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LA SINDROME DI BARBABLU: la psicologia dell’odio

odio

Le patologie antisociali

Le patologie in cui ritroviamo la cattiveria e l’odio presentano alcune caratteristiche in comune, come ad esempio l’impulsività, la ricerca di sensazioni, la scarsa tolleranza alla noia e l’incapacità di rinviare la gratificazione. I disturbi del comportamento iniziano nell’infanzia e si protraggono in età adulta.

Emergono alcuni tratti caratteristici in questi quadri di personalità, come un’importante reattività emozionale, egocentrismo esacerbato e un vissuto persecutorio nei rapporti affettivi.

In particolare, il disturbo antisociale di personalità è caratterizzato da violazione dei diritti degli altri, mancanza di empatia, comportamenti aggressivi al limite della violenza, comportamenti manipolatori e maltrattanti, e mancanza di rimorsi.

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I tre cervelli

Per spiegare l’evoluzione dell’odio è necessario introdurre in modo molto sintetico, le parti costitutive del cervello, e spiegare in che modo un semplice stimolo ambientale esterno, come guardare negli occhi una persona o pronunciare una frase, possa generare nell’individuo antisociale un frantendimento e una successiva risposta aggressiva,

Il nostro cervello può essere suddiviso in tre parti:

Il prosencefalo che a sua volta si divide in:

A questo livello, si sviluppa il sistema limbico.              

Il mesencefalo e le strutture adiacenti.

Il romboencefalo si divide in:

Il cervello, attraverso numerose vie nervose, riceve le informazioni provenienti dal mondo esterno ed interno che provengono dai recettori sensoriali; dopo averle elaborate, mette in atto risposte adeguate.

I sistemi ascendenti della sensibilità (che ricevono informazioni dalla periferia del corpo come ad esempio un odore, o qualcuno che ti tocca) e discendenti della motricità (i comandi motori tradotti in azioni motorie, come camminare, alzare una mano, muovere un dito etc.), sono collegati tra loro. La cattiveria è in relazione con il sistema discendente della motricità, mentre l’odio è più legato al sistema ascendente della sensibilità.

La cattiveria e l’odio

La cattiveria prende origine dal cervello inferiore e medio: è soprattutto un’espressione motoria che risponde ad un’informazione di minaccia. Nell’infanzia, la cattiveria è immediata; con la crescita e la maturazione, diventa meno spontanea e dà origine a comportamenti meno reattivi, più scaltri, che richiedono la partecipazione di zone cerebrali superiori più elevate e raffinate.

L’odio invece ha origine nel livello medio e superiore del cervello. Possiamo suddividere la sua elaborazione in tre parti: l’odio primitivo che fa la comparsa prestissimo e il più delle volte accompagna la cattiveria (reazione motoria). Questa fase è legata al cervello medio. Poi troviamo l’odio ordinario nato dalla maturazione cerebrale e da molteplici insoddisfazioni. Infine l’odio patologico che risulta più insolito.

Se il cervello medio dà origine all’emozione, la neocorteccia o cervello superiore fa ricorso all’intelligenza per elaborare i sentimenti tenaci di rancore e malevolenza che risultano sproporzionati e devianti.

Evoluzione della cattiveria e dell’odio

Nel proprio agire, i bambini sono diretti e poco riflessivi. Mentre crescono, le manifestazioni aggressive si nascondono dietro una maschera: si profilano i primi segni di frustrazione. Giorno dopo giorno i sentimenti prendono il sopravvento sugli impulsi.

Con gli anni, l’atto cattivo puro è intellettualizzato, ovvero sostituito dalla parola, mentre il passaggio all’atto (ovvero l’azione motoria che nel bambino è il calcio, lo spintone) è posticipato, se non annullato. La cattiveria inizia ad essere più interiorizzata.

La verbalizzazione consente una via sfumata, accettabile dall’altro. Il ripiegamento interiore senza la mediazione parlata di un vissuto negativo o di una frustrazione, può solo accentuare i rancori e generare ostilità.

