sociale come fattore protettivo

Il sistema sanitario è spesso la prima possibilità di contatto per le donne vittime di violenza. I servizi sanitari costituiscono un grande potenziale, in quanto le donne hanno l’occasione di accedervi facilmente in questo momento delle loro vite. È quindi importante che gli operatori sanitari accolgano le paure delle vittime e si muovano in tram indirizzando la donna ai servizi presenti sul territorio.

Oltre il sistema sanitario è importante il supporto sociale. Alcuni studi confermano il ruolo condizionante del supporto sociale per le donne vittime di violenza. Il supporto sociale in genere, ma soprattutto quello fornito dagli amici, è in grado di alleviare le conseguenze della violenza, soprattutto quella psicologica. Avere la possibilità di incontrare degli amici fidati e parlare dei propri problemi, sapendo di poter contare su di loro, riduce il malessere delle vittime di violenza.


Il delicato tema della violenza sulle donne può essere approfondito leggendo alcuni articoli come La violenza psicologica: le parole feriscono sia l’anima che la mente, La violenza contro le donne: uno sguardo al mondo, Violenza contro le donne: a chi rivolgersi per chiedere aiuto oppure formandosi con il Master Online in Specialista nella tutela e assistenza di donne vittime di violenza.