Quando vi è un impoverimento diplomatico costituito dalla parola, l’aggressività torna alle forme regressive di violenza attuata come si esprimeva da bambini.

La costruzione dell’odio

La cattiveria e l’odio, quando non dipendono da lesioni neurologiche, possono comparire in seguito ad anomalie della comprensione.

Ci sono 5 tappe che il messaggio (la frase o il comportamento di qualcuno) deve superare per giungere alla coscienza e possono subentrare distorsioni nella mente dell’individuo antisociale che ne turbano la precisione fino al punto da modificarne il significato.

  1. Prima tappa: È quella della ricezione sensoriale periferica quando viene percepito uno stimolo (qualcuno dice qualcosa).
  2. Seconda tappa: Consiste nel trasporto del messaggio attraverso fibre nervose sensoriali che passando per la formazione reticolare, arrivano al talamo. Durante questo passaggio, una “presunta” aggressione (parola fraintesa dall’individuo antisociale) stimola una risposta di attacco o fuga.
  3. Terza tappa: Questa tappa è legata alla gestione dell’emozione creata a livello delle amigdale cerebrali. Queste sono strutture che filtrano tutte le informazioni sensoriali e vi associano un’emozione adatta. L’amigdala destra avrebbe un ruolo più importante nella rabbia e nell’odio, mentre quella sinistra nella emozioni positive.
  4. Quarta tappa: La corteccia orbito frontale (cervello superiore)  è fondamentale, perché qui l’informazione diventa significato. Sotto la sua influenza, la reazione ad un messaggio avvertito come minaccioso, può mitigarsi oppure capovolgersi. Questa corteccia è il regolatore dell’aggressività.
  5. Quinta tappa: Quando la corteccia orbito frontale lascia passare il messaggio aggressivo alla neocorteccia (altra zona del cervello superiore), questa fornisce all’odio una possibilità di trovare un significato e degli obiettivi e persino di partecipare alla loro esecuzione. A questo livello l’odio accede alla coscienza e vi trova la propria determinazione e la propria definizione. L’odio, divenuto corticale e superiore si insinua nei meccanismi della ragione.

Il sistema limbico interpreta costantemente le informazioni che riceve dal sistema sensoriale e possono verificarsi degli errori di valutazione soprattutto quando sono chiamati in causa significati legati alla sopravvivenza o alla sessualità i nostri più grandi consumatori di affetti.

Ed è così che una semplice rimostranza può trasformarsi in una minaccia aggressiva.

Questo sistema limbico, eccellente per la rapidità di esecuzione, è tuttavia arcaico e poco selettivo e reagisce a segnali poco differenziati la cui unica necessità è l’urgenza. La neocorteccia invece si dimostra molto lenta perchè elabora risposte raffinate e complesse.

Può accadere che il sistema limbico prenda in mano la situazione, la corteccia orbito frontale sbaglia significato e la corteccia, sulla base di informazioni erronee, sbaglia interpretazione.

La madre e la sua influenza

Per molto tempo, la madre funge da catalizzatore: deve tradurre con spiegazioni chiare e adattate le imprecisioni dell’ambiente che il figlio non può cogliere; con la tenerezza supplisce alla sua mancanza di sviluppo cognitivo e cerebrale.

Mediante questa lettura a due, il bambino evolve e con la rassicurazione, la madre gli conferma che non è cattivo, togliendo eventuali dubbi.

Le parole della madre, oltre a consentire al figlio di progredire nella comprensione del mondo, lo liberano dal senso di colpa, gli forniscono un sistema di valori e gli infondono fiducia in sé stesso.

La spiegazione fornita dalla madre per decodificare al bambino il mondo che lo circonda, passa attraverso le parole: sono il riflesso della sua cultura, della sua estrazione sociale, della sua organizzazione sintattica e semantica. I codici verbali cambiano da una mamma all’altra.

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